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Articolo Pubblicato il 28 Maggio, 2021

L’indisponibilità (alla transazione) dell’obbligazione tributaria salvo il ricorso agli strumenti deflattivi previsti dalla legge

L’indisponibilità (alla transazione) dell’obbligazione tributaria salvo il ricorso agli strumenti deflattivi previsti dalla legge

La questione da affrontare in questa analisi giuridica concerne la possibilità (o meno) di transare un debito tributario con l’ente locale (ad es. ICI/IMU), ovvero il potere della P.A. di ridurre l’accertamento del mancato pagamento di un tributo locale su un’area edificabile (in assenza della realizzazione dell’intervento), pena la perdita dell’entrata, specie se il bene è oggetto di procedura fallimentare.

L’ICI/IMU costituiscono, infatti, un’entrata di natura tributaria, a cui deve riconoscersi natura tributaria all’obbligazione avente ad oggetto le somme dovute in ragione del detto tributo, nonché all’obbligazione relativa agli interessi maturati sulle medesime somme, attesa la natura accessoria di detta obbligazione rispetto a quella principale[1].

Va premesso, che un basso grado di efficienza dell’attività di contrasto all’evasione tributaria nelle fasi di accertamento e di riscossione è sintomo di una criticità che può compromettere gli equilibri di bilancio, e, allo stesso tempo, dimostra l’incapacità di assolvere un compito fondamentale che appartiene alla P.A.: la riscossione delle proprie entrate.

Giova rammentare in primo luogo, quale corollario del principio di legalità, in connessione alla natura vincolata dell’azione amministrativa in materia tributaria, l’assunto fondante dell’articolo 23 della Costituzione, secondo il quale nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge (e non da una fonte di rango inferiore).

Ne consegue che, secondo questa impostazione, la necessaria previsione dell’obbligazione tributaria in disposizioni imperative, vincolanti sia per i soggetti passivi del tributo che per l’ente impositore, comporta il necessario esercizio, da parte di quest’ultimo, dei poteri conferitigli, senza esercizio alcuno di discrezionalità (trattasi di un obbligo cogente che oblitera ogni negoziazione, c.d. attività vincolata) allo scopo di evitare pregiudizi rilevanti sul piano contabile dal momento che la riscossione delle entrate patrimoniali si pone come atto doveroso di recupero delle indispensabili risorse materiali necessarie a far fronte alla spesa pubblica.

Al di là del principio di indisponibilità dei crediti tributari deve ritenersi che tutte le entrate, anche quelle di natura patrimoniale ed extratributarie, siano finalizzate al soddisfacimento dei bisogni pubblici e come tali possono diventare oggetto di atti di disposizione da parte delle amministrazioni titolari soltanto in presenza di interesse pubblico, concreto e attuale[2].

Non va, inoltre, dimenticata l’ipotesi di danno da mancata riscossione di entrate cui la P.A. ha diritto, dove il medesimo pregiudizio può dirsi certo ed attuale, solo al momento della perdita definitiva del relativo diritto di credito[3].

L’approdo nell’ordinamento positivo postula l’indefettibile principio generale della indisponibilità dell’obbligazione tributaria e viene ricondotta ai principi di capacità contributiva (ex art. 53, comma 1, Cost.) ed imparzialità nell’azione della pubblica amministrazione (ex art. 97 Cost.), espressione entrambi del più generale principio di eguaglianza nell’ambito dei rapporti tributari – e dalla constatazione che riconducibilità della potestà non appare negoziabile – si giunge alla considerazione che la riscossione dei tributi diviene necessaria ed indispensabile per garantire risorse all’ente, e dunque la stabilità e l’integrità dei conti.

Dunque, lo Stato e gli altri enti pubblici (da ricomprendere i Comuni) che operano quali enti impositori non hanno facoltà di rinunciare a tributi o di accordare ai singoli esenzioni o agevolazioni non previste dalla legge.

