Il diritto di accesso, nelle procedure di gara, differisce in parte dalle regole generali imposte dagli articoli 22 e seguenti della legge n. 241 del 1990, e si orienta nel garantire una trasparenza della procedura concorsuale tutelando da una parte, l’imparzialità dell’agire pubblico da intrusioni conoscitive (divulgazione informazioni) che possono alterare la par condicio (differimento dell’accesso), dall’altra, tutelando la riservatezza dei concorrenti rispetto ad eventuali “segreti” industriali (tecnici e commerciali) (1), ovvero vietando l’accesso ai pareri legali (2) e alle relazioni riservate del direttore lavori e del collaudatore (3) (evitando di minare le eventuali strategie difensiva dell’amministrazione aggiudicatrice).
Occorre, da subito rilevare che la partecipazione ad una procedura selettiva comporta che la documentazione presentata fuoriesca dalla sfera di dominio riservato dell’impresa per formare oggetto di valutazione comparativa con le offerte presentate da altri concorrenti, essendo versata in un procedimento caratterizzato dai principi di concorsualità e trasparenza (4): gli atti, una volta acquisiti alla procedura d’appalto, sono diventati di pertinenza dell’Amministrazione e sono essenziali per la validità dell’esito della gara, con la conseguenza che la riservatezza dei terzi recede in nome della imparzialità amministrativa (ex articolo 97 Cost.), anche perché i partecipanti alla selezione hanno implicitamente acconsentito alla comparazione dei requisiti generali posseduti e, quindi, anche alla verifica sulla sussistenza di quelli richiesti per poter partecipare alle procedura selettiva (5).
L’articolo 9 della legge n. 180 del 2011, si occupa di ridefinire i rapporti tra imprese e p.a., improntandoli ai principi di trasparenza, di buona fede e di effettività dell’accesso ai documenti amministrativi, alle informazioni e ai servizi svolgendo l’attività amministrativa secondo criteri di economicità, di efficacia, di efficienza, di tempestività, di imparzialità, di uniformità di trattamento, di proporzionalità e di pubblicità, riducendo o eliminando, ove possibile, gli oneri meramente formali e burocratici relativi all’avvio dell’attività imprenditoriale e all’instaurazione dei rapporti di lavoro nel settore privato, nonché gli obblighi e gli adempimenti non sostanziali a carico dei lavoratori e delle imprese.
Sempre in questo provvedimento legislativo che appare invocare la piena “effettività” del diritto di accesso si opera anche un aggiustamento del c.d. “preavviso di rigetto”, stabilendo che non sia più possibile negare una richiesta motivando il rifiuto a “inadempienze o ritardi attribuibili all’amministrazione”, giungendo a implementare le norme in materia di accesso telematico gratuito alle informazioni (registro delle imprese per. esempio) e al principio del non aggravamento (ex art. 1, comma 4, della legge 241/1990) (6), in ossequio al principio del favor partecipationis ed in conformità ai recepiti principi di semplificazione amministrativa.
Già il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 26 aprile 2011 stabiliva le modalità di pubblicazione nei siti informatici delle amministrazioni e degli enti pubblici, ovvero di loro associazioni, degli atti e dei provvedimenti concernenti le procedure ad evidenza pubblica (7), valorizzando l’uso della telematica secondo lo schema dell’articolo 3 bis della legge n. 241 del 1990 (8).
Non vi è dubbio che la produzione normativa in materia di accessibilità agli atti e all’informazioni detenute dalla p.a. sia proiettata a ridurre gli oneri partecipativi, ovvero impedire che la partecipazione (procedimentale o conoscitiva) possa costituire un onere (costo) a carico dei cittadini, e soprattutto delle imprese: la partecipazione risponde ad un esigenza di trasparenza, pubblicità e concorrenza senza aggravare gli operatori da misure che possano potenzialmente ostacolare la “regolarità” (intesa come valore ordinamentale) nella fase di acquisizione di un contratto pubblico (di lavori, forniture e servizi) (9).
È pur vero che i canoni costituzionali di imparzialità e il perfezionamento tecnologico (oltre alla diffusione degli strumenti informatici) portano a ritenere che l’esclusione dell’accesso può essere ricondotta ai soli casi tassativamente previsti dalla legge, fra i quali non rientra la potenziale disponibilità del documento mediante ricerca sul sito internet dell’amministrazione.
La vigente disciplina legale delle concrete modalità del diritto di accesso non richiede al cittadino una capacità di effettuare ricerche mediante strumenti informatici, limitandosi a prevedere il rilascio di copia del documento a cura dell’amministrazione.
Al cittadino (alias imprese) che abbia fatto richiesta della ostensione di un provvedimento non altrimenti riservato (indicandone peraltro analiticamente gli estremi), non può pertanto imporsi l’utilizzo di una particolare capacità di ricerca sulla rete internet implicante uno sforzo senz’altro superiore a quello richiesto alla stessa amministrazione per reperire atti dalla stessa formati, e per metterli a disposizione del richiedente (10).
Inoltre, la giurisprudenza ha chiarito in modo inequivocabile che non si può negare l’accesso agli atti di un’offerta presentata in fase di gara una volta accertato il diritto del richiedente (11), laddove l’ostensione si limitasse alla sola visione degli atti e non all’estrazione di copia (12): in materia di accesso agli atti amministrativi, deve ricomprendersi nel relativo diritto sia la visione che il rilascio di copia del documento, attesa l’abrogazione della disposizione dettata dall’art. 24, comma 2, lett. d), nella formulazione originaria della legge n. 241 del 1990, che fa ritenere superata ogni possibilità di distinguere tra le due indicate modalità di accesso (13).
(estratto, La gazzetta degli enti locali, 6 marzo 2012)