La servitù (diritto reale sulla cosa altrui) di uso pubblico su una strada di proprietà privata (da non confondere con le strade vicinali private formate “ex collatione privatorum agrorum” di proprietà dei conferenti) è caratterizzata dall’utilizzazione, da parte di una collettività indeterminata di persone, del bene privato idoneo, quest’ultimo, al soddisfacimento di un interesse generale.
La prima conseguenza comporta che tale “uso” incide sull’utilizzo del bene privato, bene che deve essere da una parte, idoneo allo scopo, dall’altra, essere effettivamente destinato al servizio della totalità dei cittadini (uti cives), quali titolari di un pubblico interesse (non uti singuli): la collettività si trova in una posizione “qualificata” (iura in re aliena) rispetto al bene gravato.
In questa prospettiva, le strade vicinali si caratterizzano per la proprietà privata del suolo, compresi accessori e pertinenze, mentre l’uso è in capo all’ente pubblico (e, in via strumentale, a tutta la popolazione), titolare di un diritto reale di transito (ex art. 825 c.c.); di converso quelle demaniali si identificano per l’appartenenza solamente alla P.A. (nelle sue articolazioni).
Va preliminarmente chiarito che, ai fini dell’acquisto del carattere demaniale da parte di una strada privata, non solo è necessario che la strada sia destinata all’uso pubblico, ma occorre altresì che sia intervenuto un atto formale che ne abbia trasferito il dominio alla P.A., quest’ultimo elemento ulteriore non è invece necessario nella diversa ipotesi in cui occorra procedere all’accertamento dell’uso pubblico di una strada privata, essendo in tal caso sufficiente la dimostrazione della protrazione dell’uso stesso da tempo immemorabile (Cons. Stato, sez.V, 24 maggio 2007, n. 2618).
È necessario, pertanto, accertare il “pubblico transito”, il cui concetto subisce delle logiche differenziazioni a seconda della tipologia di tracciato viario su cui si punta l’indagine, per cui gli elementi indicatori dell’uso pubblico di una strada situata all’interno di un centro abitato differiscono almeno parzialmente da quelli che consentono di affermare che una strada sia “vicinale” (ossia, fuori dal centro abitato), nel senso di aperta alla generalità indistinta dei residenti nella zona attraversata da un percorso viario; in particolare, nel caso in cui il tracciato delle strada si addentri all’interno di zone montane impervie, il pubblico transito di per sé non viene meno per effetto della impraticabilità parziale o anche totale dei percorsi al carreggio, in quanto, per mantenere detta funzione pubblicistica risulta sufficiente la presenza, anche non frequente, di transito pedonale, purchè esso sia esercitato da parte della generalità degli abitanti e per qualsiasi loro utilità contingente (T.A.R. Emilia Romagna – Parma, 21 gennaio 2005, n. 12).
In linea con tale posizionamento, deve riconoscersi natura esclusivamente privata ad una strada a fondo cieco a servizio di un condominio, nel caso in cui:
a) sia stata costituita una servitù di passaggio di cui sono esclusivi proprietari i frontisti;
b) risulti assente un frazionamento ed un atto di cessione all’ente comunale;
c) la strada non sia indicata nel P.R.G.;
d) manchi un qualsivoglia titolo (convenzione o usucapione ventennale o atto di cessione) ed una utilità collettiva (entrambi necessari a costituire un diritto di uso pubblico su strade private a fondo cieco funzionali soltanto al passaggio dei frontisti);
e) la strada non sia stata inclusa nell’elenco delle strade comunali (T.A.R. Emilia Romagna – Bologna, sez. II, 10 aprile 2007, n. 370).
È necessario appurare l’idoneità ex se della strada al suo utilizzo generalizzato (non, quindi, dei soli residenti di un ambito urbano), dovendo perciò escludersi l’uso pubblico quando il passaggio venga esercitato unicamente dai proprietari di determinati fondi in dipendenza della particolare ubicazione degli stessi, o da coloro che abbiano occasione di accedere ad essi per esigenze connesse alla loro privata utilizzazione, oppure, infine, rispetto a strade destinate al servizio di un determinato edificio o complesso di edifici (Cass. Civ., I, 22 giugno 1985, n. 3761).
L’insieme conferma che l’affermazione dell’uso pubblico della strada deve basarsi su una serie di elementi fondamenti e non su semplici dichiarazioni, ancorchè contenute in atti tra privati, poiché la costituzione su una strada privata di una servitù di uso pubblico può avvenire, alternativamente, a mezzo della cd. dicatio ad patriam – costituita dal comportamento del proprietario di un bene che metta spontaneamente ed in modo univoco il bene a disposizione di una collettività indeterminata di cittadini, producendo l’effetto istantaneo della costituzione della servitù di uso pubblico, ovvero attraverso l’uso del bene da parte della collettività indifferenziata dei cittadini, protratto per il tempo necessario all’usucapione (Cons. Stato, sez. V, 28 giugno 2011, n. 3868).
Appurato o dimostrato l’uso pubblico, tali accertamenti sono di per sé sufficienti per il legittimo esercizio dei poteri (al fine di evitare l’aggravarsi del pregiudizio per il pubblico interesse) di tutela possessoria, da parte della P.A., dell’uso pubblico al fine dell’immediato ripristino dello stato di fatto preesistente sulla strada vicinale in presenza di una turbativa (debitamente accertata) del medesimo uso.
(ESTRATTO, LE STRADE VICINALI, L’UFFICIO TECNICO, 2013, N.10)