In relazione al principio di separazione tra “politica e amministrazione”, ai sensi dell’art. 107, Funzioni e responsabilità della dirigenza, del d.lgs. n. 267/2000[4] e dell’art. 4, Indirizzo politico-amministrativo. Funzioni e responsabilità, del d.lgs. n. 165/2001[5], debbono essere ascritte al funzionario responsabile del procedimento – e non al legale rappresentante dell’ente (alias sindaco) – le conseguenze dannose del ritardo nel pagamento di tributi, in quanto si verte in materia di obbligazioni periodiche imposte “ope legis” e non collegate ad attività volitiva degli organi di gestione elettivi[6].

Dall’indisponibilità dell’obbligazione tributaria, vincolata ed ex lege, si ricava, quindi, la conclusione circa l’irrinunciabilità della potestà impositiva, con i corollari:

  • della non prorogabilità del recupero delle somme a tale titolo dovute;
  • della necessità che l’azione del comune sia tempestivamente volta ad evitare la prescrizione del credito tributario e della competenza dell’organo gestionale all’attuazione del rapporto tributario.

Né tale principio è messo in discussione per le Regioni e le Autonomie locali dal nuovo assetto costituzionale derivante dalla riforma del Titolo V, parte II della Costituzione, posto che il vigente articolo 119 Cost. prevede che Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni, stabiliscono e applicano tributi ed entrate proprie, in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, fra i quali si annovera senz’altro il cennato principio di “indisponibilità” dell’obbligazione tributaria.

Al contrario, rileva la Corte[7], deve essere posta in evidenza la sostanziale illiceità di qualsiasi azione od omissione volta non solo a procrastinare l’adempimento degli obblighi tributari che, in quanto tali, vincolano a doveri ineludibili di solidarietà (ex art. 23 della Costituzione) e la cui inosservanza determina sperequazioni non accettabili rispetto a chi osserva tempestivamente e scrupolosamente gli obblighi medesimi ma, anche la non solerte gestione della riscossione degli stessi, non potendo definire od omettere in via transattiva l’applicazione di sanzioni o la riduzione del credito tributario al di fuori del precetto normativo.

Neppure, in questo quadro prospettico, può ipotizzarsi una transazione a fronte della pendenza di ricorsi di varia natura, aderendo ad accordi transattivi finalizzati ad evitare il prolungarsi del contenzioso (con incerta soluzione) e ad incassare nell’immediato una somma inferiore rispetto a quella dovuta (accertata), ovvero rinunciare senza insinuarsi nelle procedure fallimentari a garanzia del credito.

Tuttavia, la Corte[8], rileva che si può operare una valutazione avuto riguardo agli strumenti deflativi del contenzioso tributario o di definizione concordata dei tributi, introdotti dal legislatore al fine di consentire all’Amministrazione finanziaria di conciliare le esigenze sottese al principio di indisponibilità dell’obbligazione tributaria con altre esigenze altrettanto rilevanti, quali quelle della certezza dei rapporti giuridici, della sollecitudine nella riscossione delle somme dovute o del buon andamento dell’attività amministrativa[9].

In termini diversi, bilanciare in chiave prospettica e motivazionale tutti gli elementi che entrano in gioco in relazione all’accertamento, al potenziale (ricorso al) contenzioso, al rischio della perdita della riscossione in presenza di una procedura fallimentare.

Sotto questo ultimo aspetto, la norma di riferimento risiede nell’art. 182 ter, Trattamento dei crediti tributari e contributivi, del r.d. 16 marzo 1942, n. 267, Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa, con la possibilità di seguire un piano di concordato preventivo, oppure nell’ambito delle trattative per la definizione degli accordi di ristrutturazione dei debiti (vedi, anche, gli art. 63, Transazione fiscale e accordi su crediti contributivi, e art. 88, Trattamento dei crediti tributari e contributivi, del d.lgs. n. 12 gennaio 2019, n. 14, Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza in attuazione della legge 19 ottobre 2017, n. 155), disciplina che opera con riferimento ai «tributi amministrati dalle agenzie fiscali», fuori dall’ambito applicativo dei tributi locali, venendo meno ogni forma di soccorso all’indisponibilità dell’obbligazione tributaria (locale)[10].

