Quadro di riferimento
La conferenza dei capigruppo, all’interno dell’articolazione del consiglio comunale, costituisce una “commissione” a cui vengono generalmente affidati compiti collaborativi con il presidente dell’assemblea per la redazione dell’ordine del giorno (una sorta di pre-informazione sugli argomenti da discutere); oppure, in funzione di apposite norme regolamentari, possiede compiti istruttori finalizzati alla stesura di atti regolamentari o alle modifiche statutarie o a specifiche materie.
Alla conferenza dei capigruppo partecipano tutti i rappresentati dei gruppi consiliari (rectius senza alcun criterio collegato alla rappresentanza consiliare) e la sua composizione varia, quindi, in base al numero dei gruppi consiliari (formatisi a seguito delle elezioni o dell’appartenenza politica dichiarata), diversamente dalle commissioni consiliare ove vige il criterio della proporzionalità.
Le commissioni consiliari, qualora costituite, assolvono compiti collaborativi con il consiglio e compongono segmenti procedimentali indispensabili ai lavori consiliari (e alle connesse deliberazioni), essendo deputate prioritariamente a questa funzione preliminare di discussione-istruzione degli atti da sottoporre ad approvazione in consiglio in relazione al dato fattuale che le dinamiche della rappresentatività rispecchiano quelle consiliari: le commissioni riproducono i pesi della maggioranza consiliare.
I consiglieri comunali che partecipano alle commissioni consiliari o alle conferenze dei capigruppo hanno diritto di assentarsi dal servizio per partecipare alle riunioni degli organi di cui fanno parte per la loro effettiva durata (ex articolo 79, comma 3, prima parte del Tuel), e hanno diritto di percepire un gettone presenza per la partecipazione a consigli e commissioni (ex articolo 82, comma 2, prima parte del Tuel), mentre non percepiscono alcun compenso per la partecipazione ad organi o commissioni comunque denominate, se tale partecipazione è commessa all’esercizio delle proprie funzioni pubbliche (ex articolo 83, comma 2 del Tuel).
Dal sintetico quadro delineato si può comprendere che:
a. la conferenza dei capigruppo non rispecchia il criterio di rappresentatività previsto dalle commissioni consiliari;
b. le commissioni consiliari hanno compiti istruttori sugli atti da sottoporre al consiglio;
c. la conferenza dei capigruppo non possiede, in via prioritaria, compiti istruttori generali sulle materie e competenze consiliari limitandosi a conoscere gli argomenti da sottoporre alla discussione del consiglio; argomenti eventualmente trattati nelle commissioni consiliari;
d. la partecipazione alle commissioni autorizza la percezione di un gettone presenza; gettone che espressamente non viene previsto per la conferenza dei capigruppo.
Ciò posto, si tratta ora di comprendere se sia legittimo, in via estensiva o con un’interpretazione analogica o con una norma regolamentare, erogare il gettone di presenza per la partecipazione allo conferenza dei capogruppo, o se invece non si debba procedere –doverosamente- al recupero delle somme erogate (per la partecipazione alla conferenza dei capigruppo), ed inoltre qualora il consigliere non provveda alla restituzione delle somme percepite si possa, o meno, contestare una causa di incompatibilità, salvo la segnalazione d’ufficio alla procura erariale per un’eventuale ipotesi di danno alle casse comunali.
Gli orientamenti giurisprudenziali e ministeriali.
Una prima osservazione, dalla lettura del citato art.82, comma 2, del Tuel, non escluderebbe la conferenza dei capigruppo dalle “commissioni” genericamente ivi indicate, tuttavia tale soluzione non potrebbe prescindere dall’esame dalla norma di cui al comma 2, dell’art.83 dello stesso Tuel, dovendo desumere che, dal combinato disposto delle due norme (interpretazione sistematica nel contesto normativo di sua applicazione; ratio legis), il criterio più coerente con le norme citate sia quello di introdurre un criterio di onnicomprensività dei compensi percepiti da consiglieri degli enti locali (art.83, comma 2) e la conseguente tassatività dei casi in cui si matura il diritto a percepire il gettone di presenza che, ai sensi dell’art.82, si riferisce esplicitamente alla “partecipazione a consigli e commissioni”, ai quali la conferenza dei capigruppo non può analogicamente essere assimilata, oltre che per interpretazione letterale della norma di cui all’art.82, anche per la natura della funzione esercitata.
A tal proposito il Ministero dell’Interno a fronte di una equiparazione tra la conferenza dei capogruppo e le commissioni consiliari (equiparazione disposta con regolamento consiliare) ha precisato che qualora il legislatore ha voluto estendere determinati diritti ai membri delle conferenze dei capigruppo lo ha fatto espressamente, come nel caso dei permessi retribuiti disciplinati dall’art.79, comma 3, del Tuel.
