Il diritto di accesso documentale (o difensivo) si atteggia a “diritto fondamentale di difesa”, poiché laddove sia negata la conoscenza della documentazione, il diritto di difesa perde di effettività.
Tale diritto di difesa prevale sulla riservatezza dei terzi e, in base al combinato disposto degli artt. 24 della legge n. 241 del 1990 e 60 del d.lgs. n. 196 del 2003, quando l’accesso sia strumentale alla tutela di propri interessi in giudizio, l’accesso può essere negato solo in presenza dei c.d. dati supersensibili (stato di salute o vita sessuale), a meno che non si rientri nei casi di documenti sottratti ab origine all’accesso, l’accesso deve essere consentito.
In effetti, quando sussiste la visione degli atti a scopo difensivo vi è l’integrale estrazione degli stessi una volta che l’istante abbia dimostrato il proprio interesse, con l’inevitabile conseguenza che è illegittimo il divieto di estrarre copia o la limitazione dell’accesso alla sola visione degli atti, poiché spesso non è sufficiente a consentire la tutela in sede giurisdizionale dei propri interessi.
Non è compito, quindi dell’amministrazione (o il soggetto ad essa equiparato), in sede di esame di una domanda d’accesso a valutare l’inerenza del documento richiesto con l’interesse palesato dall’istante, e non anche l’utilità del documento al fine del soddisfacimento della pretesa correlata; ne del giudice, adito a seguito di diniego di accesso agli atti amministrativi, valutare nel merito l’idoneità dimostrativa della documentazione richiesta, bensì soltanto verificare la verosimiglianza delle giustificazioni a sostegno dell’istanza di accesso per ragioni di difesa in giudizio.
Deve porsi come un prius rispetto ad una valutazione puntuale la verifica in astratto, senza che possa essere operato alcun apprezzamento in ordine alla fondatezza o ammissibilità della domanda che gli interessati potrebbero eventualmente proporre (in sede giudiziale) sulla base dei documenti acquisiti mediante l’accesso: la legittimazione all’accesso non può essere valutata alla stessa stregua di una legittimazione alla pretesa sostanziale sottostante, limitandosi all’accertamento dei suoi presupposti fattuali.
Fatte queste premesse di ordine generale, si comprende che l’accesso integrale alla documentazione amministrativa di un determinato procedimento può teoricamente incontrare dei limiti provvisori all’ostensibilità in relazione alla presenza di controinteressati, ovvero di quei soggetti che potrebbero vedere pregiudicata la propria riservatezza, con la necessaria chiamata del terzo nella decisione da adottare, in relazione alla richiesta di accesso documentale.
Nei termini segnalati e con ulteriori profili di rilevanza, la prima sezione del T.A.R. Sardegna, con la sentenza n. 275 del 26 marzo 2018, è intervenuta per garantire la piena accessibilità agli atti di un procedimento concluso con l’elevazione di una sanzione amministrativa, compreso il verbale redatto dagli ufficiali di Polizia Giudiziaria.
Il caso di specie, vedeva coinvolta la Questura che denegava la visione ed estrazione di copia dei verbali di sommarie informazioni (ritenute sottratte all’accesso in base ad apposito decreto ministeriale) poste a base di una sanzione amministrativa per l’aver venduto bevande alcoliche e superalcoliche oltre le ore 03.00.
Il ricorrente dopo aver ricevuto la notifica del verbale di accertamento e contestazione di illecito amministrativo chiedeva copia integrale della documentazione utilizzata nel procedimento che ha portato alla contestazione delle violazioni: è innegabile che il verbale è parte sostanziale del procedimento sanzionatorio, costituendo il presupposto giuridico per l’applicazione della sanzione (ex art. 3 della legge n 241/1990).
La domanda giudiziale deduceva essenzialmente la violazione dell’art. 24 della legge n. 241/1990, dell’art. 8, comma 2, del D.P.R. n. 184 del 2006, nonché del regolamento ministeriale, rilevando che la sottrazione degli atti doveva fondarsi sulla dimostrazione di un effettivo pregiudizio alla “sicurezza nazionale”, dovendo valorizzare la trasparenza, connessa con il diritto di difesa rispetto all’interesse che si intende tutelare in assenza di un interesse pubblico prevalente.
Non è un caso che le limitazioni (esclusioni relative o qualificate) del diritto di accesso civico generalizzato, ex comma 1, lettera a) e b) dell’art. 5 bis del d.lgs. n. 33/2013, devono essere correlate alla funzione inerente la “prevenzione dei reati e al mantenimento dell’ordine pubblico”, che comprende la tutela dell’interesse generale alla incolumità delle persone, oltre alle tematiche attinenti alla “sicurezza nazionale”, che è legato all’interesse dello Stato-comunità alla propria integrità territoriale, alla propria indipendenza e, al limite, alla stessa sua sopravvivenza (non sembra che questo limite alla somministrazione di bevande alcoliche possa compromettere tali valori).
Il giudice di prime cure non può, pertanto, orientare il fuoco decisionale se non ammettendo un’interpretazione «in senso restrittivo, precludendo l’accesso solo se si riscontrino specifiche ed effettive esigenze di salvaguardia dell’ordine e della sicurezza pubblica», fornendo una motivazione plausibile che renda contezza dell’interesse sotteso alla limitazione dell’accesso integrale alla documentazione, e al relativo verbale di accertamento.
È necessario, in termini più espliciti, dare riscontro ai profili di tutela e non limitarsi ad un generico rinvio formale alla norma, valutando il pregiudizio concreto agli interessi pubblici e quelli dei controinteressati che potrebbero subire come conseguenza dell’accesso: giustificare le ragioni di sicurezza pubblica e i pregiudizi alla riservatezza degli autori delle dichiarazioni rese a verbale.
Inoltre, quando l’accesso è strumentale alla tutela giuridica (art. 24, comma 7, della legge n. 241/1990) anche le esigenze di riservatezza sono tendenzialmente recessive, annota il giudice amministrativo, precisando altresì che le eventuali esigenze di riservatezza possano essere preservate mediante l’apposizione di omissis sulla documentazione richiesta.
Passando da queste basi prospettiche al caso trattato non si può non rilevare che anche nei casi di esclusione del diritto di accesso, l’art. 24, ultimo comma, prevede che l’accesso sia comunque garantito quando la «conoscenza della documentazione amministrativa richiesta sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici».
L’interesse alla conoscenza della documentazione risulta ex se dalla constatazione che il diritto di difesa non può prescindere dalla verifica dei fatti descritti nel verbale da cui promana l’atto di contestazione delle violazioni amministrative, nei confronti del quale il ricorrente intende far valere le sue ragioni.
Queste circostanze oggettive giustificano efficacemente che l’esercizio (anche solo potenziale) dei diritti di difesa non può trovare cittadinanza in assenza del diritto di accesso integrale alla documentazione, rimarcando che le ragioni di riservatezza potranno essere efficacemente preservate e tutelate mediante la cancellazione dei dati che potrebbero far risalire alla identità di chi ha rilasciato le dichiarazioni riportate nei verbali di sommarie informazioni oggetto dell’istanza di accesso.
Il diritto di accesso documentale (c.d. defensionale) si atteggia, quindi, a “diritto fondamentale di difesa”, poiché laddove sia negata la conoscenza completa della documentazione, il diritto di difesa perde di effettività, salvo la dimostrazione di un diverso e prevalente interesse pubblico, da giustificare puntualmente nella sua effettività a copertura di un limite alla trasparenza codificato da una fonte primaria.
(estratto, Il diritto di accesso alle dichiarazioni, La Gazzetta degli enti locali, 16 aprile 2018)