Si comprende, nella ricerca di una base giuridica derogatoria, che tali istituti cui si fa riferimento, annota la Corte, in considerazione della loro eccezionalità, non costituiscono in ogni modo una negazione del principio della indisponibilità dell’obbligazione tributaria, bensì rappresentano eccezioni che, in quanto applicabili alle sole ipotesi e secondo le modalità rigorosamente circoscritte dal legislatore, confermano la vigenza del principio[11].

L’approdo finale porta a ritenere che il principio dell’indisponibilità dell’obbligazione tributaria risulta derogabile, nel nostro ordinamento, soltanto in forza di disposizioni di legge eccezionali (come tali da interpretarsi restrittivamente) che, nel rispetto del principio di legalità e operando un bilanciamento fra esigenze contrastanti, sacrificano gli interessi tutelati dagli articoli 53 e 97 della Costituzione, in favore di altri interessi, costituzionalmente garantiti, di rango pari o superiore.

Anche le sanzioni, espressione del potere punitivo dell’Amministrazione appartengono al novero delle potestà e dei diritti indisponibili in merito ai quali è escluso che possano concludersi accordi transattivi con la parte destinataria degli interventi sanzionatori, escludendo, altresì, ogni fonte regolamentare interna che non trova la corrispondenza in una fonte primaria di legge.

Si potrebbe ipotizzare una specie di “transazione fiscale”, appellandosi alla norma che abilità gli enti pubblici alla capacità di transigere le controversie delle quali siano parte, ex art. 1965 c.c., in presenza di una sicura convenienza economica in relazione all’incertezza della riscossione del credito dovuta alla presenza di una documentata procedura fallimentare che renda incerta la riscossione, rilevando che i limiti di questa soluzione è valida solo se ha ad oggetto diritti disponibili (ex comma 2, dell’art. 1966, Capacità a transigere e disponibilità dei diritti, c.c.), e cioè, quando le parti hanno il potere di estinguere il diritto in forma negoziale (peraltro, esclusa dalla legge fallimentare): è nulla, infatti, la transazione nel caso in cui i diritti che formano oggetto della lite (e tale lite deve essere insorta e non solo potenziale) siano sottratti alla disponibilità delle parti per loro natura o per espressa disposizione di legge, come nell’obbligazione tributaria[12].

La soluzione richiederebbe un intervento dell’organo esecutivo (e del revisore), ammettendo una competenza che allo stato appare preclusa agli organi elettivi.

Il quadro esegetico e la presenza di una disciplina di settore se da una parte, impone che non sono percorribili modi di estinzione dell’obbligazione diversi dall’adempimento, dall’altro, si potrebbe invocare forme lecite di accordi/transazioni mutuati dalla disciplina primaria, consentendo all’ente pubblico creditore di ottenere, in cambio, di un vantaggio economico immediato, a fronte di un rischio certo, in una sorta di remissione/riduzione del debito tributario appellandosi alla potestà regolamentare dell’ente locale; posizione confliggente con l’orientamento secondo cui non soltanto è illecito rinunciare alla riscossione ma finanche ridurre il quantum, fuori dai casi specificamente consentiti dalla legge (c.d. riserva, non suscettibile di interpretazione analogica, con impossibilità di derogare a tale principio per ipotesi non espressamente previste) il che escluderebbe, ancora una volta, la fonte secondaria[13].

In definitiva, solo in presenza di una disciplina speciale e di un iter motivazionale adeguato, si potrà ricorrere ad una riduzione in sede conciliativa (transattiva), avendo cura di esternare le fonti primarie di riferimento, l’interesse prevalente al credito tributario, il rischio probabile della perdita del gettito a fronte di un’entrata certa (oggetto di mediazione).