Ne consegue che la pura equiparazione di funzioni e/o compiti tra commissioni consiliari e conferenza dei capogruppo non è di per se sufficiente (né corretto) per rendere ammissibile la corresponsione del gettone di presenza a fronte di una norma -dal cui tenore letterale (ex art.12 c.c., per la loro connessione sintattica depone per un senso univoco delle norme)- espressamente si esclude l’erogazione di alcun compenso per i consiglieri comunali se non per la sola partecipazione a consigli e commissioni.
Al cospetto delle suddette risultanze si tratta di stabilire se la norma (lo spirito della legge) abbia voluto fare riferimento alle commissioni, richiamando una precisa denominazione tecnica, o se invece abbia con ciò voluto solo genericamente indicare organismi variamente denominati istituiti all’interno dell’organo consiliare, optando per una lettura estensiva delle articolazioni organizzative del consiglio.
Al riguardo gli elementi di illogica indeterminatezza spingono l’osservatore a ritornare sul disposto delle due norme citate, volendo desumersi da un lato, la volontà del legislatore di introdurre un criterio di onnicomprensività dei compensi percepiti dai consiglieri degli enti locali (art. 83, comma 2), escludendo con ciò il diritto alla percezione del gettone di presenza nelle ipotesi in cui il consigliere comunale venga chiamato a far parte di organi o commissioni diverse da quelle indicate nell’art. 82, ricavandosi dall’altro, la conseguente tassatività dei casi in cui si matura il diritto a percepire il gettone di presenza, ai sensi dell’art. 82 per la partecipazione a consigli e commissioni, con ciò escludendo fattispecie, come quella della conferenza dei capigruppo, non riconducibili al tenore letterale della norma.
Soffermandosi poi sulla disamina dell’articolo art.83, sotto il titolo “divieto di cumulo”, la disposizione non si pone in contrasto con il precedente art.82, e si riferisce alle diverse ipotesi in cui il consigliere comunale venga chiamato a far parte di organi o commissioni diverse da quelle indicate nel citato art.82, statuendo -in chiaro- che in questo ipotesi (norma di chiusura) l’unico compenso aggiuntivo è solo quello eventualmente spettante a titolo di indennità di missione.
Affinché operi il divieto di cumulo il legislatore, peraltro, ha posto la condizione che si tratti di partecipazioni connesse all’esercizio delle proprie funzioni pubbliche e cioè che l’attività che il consigliere è chiamato a svolgere, pur non essendo quella esercitata istituzionalmente quale consigliere comunale, trovi in questa qualità la ragione del suo conferimento.
In termini diversi, la partecipazione all’“altra” commissione deve trovare il proprio titolo nell’essere, il soggetto nominato, consigliere comunale (una sorta di riserva per la carica rivestita) e non essere, all’opposto, svincolata da tale qualità e fondata invece su requisiti soggettivi e personali non connessi all’esercizio delle funzioni di consigliere: in conclusione, con l’art.83, riformato dalla legge finanziaria per l’anno 2008 (legge n.244/2007), si sono volute estendere ai fini retributivi – disponendo un unico e onnicomprensivo compenso – le funzioni di consigliere ampliandone il contenuto fino a ricomprendervi, oltre ai compiti strettamente istituzionali, anche quelli che rappresentano una ulteriore manifestazione ed estrinsecazione della funzione principale.
Tale orientamento, per altri versi, risulta coerente sul piano sistematico anche con le finalità sottese alle modifiche operate dalla ultime (discutibili) leggi finanziarie dirette a contenere i costi delle amministrazioni pubbliche e in particolare i costi della politica.
In definitiva, il riferimento alle commissioni nel comma 2, dell’art.82 del Tuel assume valenza essenzialmente tecnica circoscritta alle sole ipotesi di partecipazione alle commissioni consiliari senza che possano considerarsi assimilabili organismi istituiti all’interno dell’organo consiliare variamente denominati, quali la conferenza dei capigruppo, l’ufficio di presidenza, la conferenza dei presidenti di commissione nonché ogni ulteriore commissione anche se equiparata, sotto il profilo regolamentare, alle commissioni consiliari.
Non giova sotto il profilo sistematico sostenere che la conferenza dei capigruppo sia esplicitamente considerata dallo statuto comunale un organo consiliare, con competenze estese alla revisione dello statuto ed alla predisposizione ed aggiornamento dei regolamenti oppure deputata alla stesura di alcuni atti fondamentali, per sostenere l’equiparazione alle commissioni consiliare con conseguente possibilità di erogazione di un gettone di presenza.
Le considerazioni sin qui svolte consentono di ritenere consolidato l’orientamento della giurisprudenza della Corte dei Conti confermativo di una lettura del delineato quadro normativo secondo il principio della “omnicomprensività” della retribuzione degli amministratori degli enti locali, individuato dalla conforme giurisprudenza contabile ed amministrativa (per tutte, la sent. Cons. Stato, n.2492/2002) e finalizzato a contenere la spesa pubblica, con la conseguenza che all’amministratore locale non compete alcun compenso per la partecipazione a commissioni che rientrino “in senso lato tra i compiti inerenti l’ufficio ricoperto”.
