«Libero Pensatore» (sempre)
Articolo Pubblicato il 18 Agosto, 2018

Le concessioni autostradali e i modelli di sviluppo

Le concessioni autostradali e i modelli di sviluppo

Il perseguimento dell’interesse pubblico prevale sull’interesse privato

I fatti di Genova impongono in primis un solenne silenzio per le vittime innocenti, i feriti, i senza casa.

Dopo, è obbligatoria una semplice riflessione: se questo disastro poteva essere previsto o evitato?.

Anche coloro che non sono esperti del settore ingegneristico o della costruzione di opere pubbliche, comprendono che il cedimento o il crollo di un ponte è uno dei primi eventi possibili (oltre all’errore progettuale), e che nelle “politiche sulla sicurezza dei trasporti” la prevenzione di tale rischio è una prima misura da adottare e monitorare.

È noto, per coloro che studiano o lavorano per la “sicurezza o la difesa dello Stato”, può essere uno dei casi in cui è possibile imporre il segreto di Stato, ex art. 39 della Legge n. 124 del 3 agosto 2007 n. 124 (cfr., sotto il profilo amministrativo, il primo comma dell’art. 5 bis del D.Lgs. n. 33/2013, e più puntualmente il primo comma, lettera a) dell’art. 24 della Legge n. 241/1990), poiché qualsiasi atto che attenta alle comunicazioni viarie, oltre a essere un reato (ex art. 432 c.p.), compromette la tutela dello Stato.

Ciò che è successo può essere attribuito ad un difetto di costruzione (a distanza di tanti anni), ad un evento di forza maggiore o imprevedibile o eccezionale, a cattiva od omessa manutenzione?

Anche coloro che non sono esperti del settore ingegneristico o della costruzione di opere pubbliche sono in grado di comprendere che, al di là delle cause (in parte sono intuibili e già rese note), il fatto rimane e la graduazione delle responsabilità non possono che essere attribuite al gestore/concessionario, quantomeno per omessa vigilanza («Troppe criticità, noi del Politecnico consigliammo di installare sensori», rep.repubblica.it, 17 Agosto 2018), al proprietario dei beni, quantomeno per omesso controllo, non potendo ragionevolmente attribuirle al destino, o nell’antichità al fato.

In verità «faber est suae quisque fortunae» (attribuita al censore Appio Claudio Cieco) costituisce un eloquente aforisma che non può distogliere le responsabilità (ovviamente, tutte da dimostrare, in funzione dei rapidi tempi della giustizia) di coloro che da una parte, sono i concessionari gestori della rete viaria, dall’altra, i concedenti della concessione autostradale.

Da subito, sono emersi diversi profili di interesse sulla tempistica della proroga della concessione autostradale (una c.d. manina avrebbe inserito un emendamento all’utima ora), sulle privatizzazioni (taroccate), sull’aggiotaggio, sulla revoca della concessione e sull’indennizzo, sui soldi spesi in pubblicità, sull’assenza nei TG del nome del concessionario, sul desecretamento integrale dei contratti, sull’inadempimento contrattuale senza obbligo di risarcimento, su promozioni esemplari ai vertici dello Stato e/o della UE, sul new world order (acronimo, NWO), sulla perdita di sovranità, sul conflitto di interessi, sulle porte girevoli («… risponde a dagospia» dagospia.com, 17 agosto 2018), su altro ancora (non mancheranno sorprese se tuttà la verità non sarà depositata alla storia).

Bisogna vagliare tutte le piste per far emergere le singole responsabilità, quelle collettive sono note, senza tralasciare niente: è un dovere etico prima, giurdico poi: in onere/onore della Giustizia.

Ma ci meritiamo tutto questo… (?), o forse c’è il bisogno di una maggiore rettitudine e diligenza, di punire i corrotti e quelle lobby che speculano sulla vita delle persone (?):  «… coi cuori a forma di salvadanai, noi che invochiam pietà fummo traviate… Uomini, poichè all’ultimo minuto non vi assalga il rimorso ormai tardivo per non aver pietà giammai avuto e non diventi rantolo il respiro: sappiate che la morte vi sorveglia, gioir nei prati o fra i muri di calce, come crescere il gran guarda il villano, finchè non sia maturo per la falce» (DE ANDRÈ, Recitativo (Due invocazioni e un atto d’accusa), dall’Album Tutti morimmo a stento, 1968)

Tutti argomenti che sono e saranno vagliati dai periti e dai giuristi, dagli operatori del diritto e dalla dottrina, dalla Magistratura, dal Parlamento, dal Governo, dal POPOLO SOVRANO.

E, intanto, celebriamo i funerali dei morti.

