La massima
La sezione giurisdizionale per la regione Puglia della Corte dei Conti, con la sentenza n.787 del 14 giugno 2012, discostandosi dall’orientamento del giudice della nomofilachia, apre all’analogia (con i dipendenti pubblici) e riconosce il rimborso delle spese legali sostenute dagli amministratori pubblici assolti in un procedimento penale.
Viene postulato che una volta ravvisato il nesso di causalità necessario tra l’adempimento del mandato e la perdita pecuniaria, rappresentata dalle spese di difesa, il mandatario (ovvero, l’amministratore pubblico) può legittimamente pretendere il rimborso delle spese sostenute nel giudizio.
La posizione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte (massima citata per esteso nella sentenza) affronta la questione (in modo opposto) partendo da due distinte valutazioni che parrebbero a favore del rimborso (pur constatando la mancanza di una disciplina normativa in grado di ammettere la refusione delle spese sostenute in relazione ad addebiti penalmente rilevanti a carico di amministratori comunali):
a) l’analogia con la disciplina dettata per i dipendenti degli locali, che ciò esplicitamente prevede e dalla quale non vi sarebbe ragione di discostarsi, in ragione dell’identità della natura (pubblica) della funzione svolta;
b) il disposto dell’art.1720 c.c., che legittima il mandatario ad essere sollevate dalle spese sostenute nell’espletamento dell’incarico.
Tuttavia, senza indugiare oltre, la Corte non intende discostarsi dal precedente ritenendo tali profili del tutto privi di pregio argomentativo (per ciò che interessa) sulla base delle seguenti osservazioni:
a) il richiamo all’analogia (evocabile quando emerga un vuoto normativo nell’Ordinamento) non è pertinente in presenza di una volontà definita dal legislatore nel disciplinare in modo diverso due situazioni non identiche fra loro, e la detta “diversità” non appare priva di razionalità, atteso che gli amministratori pubblici non sono dipendenti dell’ente ma sono eletti dai cittadini, ai quali rispondono (e quindi non all’ente) del loro operato;
b) la disciplina in tema di mandato (ex art. 1720 c.c., secondo cui il mandante deve rimborsare al mandatario le anticipazioni, pagargli il compenso e risarcirgli i danni subiti a causa dell’incarico) non può risultare applicabile, sia perché il danno risarcibile presupporrebbe un comportamento incolpevole e sia perché le spese di difesa non sono legate all’esecuzione del mandato da un nesso di causalità diretta, collocandosi fra i due fatti un elemento intermedio, dato dall’elevazione di un’accusa poi rivelatasi infondata.
La sentenza n.787/2012
Il Collegio giudicante dopo un quadro introduttivo del tema (vedi supra) passa immediatamente a definire un nuovo orizzonte interpretativo non aderendo, da una parte, a quella opzione ermeneutica tesa ad un’interpretazione estensiva della disciplina di cui all’art. 67 del D.P.R. n. 268/1987 agli amministratori locali, e dall’altra aderendo alla tesi dell’applicabilità, con ricorso al procedimento analogico, dell’art. 1720 del codice civile nella parte in cui dispone che “il mandante deve inoltre risarcire i danni che il mandatario ha subito a causa dell’incarico”.
È noto che nel mandato (con rappresentanza, quello senza rappresentanza agisce in proprio nome e acquista i diritti e assume gli obblighi derivanti dagli atti compiuti con i terzi) una parte “si obbliga a compiere uno o più atti giuridici per conto dell’altra”, definendo la rappresentanza (il rappresentante non è il nuncius) con la quale alcuno compie un atto giuridico in luogo di un’altra persona con l’intenzione che l’atto valga come compiuto dell’altra e produca in realtà i suoi effetti in capo a quest’altra: agisce non soltanto per conto e nell’interesse altrui, ma anche nel nome dell’altro: la rappresentanza è legale “in virtù d’un particolare officio… per legge spetta un tal potere al presidente d’un collegio, al capo od amministratore d’ogni persona giuridica”.
