La competenza, in termini di esercizio di una funzione pubblica, segue i principi costituzionali di imparzialità e buon andamento, una separazione declinata dal TUPI e TUEL che incardina all’organo elettivo compiti di indirizzo, programmazione e controllo affidando alla dirigenza compiti di natura gestionale.
La dirigenza deve conseguire i risultati individuati dall’organo di governo dell’ente; la dirigenza viene valutata in termini di performance in funzione diretta con il programma di mandato, al punto che non appare possibile erogare compensi legati alla produttività se non attraverso le valutazioni degli OIV; valutazioni tecniche “terze” collegate agli obiettivi di bilancio (decisi dagli organi elettivi): un collegamento tra risorse messe a disposizione ed esecuzione della prestazione lavorativa proiettata a dare esiti positivi alle aspettative
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In questa dinamica di rapporti, appare evidente che da una parte, vi è il potere di tracciare la “via” con un esercizio discrezionale (ed è questo il potere) del merito, dall’altra, vi è il dovere di raggiungere la “meta” con un esercizio discrezionale (si tratta di discrezionalità tecnica) della competenza ex lege affidata.
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La scelta della dirigenza, o più in generale, di un dipendente pubblico da assumere in servizio nella P.A. dovrebbe avvenire per “concorso” (cfr. ultimo comma articolo 97 Cost.) o, quanto meno, attraverso una procedura pubblica di “comparazione” tra più candidati al posto (dicono che deve avvenire in modo “trasparente”).
L’instaurazione di un rapporto di lavoro pubblico (anche di una collaborazione a termine, in presenza di determinate condizioni cui non sia possibile far fronte con personale in servizio: in mancanza dei presupposti vi è il danno erariale, Corte Conti sez. III, 4 maggio 2012, n. 339) inserito nella pianta organica di una P.A. necessità di una procedura selettiva: lo scopo è individuare il migliore, il più preparato: quello che presenta una professionalità adeguata, accertabile da titoli ed esperienza lavorativa (non certo, come alcuni ritengono, da “ammiccamenti” politici; sarebbe contrario ai principi di legge (oltre che abusiva: la condotta) salvo i casi (ma questo non è ancora certo) di uffici alle dirette dipendenze degli organi elettivi (vedi infra).
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La prima sezione del T.A.R. Basilicata con la sentenza 14 agosto 2013 n. 499 interviene sulla questione (incarichi) e dichiara l’illegittimità della delibera comunale nella parte in cui decide di avvalersi di un’unità di personale da inserire nell’Ufficio di Gabinetto senza la intermediazione della indizione di alcuna procedura concorsuale o comparativa.
Il giudice annota, inoltre, che l’art. 90 del D.Lgs. n. 267/2000 prevede la costituzione di uffici posti alle dirette dipendenze del sindaco solo per l’esercizio delle funzioni di “indirizzo e di controllo” connesse all’attività di indirizzo politico e tra le stesse sicuramente non può farsi rientrare una funzione di natura di gestionale (caso di specie: assistente sociale: non solo non rientra tra le ipotesi di esclusione tipizzate dal legislatore, ma non può neanche considerarsi come un’attività istituzionale e burocratica – amministrativa di diretta collaborazione di fiducia del sindaco).
Sul punto (solo per citare qualche esempio), la giurisprudenza contabile ha chiarito che non è conforme a legge il contratto di collaborazione avente ad oggetto un incarico di lavoro autonomo occasionale conferito senza il preventivo espletamento di una procedura comparativa atta a garantire la maggiore partecipazione degli interessati e la migliore selezione del personale (Corte Conti, sez. contr., 7 maggio 2012, n. 10).
È quindi necessaria una procedura selettiva (cfr. 7, D.Lgs. n. 165 del 2001,T.A.R. Roma Lazio sez. II, 7 luglio 2009, n. 6527) perché va individuato da una parte, il merito, dall’altra si consente la massima partecipazione senza discriminazioni o “raccomandazioni”.
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Ciò posto, il dirigente esercita la sua funzione gestionale e possiede competenza proprie (riserva di competenza) che non possono essere “compromesse” da ingerenze esterne, o da ausili decisionali.
Ne consegue che la legalità e l’imparzialità dell’attività amministrativa deve essere sempre difesa dalle influenze della politica, se divergenti da detti principi fondamentali (Corte Conti, sezione giurisdizionale Veneto, 20 giugno 2012, n.460).
In termini diversi, l’organo elettivo non può sostituirsi nelle determinazioni tecniche: la legge 190/2012 (la c.d. “Anticorruzione”, cfr. comma 39, art.1) ritiene che la garanzia dell’esercizio imparziale delle funzioni amministrative possa essere raggiunto con il rafforzamento della separazione tra organi di indirizzo politico e organi amministrativi.
Allora è da rammentare che la competenza attribuita dal D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, ai Consigli Comunali deve intendersi circoscritta agli atti fondamentali dell’Ente, di natura programmatoria o aventi un elevato contenuto di indirizzo politico, mentre spettano alle Giunte Comunali tutti gli atti rientranti nelle funzioni degli organi di governo (Consiglio di Stato, sez. I, 21 ottobre 2010, n. 3894).