È certo, che una concessione autostradale, così come tutte le concessioni amministrative di affidamento dei servizi pubblici (le società autostradali possono qualificarsi come un “organismo di diritto pubblico”, in quanto soggetta alla direzione e coordinamento di altro organismo di diritto pubblico, Cons. Stato, sez. IV, 3 ottobre 2014, n. 4949), dovrebbero essere soggette alle regole della trasparenza e del perseguimento dell’interesse pubblico, dove dovrebbe prevalere la qualità del servizio, in cui rientra principalmente la sicurezza dalle insidie (ex art. 2051 c.c.) e le logiche di investimento degli utili sul loro miglioramento, più che una logica utilitaristica del profitto privato, anche se è pur sempre lecito.

Gli atti concessori dovrebbero trattare e contenere clausole negoziali chiare sugli obblighi di sicurezza stradale, sugli obblighi di manutenzione, sugli obblighi di investimento rapporti alle tariffe riscosse, sulle penali da applicare in caso di ritardo o di inadempimento, sui casi di risoluzione o recesso immediato (ad libitum o ad nutum) in presenza di fatti gravi (i disastri ne sono una evidente causa) che minano le relazioni, prima che economiche e sociali, quelle ordinarie di correttezza e buona fede, in ambito civilistico (ex artt. 1175 e 1375 c.c.), quelle di buona amministrazione (ex art. 97 Cost.) in ambito pubblico, sempre assicurando il contraddittorio e il giusto procedimento, nonché la trasparenza informativa verso gli utenti finali: I CITTADINI.

Le concessioni autostradali sono un modo di gestione dei beni pubblici (ex secondo comma dell’art. 822, cc.; «le autostrade sono aree ad uso pubblico destinate alla circolazione dei pedoni, dei veicoli e degli animali», ex art. 2, comma 1 del D.Lgs. n. 285/1992, c.d. Codice della strada) affidato a terzi rispetto alla gestione diretta dello Stato, che deve sempre sottostare alla finalizzazione dell’interesse generale, cioè quello pubblico: il perseguimento del bene della vita: il benessere collettivo: la tutela dell’essere umano.

Non si può allora che attenersi alle parole del PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA «Come si è visto durante i funerali, questi sono momenti di dolore condiviso da tutta l’Italia che è unita in questo stato d’animo. E le parole vanno spese in questa direzione, perché il Paese unito rende anche più forte e più efficace la severità nell’accertamento della verità e delle responsabilità che vanno perseguite con rigore. Genova è stata colpita, tutti i genovesi e tutti coloro che si sono recati a Genova in questi anni sono passati su quel ponte. Anche io lo ho percorso tante volte, anche di recente. È una tragedia che ha coinvolto tanti, tutto il nostro Paese. È una tragedia inaccettabile. Vi sono tre impegni che vanno adesso onorati: quello di vicinanza ai familiari di chi ha perso la vita, ai feriti e alle famiglie che hanno dovuto lasciare le abitazioni perché in pericolo; l’impegno di un accertamento rigoroso e sollecito delle responsabilità; il dovere di assicurare al nostro Paese la sicurezza delle strade e dei trasporti. Sono impegni dell’Italia intorno a Genova ma per l’intero nostro Paese» («MATTARELLA alle esequie solenni delle vittime del crollo del ponte Morandi», 18 agosto 2018, quirinale.it.).

Si riportano degli estratti, «ORIENTAMENTI SULLA GESTIONE DEI SERVIZI PUBBLICI LOCALI TRA LIBERALIZZAZIONI INCOMPIUTE E DIMENSIONE SOCIETARIA», LexItalia.it, 2012, n. 2.

«Deve essere premesso che la definizione di servizi pubblici a rilevanza economica (rispetto alla precedente qualificazione “a rilevanza industriale”) si pone come punto d’arrivo di un tracciato giuridico – concettuale che fornisce una nozione contenutistica del servizio pubblico, inteso come produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali…

Trovare una soluzione al modello gestionale a fronte di innumerevoli spinte protezionistiche, o sotto la pressante richiesta di garantire affidamenti diretti a scadenze prestabilite, con margini possibili di deroghe, tradisce lo spirito generale della riforma e la volontà di aderire alla concorrenza a tutela dell’utente finale, ma soprattutto per ricercare nuovi sistemi di investimenti e soggetti capaci di gestire il servizio in piena libertà, senza condizionamenti e sopratutto riducendo i costi del servizio: la concorrenza come obiettivo di riduzione della spesa a carico del consumatore – cliente finale

È necessario potenziare gli strumenti per rendere effettivo il controllo, procedere con una diversa azione combinata di public politicy, verso una liberalizzazione sostanziale (vedi, riforma MONTI) e una semplificazione del sistema, che deve partire da una semplificazione delle regole e dal merito, assicurando strumenti di autoregolamentazione e Autorità di controllo

Aprire al mercato significa garantire un grado adeguato di competitività e un assetto societario alieno da negoziazioni politiche, in violazione alle più elementari regole dell’autonomia decisionale e delle capacità imprenditoriali, omettendo di intasare i vertici dirigenziali e/o i consigli di amministrazione con soggetti incapaci e privi di una adeguata esperienza professionale e/o maturità tecnica, chiudendo tutte quelle aziende pubbliche che generano perdite e posti di lavoro non collegati alla redditività del servizio.

