Il Testo Unico degli Enti Locali (Tuel), all’ultimo comma dell’articolo 43, dispone che “Lo statuto stabilisce i casi di decadenza per la mancata partecipazione alle sedute e le relative procedure, garantendo il diritto del consigliere a far valere le cause giustificative” (mutuando la precedente norma del comma 6 bis, dell’articolo 31 della Legge n.142/90).
Già l’articolo 289 del T.U. del 1915 prevedeva che i consiglieri che non intervenivano ad un “intera sessione ordinaria senza giustificati motivi” venissero dichiarati decaduti e, per attenuare la portata rigorosa della disposizione, la giurisprudenza ammetteva tra le fondate giustificazioni le assenza per malattia, affari indilazionabili, congedi autorizzati dal Sindaco e dalla Giunta.
La norma vigente, inserita all’interno dei “diritti dei consiglieri”, chiude il complesso delle prerogative insite allo status dell’eletto, imponendo una condotta orientata al “buon andamento dell’azione amministrativa” (norma da collegare in via sistematica con l’articolo 78 del Tuel) e al dovere di adempiere le propri funzioni con “fedeltà” e “onore”, secondo i canoni costituzionali del primo comma dell’articolo 97 (“I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione”) e dell’intero articolo 54 (“Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi. I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge”): una “fedeltà qualificata” (quella del secondo comma) a contenuto più ampio e cogente di quella richiesta ai singoli cittadini (quella del primo comma) e, in quanto tale, idonea a fondare precisi obblighi e doveri.
Possiamo affermare che ai diritti del consigliere comunale associati all’esercizio di una funzione pubblica corrisponde un “dovere” di partecipazione, quale esponente e rappresentante diretto del corpo elettorale (seppure in assenza di un “mandato imperativo”), proiettando i compiti del consigliere comunale non solo nella partecipazione alle sedute dell’organo cui appartiene, ma contemplano lo svolgimento di tutta una serie di attività individuali di carattere propulsivo, conoscitivo e di controllo.
Non va sottaciuto che l’eventuale astensione dalle sedute motivata con l’intento politico non può spingersi alla definitiva abdicazione del ruolo rivestito ma deve comunque estrinsecarsi in azioni capaci di dare attuazione (in qualsiasi modo) al mandato elettivo; sicché l’inerzia totale non può – anche ove costituisca il frutto di una scelta mirata – protrarsi oltre un tempo ragionevole, poiché, diversamente opinando, verrebbe compromesso il rapporto eletti/elettori, dato che il ruolo dei primi risulta completamente azzerato[1].
Il quadro d’insieme e le conseguenza dell’ingiustificata assenza conducono a ritenere che la procedura debba necessariamente essere prestabilita (in adesione al principio del “giusto procedimento”)[2] e non si possa dar corso ad un automatismo collegato all’assenza del consigliere, dovendo (attività vincolata) istaurare un procedimento volto a consentire al Consiglio di valutare (valutazione di merito), di volta in volta, la fondatezza delle giustificazioni presentate dal consigliere.
È necessaria una fase che presuppone l’accertamento di una serie di elementi giustificativi, o meglio di integrazione e instaurazione di un dialogo tra Consiglio, che contesta l’assenza, e il consigliere, che presenta le proprie giustificazioni (si tratta di un diritto pieno che non può essere eluso), esplicitando concretamente un’attività istruttoria sulla singola (giustificazione) assenza: la dovuta “fase partecipativa” che impone l’analisi delle osservazioni e/o deduzioni presentate in un termine che dovrà essere congruo (ragionevole) per consentire il “diritto di difesa”[3].
Il contradditorio tra Consiglio e consigliere, ai fini della pronuncia di decadenza, trova come presupposto la persistenza di un comportamento assenteistico (“mancata partecipazione alle sedute”), comportamento codificato da una norma statutaria o (per rinvio) regolamentare, ed inoltre le assenze dalle sedute (ritualmente convocate) deve avere il carattere della continuità, potendo la “consecuzione” delle sedute essere interrotta da una seduta andata deserta, ma alla quale il consigliere (a verbale) risulta presente[4].
In definitiva, l’obiettivo è quello di valorizzare e promuovere il “senso del dovere” a svolgere in via continuativa il proprio mandato – una continuità “matura ed effettiva” alla partecipazione dei lavori consiliari – censurando quei comportamenti gravi che alterano da una parte, la completezza del quorum funzionale (del Consiglio), dall’altro (e prioritariamente), manifestano un disinteresse all’attività politico – amministrativa in contrasto non apparente con i doveri (civici) istituzionali di svolgere una funzione pubblica al servizio della Comunità locale (scoraggiando il c.d. “assenteismo diffuso”)[5].
(Estratto da www.LexItalia.it, 2012, n.10)
[1] T.A.R. Lombardia – Brescia, sez.II, 24 settembre 2012, n.1541.
[2] È indispensabile la contestazione atteso che la decadenza “può essere pronunciata solo dopo che la proposta relativa sia stata notificata all’interessato con preavviso di almeno 10 giorni, in guisa da consentire al medesimo di presentare le proprie giustificazioni”, VIRGA, Decadenza per mancata partecipazione alle sedute, in Diritto amministrativo, Amministrazione Locale, Milano, 1994, vol. III, pag.146.
[3] Il rispetto delle regole partecipative già cristallizzate dalla Legge n. 241/1990 e della ratio che le anima, impone che il contradditorio venga effettuata in tempo e con modalità tali da consentire la partecipazione influente ed efficace del consigliere interessato al processo decisionale destinato a sfociare nella determinazione finale potenzialmente lesiva. Ne deriva che il rispetto formale della disciplina di legge non esclude l’effetto invalidante sortito da una condotta amministrativa che, nel suo complesso, finisca per impedire una partecipazione utile da parte del soggetto portatore di un interesse giuridicamente qualificato e differenziato, Cons. Stato, sez. V, 13 giugno 2012, n.3470.
[4] T.A.R. Abruzzo – Pescara, 27 luglio 1987, n.407.
[5] Vi è da rilevare che il venir meno della distinzione dei lavori tra seduta ordinaria e straordinaria “(primaverile o autunnale”, e l’interpretazione giurisprudenziale piuttosto benevola dei giustificati motivi hanno reso la prescrizione legislativa del tutto insufficiente allo scopo”, STADERINI, Diritto degli enti locali, Padova, 1986, pag.255.