L’interesse di accedere agli atti di un procedimento amministrativo che incide la sfera giuridica del “vicino” è di per sé sufficiente a giustificare l’actio ad exhibendum.
È noto che le disposizioni in materia di diritto di accesso agli atti della P.A. mirano a coniugare la ratio dell’istituto, quale fattore di trasparenza e garanzia di imparzialità dell’Amministrazione – nei termini di cui all’art. 22 della legge n. 241/1990 – con il bilanciamento da effettuare rispetto ad interessi contrapposti e fra questi – specificamente – quelli dei soggetti “individuati o facilmente individuabili” che dall’esercizio dell’accesso vedrebbero compromesso il loro diritto alla riservatezza.
L’accesso agli atti è stato ulteriormente esteso con il c.d. “accesso civico” (ex art. 5 del d.lgs. n. 33/2013) che permette di prendere visione ad una serie di provvedimenti e atti che riguardano “l’organizzazione e l’attività” della P.A., pur in assenza di un interesse qualificato, richiesto altrimenti dalle norme del citato articolo 22, della legge generale del procedimento amministrativo.
In effetti, con il d.lgs. n. 33/2013 il legislatore ha modificato la prospettiva del diritto di accesso rispetto all’accesso procedimentale classico, di cui gli artt. 22 e ss. della legge n. 241/1990, necessariamente collegato alle specifiche esigenze del richiedente (need to know), mentre il c.d. “accesso civico”, mutuato anche dall’esempio degli ordinamenti anglosassoni (cfr. il Freedom of Information Act, cd. FOIA statunitense) e da specifici settori dell’ordinamento (cfr. la Convenzione di Aarhus, recepita con la legge n. 195/2005), garantisce all’intera collettività il diritto di conoscere gli atti adottati dalla pubblica amministrazione in funzione di controllo generalizzato da parte dell’opinione pubblica e di piena realizzazione del principio trasparenza (right to know).
È da dire anche che esigenze partecipative e conoscitive impongono che l’interesse all’accesso, definito dall’art. 2, comma 1, del d.p.r. n. 184/2006, sia “interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente a una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è richiesto l’accesso”, riversando tali presupposti nel divieto di un esercizio del diritto per finalità di mero controllo della legalità dell’attività amministrativa al di fuori dei casi contemplati dalle norme del diritto positivo: l’istanza deve essere sorretta da un interesse giuridicamente rilevante, così inteso come un qualsiasi interesse che sia serio, effettivo, autonomo, non emulativo, non riducibile a mera curiosità e ricollegabile astrattamente alle previsioni della legge.
Il perimetro di riferimento porta a ritenere che l’istituto dell’accesso agli atti amministrativi si estende da una parte, con un accesso generalizzato per gli atti individuati dal legislatore con specifiche norme motivate dall’esigenza di assicurare “trasparenza” dell’organizzazione pubblica (quale misura di prevenzione della corruzione, cit. d.lgs. n.33/2013), dall’altra, garantire la partecipazione al singolo procedimento quando sia presente un interesse personale o venga compromessa la propria sfera di riservatezza, bilanciando i vari interessi che entrano in conflitto: la c.d. privacy non prevale in maniera incondizionata ma anzi è destinato a recedere qualora l’accesso sia funzionale alla tutela di interessi giuridici del richiedente: la verifica va fatta “caso per caso” (come si vedrà in seguito).
Infatti, chiunque inoltri una richiesta di accesso è tenuto ad indicare la propria posizione legittimante al fine della tutela di situazioni giuridicamente rilevanti e deve, altresì, fornire la motivazione della richiesta stessa: l’accesso agli atti amministrativi è consentito soltanto a coloro che vi abbiano interesse, potendosene eventualmente avvalere per la tutela di una posizione soggettiva giuridicamente rilevante, non identificabile con il generico interesse di ogni cittadino al buon andamento dell’attività amministrativa.
Ciò posto, il possesso del titolo di legittimazione discende da una situazione che possiede il richiedente rispetto ad un determinato procedimento autorizzatorio, e quando l’intervento richiesto da un terzo si pone in stabile collegamento giuridico con il territorio circostante (incidendo su un soggetto e/o più soggetti che convivono in prossimità dell’intervento assentito) sussiste il requisito della “vicinitas”, idoneo all’apporto partecipativo, rectius accessibilità al procedimento del terzo richiedente.
Quando è presente la “vicinitas” tra la proprietà dell’istante e quella del controinteressato, la posizione di quest’ultimo rispetto a quella del “quisque de populo”, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento.
Peraltro, tale criterio è ampiamente richiamato in materia collegata all’uso del territorio, dove viene riconosciuta la legittimazione di singoli soggetti ad impugnare atti amministrativi i quali, in qualche modo, interessino l’ambiente ovvero il territorio; in queste evenienze è riconosciuta la legittimazione in base al citato criterio della c.d. vicinitas, definita in termini sintetici come “il fatto che i ricorrenti vivano abitualmente in prossimità del sito prescelto per la realizzazione” dell’intervento di che trattasi.
(Estratto, Vicinitas e diritto di accesso, La Gazzetta degli enti locali, 15 aprile 2015)