Il mandante deve risarcire i danni che il mandatario ha subito a causa dell’incarico senza poterli evitare, compresi quelli conseguenti inadempimento, per fatto e colpa del mandate, in caso di mandato senza rappresentanza, mentre non sono risarcibili in ogni caso quelli dovuti a colpa del mandatario o che conseguono alla pura e semplice accettazione dell’incarico.
Definito (sommariamente) il quadro delle operazioni, si constata che l’applicazione – in concreto – del diritto presenta ineluttabilmente dei problemi legali all’interpretazione (criterio logico – letterale, teleologico, sistematico) e quando emergono delle lacune dell’apparato normativo si può ricorrere al “procedimento analogico” il quale permette di colmare il vuoto o con un rinvio ad alcuna disciplina dettata per casi simili o materie analoghe (analogia legis), o con rimando ai principi generali dell’ordinamento giuridico (analogia iuris): il ricorso alla analogia è consentito dall’art. 12 delle preleggi solo quando manchi nell’Ordinamento una specifica norma regolante la concreta fattispecie e si renda, quindi, necessario porre rimedio ad un vuoto normativo altrimenti incolmabile in sede giudiziaria, potendo in questo modo sviluppare nella sua espressione logica la ratio legis così da adattarla a casi diversi: in definitiva si dovrà fare ricorso al metodo di autointegrazione (sostiene il Giudice) dell’Ordinamento giuridico nelle forme dell’analogia legis o dell’analogia iuris.
Da queste premesse, si rileva che escludere la fattispecie della rimborsabilità delle spese legali sostenute dagli amministratori dall’ambito di applicazione dell’art. 67 del D.P.R. n. 268/1987 nella sua interpretazione estensiva e, contestualmente, negare quel richiamo all’analogia legis per sostenere la rimborsabilità delle spese degli amministratori comunali, con conseguente inapplicabilità della disciplina del mandato, si tradurrebbe nel confinare nell’area del “giuridicamente irrilevante” la stessa con conseguenze, in taluni casi, palesemente in contrasto con quei principi di giustizia sostanziale che è dovere del Giudice ricercare per la disciplina del caso concreto, ove non sia intervenuto direttamente il legislatore.
Auspicando un intervento integrativo del legislatore, la Corte proietta l’operato degli amministratori locali ai mandatari, e questa individuazione trova la sua ragion d’essere nel riconoscimento degli stessi quali funzionari onorari dell’ente che prestano la propria opera non a titolo di lavoro subordinato, con conseguente applicazione del disposto di cui all’art. 1720 del codice civile, che consente proprio di rispondere, in assenza di una puntuale disciplina della materia (vuoto normativo), a quell’esigenza di giustizia sostanziale a non dovere sostenere oneri per la propria difesa “a causa” del mandato amministrativo, ove gli stessi siano ingiustamente accusati di presunti fatti illeciti commessi a causa dell’incarico espletato.
Sul punto, i Giudici di Palazzo Spada sostenerono che ai fini della rimborsabilità delle spese processuali sostenute dagli amministratori degli enti locali, non loro lavoratori subordinati, per liti penali connesse all’esercizio delle relative funzioni pubbliche, occorre far riferimento, in assenza di norma specifica sul punto ed utilizzando all’uopo un criterio d’interpretazione analogica non già ai regolamenti sullo stato giuridico dei dipendenti degli enti medesimi, nè ai principi di responsabilità ex art. 58 della Legge 8 giugno 1990 n. 142 – i quali ribadiscono solo la comune soggezione di amministratori e dipendenti alle medesime regole sulla responsabilità pubblica -, bensì solo alla disciplina civilistica del contratto di mandato, in quanto:
a) è applicabile in linea di principio a tutti i casi in cui va stabilito l’esatto contenuto dei rapporti patrimoniali tra rappresentante legale ed ente rappresentato, anche in difetto di un apposito e così denominato vincolo negoziale e, in particolare, ai rapporti tra ente pubblico e amministratori onorari, che sono legittimamente investiti del potere di curare e realizzare interessi di altri centri d’imputazione giuridica e, quindi, non devono sopportare nella propria sfera personale gli effetti sfavorevoli o dannosi dell’attività imputabile solo agli enti;
b) l’art. 1720 c.c. stabilisce con sufficiente chiarezza la misura dei diritti patrimoniali vantati dal mandatario nei riguardi del mandante, individuando, nei rapporti interni, il punto d’equilibrio tra le contrapposte pretese delle parti e la ripartizione dei rischi economici derivanti dall’attuazione del rapporto; soprattutto per ciò che concerne le spese e le perdite economiche sostenute dal mandatario a causa del mandato.