A rinfrancare la tesi si pone l’accento sull’art.82, comma 2, che prevede il diritto per i consiglieri comunali a percepire un gettone di presenza per la partecipazione a consigli e commissioni, ed è altresì specificato che tale diritto è previsto “nei limiti fissati dal presente capo”, tra i quali, appunto, quello evidenziato dal successivo comma 7, in virtù del quale il gettone non è dovuto per la partecipazione ad organi collegiali del medesimo ente, o a commissioni che costituiscano articolazioni di quell’organo.
Inoltre, non può ritenersi legittima nemmeno l’erogazione in presenza dell’esiguità dell’importo, dovendo (precisa la Corte dei Conti) interrompere con effetto immediato qualsiasi erogazione e procedere (ipse dixit) con le iniziative di recupero delle somme già illegittimamente corrisposte (termine prescrizionale decennale), e in assenza della completa ripetizione, si dovrà procedere ad inoltrare denuncia di danno erariale al Procuratore regionale presso la Sezione giurisdizionale della Corte dei conti territorialmente interessata.
Azioni di recupero e causa di incompatibilità.
Alla luce degli orientamenti giurisprudenziali della Corte dei Conti risulta necessario procedere con il recupero delle somme indebitamente erogate a titolo di partecipazione alle sedute della conferenza dei capigruppo, intimando (costituzione in mora) gli interessati (i consiglieri) alla restituzione di quanto erogato e individuando un termine (congruo) entro cui provvedere.
Si rende allora opportuno da corso (il recupero è doveroso) ad avviare un procedimento teso alla ripetizione delle somme, anche se percepite in buona fede, con l’avvertenza che in assenza della restituzione si dovrà procedere con il recupero coattivo: è indispensabile formulare un’istruttoria che accerti il numero delle sedute e il quantum erogato.
Nella fattispecie costituisce jus receptum il principio secondo cui il recupero di somme indebitamente erogate dalla Pubblica Amministrazione ai propri dipendenti (assimilabili gli amministratori) ha carattere di doverosità e costituisce esercizio, ai sensi dell’articolo 2033 del codice civile, di un vero e proprio diritto soggettivo a contenuto patrimoniale, non rinunziabile, in quanto correlato al conseguimento di quelle finalità di pubblico interesse, cui sono istituzionalmente destinate le somme indebitamente erogate.
In relazione, altresì, al requisito dell’interesse pubblico specifico che deve caratterizzare detto procedimento di recupero, è stato evidenziato che la motivazione deve ritenersi insita nell’acclaramento della non spettanza degli emolumenti percepiti, così che i provvedimenti di recupero non richiedono comparazione alcuna tra gli interessi coinvolti (quello pubblico e quello del privato), non vertendosi in ipotesi di interessi sacrificati, tale configurandosi semmai il solo interesse al buon andamento della P.A., sicuramente compresso dall’aver essa versato indennità non dovute, se non sotto il limitato aspetto delle esigenze di vita del debitore.
Del resto, proprio la doverosità del recupero esclude che l’amministrazione sia tenuta a fornire una specifica motivazione, essendo invece sufficiente che vengano indicate le ragioni per le quali il percipiente non aveva diritto alle somme corrisposte rinviando per estratto o per relationem o quali allegati alle diverse deliberazioni della Corte dei Conti (cit.).
Inoltre, la giurisprudenza in ordine al profilo della rilevanza della buona fede del debitore ha più volte precisato che essa non può rappresentare un ostacolo all’esercizio da parte dell’amministrazione del recupero dell’indebito, neppure quando intervenga a lunga distanza di tempo dall’erogazione delle somme, comportando in capo all’Amministrazione solo l’obbligo di procedere al recupero stesso con modalità tali da non incidere significativamente sulle esigenze di vita del debitore: la buona fede soggettiva (del consigliere) non costituisce elemento valutabile ai fini di contrastare la pretesa restitutoria della P.A.
Non sfugge invero che la mancata attivazione del procedimento di recupero o la sospensione del pagamento dei gettoni espone l’Amministrazione (ergo il responsabile del procedimento) a responsabilità erariale a fronte di una consolidata lettura restrittiva della norma che vieta il pagamento di compensi (a vario titolo individuati) non previsti espressamente da una norma di legge.
Una volta comunicato al consigliere in carica la richiesta di recupero delle somme erogate (costituzione in mora) si potrà attivare, in caso di mancato versamento, l’ipotesi di incompatibilità stabilità dall’articolo 63, comma 1, punto 6, del Tuel, non potendo ricoprire la carica di consigliere “colui che, avendo un debito liquido ed esigibile, rispettivamente, verso il comune o la provincia… è stato legalmente messo in mora”.
La procedura di contestazione è disciplinata dall’articolo 69 del Tuel dove si postula che tali deliberazioni “sono adottate di ufficio o su istanza di qualsiasi elettore”, dovendo promuovere (o attivare: l’impulso) l’azione il consiglio comunale in base alle risultanze istruttorie del responsabile del procedimento.
(estratto da Gazzetta degli enti locali, 8 settembre 2011)