Si dovrebbe valorizzare l’adeguatezza dei mezzi impiegati e la coerenza dell’attività posta in essere con i fini istituzionali dell’ente e con gli obiettivi concretamente perseguiti alla riscossione a fronte di una perdita certa, sempre – è giusto ribadirlo – nel rispetto della normativa vigente e nell’osservanza delle regole di sana gestione finanziaria e contabile: attività di carattere gestionale appartenente al responsabile della competenza tecnica (c.d. responsabile del tributo/imposta) a cui non si potrebbe imporre, stante la “riserva di amministrazione” (rectius l’autonomia gestionale) la disponibilità dell’obbligazione tributaria.

[1] Cass. civ., SS. UU., 22 ottobre 2003, n. 15808.

[2] Corte conti, sez. giur. Centrale d’Appello, 12 marzo 2019, n. 78.

[3] Corte conti, sez. giur. Lazio, 20 giugno 2012, n. 672.

[4] Va ravvisata la competenza dei dirigenti – e non del Sindaco – alla emanazione di tutti i provvedimenti non espressamente riservati alla competenza degli “organi di governo” dell’ente locale: tale competenza è ribadita dall’art. 107, comma 2, del testo unico sugli enti locali n. 267 del 2000, TAR Campania, Napoli, sez. VI, 10 agosto 2020, n. 3564.

[5] Le funzioni di indirizzo politico – amministrativo esercitate dagli organi di governo attengono alla individuazione delle scelte di fondo dell’azione amministrativa attuate attraverso l’adozione dei relativi atti gestori, TAR Lazio, Roma, sez. I, 13 settembre 2018, n. 9328.

[6] Corte conti, sez. giur. Sardegna, 21 febbraio 1994, n. 79.

[7] Corte conti, sez. contr. Veneto, deliberazione n. 224/2018/PRSE del 9 luglio 2018.

[8] Corte conti, sez. contr. Lombardia, deliberazione 9 maggio 2018, n. 140.

[9] Va aggiunto che – in presenza di norma di carattere eccezionale o speciale – vi è l’insuscettibilità dell’applicazione analogica, Corte conti, sez. contr. Emilia – Romagna, delibera SRCERO/14/2019/PAR.

[10] Vedi, Agenzia delle Entrate, Circolare n. 19/E del 6 maggio 2015, Transazione fiscale e composizione della crisi da sovraindebitamento – Evoluzione normativa e giurisprudenziale. Cfr. CNDCEC – FNC del 4 maggio 2018, L’ambito applicativo della “nuova” transazione fiscale, ove si legge che «l’attuale formulazione dell’art.182 – ter l. fall. ha confermato l’esclusione dei tributi locali dall’ambito di applicazione del trattamento dei crediti tributari, nonostante questi ultimi e le sanzioni ad essi collegate, spesso rappresentino una parte ingente del debito dell’imprenditore in crisi (ad es. nelle società immobiliari o edili)… Stante l’attuale assetto normativo, rimangono, quindi, esclusi dalla possibilità di essere oggetto di trattamento tutti i tributi provinciali e comunali, ossia l’IMU, la TASI, la TARI, l’imposta di soggiorno e l’imposta di scopo, i quali (così come in precedenza previsto per l’ICI, la TOSAP, la TARSU e l’imposta comunale sulla pubblicità e le pubbliche affissioni) non risultano “amministrati” dalle agenzie fiscali in forza di legge o di convenzione».

[11] Cfr. Cass. civ., sez. Tributaria, n. 12314 del 6 ottobre 2001, sull’istituto della conciliazione giudiziale quale deroga al più generale principio della normale indisponibilità per l’erario del credito di imposta.

[12] Cfr. Corte conti, sez. contr. Piemonte, delibera n. 20/2012/SRCPIE/PAR.

[13] Cfr. Corte Conti, sez. contr. Emilia – Romagna, deliberazione n. 32/2021/QMIG.