In termini diversi, in funzione dell’investitura popolare (elezione diretta) l’amministratore pubblico non può essere chiamato a sostenere le spese legali (perdita economica) per la propria difesa in relazione (in esecuzione di un mandato elettivo) all’attività posta in essere da amministratore una volta accertata la sua corretta condotta nell’esercizio delle proprie competenze: come nel mandato il mandante deve risarcire le perdite economiche del mandatario e questa pretesa viene meno se l’evento dannoso deve attribuirsi a colpa del mandatario.
Non sfugge invero (il precedente) che la Corte di Cassazione stabilì che in tema di rimborso di spese legali sostenute a causa di fatti connessi allo svolgimento di pubbliche funzioni, con riferimento a funzionari onorari del comune, ossia persone fisiche che prestano la propria opera per conto dell’ente pubblico non a titolo di lavoro subordinato, in mancanza di specifica disposizione che regoli i rapporti patrimoniali con l’ente rappresentato, la pretesa di rimborso delle spese processuali, ammesso che esista una lacuna normativa, non può che assumere la consistenza del diritto soggettivo perfetto, da esercitare davanti al g.o., in base ad una disposizione di legge, l’art. 1720 c.c., da applicare in via analogica ai sensi dell’art. 12, comma 2, disposizioni preliminari al codice civile.
La sentenza n.787 del 14 giugno 2012, della Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per la regione Puglia, nella parte finale segue un percorso argomentativo teso a dimostrare che la difesa in giudizio dell’amministratore (e le connesse spese, rectius perdita economica) è intimamente (nesso di causalità) con l’esercizio della funzione, ed è in effetti coinvolto nel procedimento penale proprio a causa dell’attività gestoria posta in essere quale amministratore: “opinare diversamente, ritenendo che le spese di difesa non siano legate all’esecuzione del mandato da un nesso di causalità diretta, perché nello iato tra due momenti – l’esecuzione del mandato e la difesa in giudizio – vi sarebbe un elemento intermedio, quale l’elevazione di un’accusa, rilevatasi, poi, infondata, non considera che la difesa in giudizio può essere necessaria…, proprio perché connessa all’esercizio di una funzione pubblica di cui, un terzo preposto al presidio della legalità, qual è un pubblico ministero, ne contesta la liceità comportamentale”.
L’amministratore nella sua difesa dovrà dimostrare la specchiatezza della sua condotta da ogni elemento elusivo al perseguimento del fine pubblico (non dovranno emergere interessi personali), e tale difesa “non può considerarsi come un momento estraneo ed avulso dal contesto nel quale la stessa si inserisce – in quanto evidentemente prodromica a dimostrare di avere agito nei limiti e nel rispetto del mandato pubblico conferito – e la spesa per affrontarla dovrà essere necessariamente indennizzabile, ove …, il rinvio a giudizio si sia rilevato addirittura errato, proprio perché affrontata a causa delle funzioni per legge esercitate”.
Dall’insieme delle considerazione, si conclude sulla piena legittimità del rimborso delle spese legali strettamente connesse con il contenzioso penale accorso agli amministratori rinviati in giudizio, avendo dimostrato:
a) l’assenza di dolo e/o colpa grave;
b) la conclusione del procedimento penale con sentenza di non luogo a procedere, perché l’azione penale non poteva essere iniziata per precedente giudicato, tra l’altro, di assoluzione per insussistenza del fatto, non ostando a ciò la natura preminentemente processuale della sentenza;
c) la riconosciuta possibilità all’amministrazione di potere rimborsare le spese legali anche senza il previo assenso della stessa nella scelta del legale di comune gradimento.
Estratto da LexItalia, 2012, n.7 – 8