I Giudici di seconde cure (Cons. Stato, sez. V, 20 agosto 2013 n. 419) si esprimono rilevando che:“il nuovo sistema di riparto di competenze tra organi politici è retto dal principio secondo cui l’organo elettivo è chiamato ad esprimere gli indirizzi politici ed amministrativi di rilievo generale, che si traducono in atti fondamentali tassativamente elencati dall’art. 32 della legge 8 giugno 1990, n. 142, poi trasfuso nell’art. 42 del T.U.E.L. Al Consiglio, organo di indirizzo politico-amministrativo, spetta (anche in virtù del fatto che in esso sono rappresentate tutte le forze politiche, comprese le minoranze) il compito, da un lato, di contribuire attivamente alla formazione e all’aggiornamento del programma politico-amministrativo del Sindaco e della Giunta (funzione di indirizzo), e, dall’altro, di controllare che l’azione di governo sia fedele al programma stesso (funzione di controllo). Oltre a tali funzioni, di carattere generale, spetta al Consiglio anche l’adozione di una serie di atti fondamentali, attraverso cui si esplica il ruolo di indirizzo dell’organo. Con l’attribuzione di una competenza limitata ad una serie di atti tassativamente individuati, il legislatore ha infatti voluto trasformare il Consiglio da organo con competenza generale e residuale (quale era nel T.U. del 1915) in organo con attribuzioni specificamente individuate ed esclusive. L’elencazione, peraltro, non esaurisce le sue attribuzioni in quanto altre norme e lo stesso T.U. individuano ulteriori competenze; tuttavia, si tratta di competenze esclusive perché solo il Consiglio può esercitarle. Con tale scelta il legislatore ha voluto alleggerire la vita istituzionale del Consiglio che risultava notevolmente appesantita da tutta quella miriade di compiti che vi gravavano in virtù della competenza generale e residuale, e conseguentemente, rafforzare il ruolo politico del Consiglio stesso. Occorre inoltre precisare che gli atti di competenza del Consiglio sono espressamente definiti “fondamentali” dal legislatore, proprio per indicare che si tratta di atti assai significativi e qualificanti per la vita e l’organizzazione dell’ente, che per la loro rilevante incidenza e/o straordinarietà rispetto al flusso quotidiano dei bisogni correnti richiedono l’attenzione del massimo organo. Per converso, nel sistema delineato dal T.U., la Giunta comunale è l’organo politico esecutivo che compie gli atti di amministrazione che non siano riservati dalla legge al Consiglio e che non rientrino nelle competenze – previste dalle leggi o dallo statuto – del Sindaco, degli organi di decentramento, del segretario o dei dirigenti ex art. 107 del T.U. 267-2000. In altri termini, diversamente dal passato, spetta alla Giunta una competenza generale e residuale in virtù della quale a tale organo sono attribuite tutte quelle materie che la legge o gli statuti non riservano ad altri organi, sia politici che burocratici, dell’ente locale. È stato osservato come tale modo di definire le competenze della Giunta comporti delle evidenti incongruenze e delle notevoli difficoltà, non essendo certamente agevole verificare ed individuare ogni volta, in negativo, quali atti non sono assegnati dalla normativa alla competenza del Sindaco, del Consiglio e dei dirigenti. Il problema di delimitazione delle competenze della Giunta, risulta poi particolarmente complesso proprio con riguardo ai poteri attribuiti ai dirigenti, posto che l’art. 107 del T.U. individua in modo negativo e residuale anche la competenza di questi ultimi stabilendo che spettano agli organi burocratici “gli atti e i provvedimenti che impegnano l’Amministrazione verso l’esterno, non compresi espressamente dalla legge e dallo statuto tra le funzioni di indirizzo e controllo politico degli organi di governo dell’ente o non rientranti tra le funzioni del segretario o del direttore generale”. Poiché sia la Giunta che i dirigenti sono organi cui la legge attribuisce funzioni lato sensu esecutive dell’indirizzo politico, il discrimen tra le due competenze è, dunque, da individuare nella diversa natura dei due organi e nel principio di separazione tra attività politica e attività gestionale. Senza approfondire una tematica sulla quale copiosi sono stati gli interventi di dottrina e in giurisprudenza, in questa sede basti ricordare che la Giunta è un organo di governo dell’Ente locale e pertanto svolge una funzione di attuazione politica delle scelte fondamentali operate dal Consiglio, mentre ai dirigenti compete l’attività di gestione tecnica-finanziaria-contabile e l’assunzione di tutti i provvedimenti amministrativi, o atti di diritto privato, necessari per conseguire gli obiettivi stabiliti dagli organi di indirizzo”.
Dopo questa ampia e chiara disamina, non si può che giungere a definire che, qualora possano emergere dubbi interpretativi, il principio di “separazione” impone che un atto gestionale debba (nel dubbio) essere adottato dalla dirigenza.
Per queste ragioni, il “contratto” di concessione di area demaniale per l’installazione di un impianto di frantumazione e selezione di inerti rientri nella competenza dirigenziale.
I Giudici di Palazzo Spada annotano “tenuto conto del ruolo rivestito dal Consiglio nel sistema del T.U., sembra ragionevole ritenere che la competenza a deliberare in materia sia del tutto esclusa, non essendo tale materia attinente alla gestione dei servizi pubblici e, in particolare, alla concessione del servizio, ove in ogni caso la competenza di tale organo si riferisce alla decisione di principio circa il modulo organizzativo da adottare (ad es., concessione e non s.p.a.) e non si estende certamente a tutti gli atti esecutivi di tale scelta, proprio per l’espressa limitazione delle competenze dell’organo elettivo agli atti fondamentali”.
Rientra, quindi, “nelle attribuzioni dirigenziali il potere di negare il rinnovo di un contratto avente ad oggetto la disciplina di un rapporto concessorio in scadenza, atteso che in esso non sono ravvisabili profili che possano ricondursi a scelte strategiche o di indirizzo politico da compiere”.