È necessario ristabilire una concorrenza che dimostri un risparmio sui costi del servizio e allo stesso tempo aumenti la qualità degli stessi, in una visione democratica (etica) rispettosa del patrimonio pubblico e dell’interesse collettivo (con un evidente arretramento di un certo modo di intendere la politica, un ridimensionamento della classe politica per ridurne il peso sulla società, evitando “la commistione/confusione fra cariche pubbliche e interessi privati nonché l’uso delle prime per proteggere e promuovere i secondi”, PASQUINO, La classe politica, Bologna, 1999, pag. 69).

L’assimetria informativa tra l’Autorità pubblica e cliente finale è solo un indice di questa sfasatura, la prospettiva europea spinge a incrementare l’efficienza e l’offerta di servizi pubblici a prezzi competitivi piuttosto che la creazione di spazi di indeterminata autonomia, funzionali non all’erogazione del servizio ma alla creazione di un plus valore direttamente collegato ad aumenti tariffari senza un corrispondente aumento della qualità del servizio: una concorrenza incapace di riformulare uno sviluppo locale a risorse invariate, con effetti diretti sulla diminuzione dei prezzi delle prestazioni erogate, e una effettiva (credibile) competitività.

Le aziende di servizi pubblici dovrebbero competere sul mercato in termini di qualità ed efficienza, senza far ricadere sugli utenti finali i costi della loro improduttività: la stesura dei piani tariffari (piani finanziari) dovrebbe essere trasparente, riportare in chiaro i costi di gestione del servizio, dimostrando concretamente l’aumento della produttività e un collegato risparmio per l’utenza finale.

Questo comporta il ridisegnare le aspettative del sistema produttivo nazionale e locale, ma soprattutto incidere sull’apparato pubblico, sulla certezza e la celerità dell’azione amministrativa, su un diverso e più attento atteggiamento nell’amministrare la res publica, sulla trasparenza delle informazioni (on line), sulla delegificazione e sulla semplificazione normativa, senza pregiudicare la qualità e la tutela del cittadino».

Si riportano degli estratti, «IL PARADOSSO DEGLI AFFIDAMENTI IN HOUSE NEI SERVIZI PUBBLICI LOCALI, TRA MECCANISMI DI INCOMPIUTA LIBERALIZZAZIONE E INCOMPATIBILITÀ COMUNITARIA», Lexitalia.it. 2004, n. 9.

«La concorrenza è divenuta sinonimo di liberalizzazione e privatizzazione del “Sistema Paese”, per riformulare gli obiettivi strategici della politica non solo industriale ma organizzativa dell’apparato pubblico, nei suoi diversi ambiti istituzionali, per uno sviluppo sostenibile (durevole) e per una amministrazione pubblica sempre più orientata ad erogare servizi e prodotti più che a produrre atti e provvedimenti, per rimanere in Europa.

La liberalizzazione e la privatizzazione ha portato, sin dai primi anni novanta, a riformulare la disciplina dei servizi pubblici locali per separare la proprietà delle reti e delle infrastrutture dalla gestione, per affidare i servizi in concorrenza e con procedure aperte (ictu oculi con gara).

Margini di deroga, all’evidenza pubblica, ingenerano il convincimento di situazioni patologiche (fuori norma) che obliterano i principi di legalità, evitando la rigidità di una predeterminazione assoluta, ma a vantaggio di una sola parte travolgendo i canoni del giusto procedimento in nome di un interesse superiore, attivabile legittimamente a fronte di inevitabili e contingenti situazioni e/o per motivate ragioni di legge (di stretta applicazione)…

Le linee salienti per non volare talmente alto da non vedere l’orizzonte, conducono a trarre qualche conclusione di principio sul modello di affidamento dei servizi pubblici a rilevanza economica (se ancora può avere un senso), e affermare che dal modello costituito dalla legge Giolitti (le municipalizzate), ancora non vi è un vero e proprio modello gestionale (dei servizi pubblici), compatibile con il mercato della concorrenza se il Legislatore nazionale si occupa (ancora) di sanare l’esistente (gli affidamenti in house o presunti tali) piuttosto che proiettarsi sulla piena liberalizzazione, ponendo ogni operatore (impresa pubblica e/o privata) in competizione per fornire un servizio pubblico moderno e a prezzi contenuti, se non vi è una disciplina generale credibile in grado di superare il giudizio di costituzionalità e resistere efficacemente alle procedure di infrazione proposte dalla Commissione europea (vedi ex articolo 35 della legge finanziaria 2002), se la concorrenza non è ancora riconosciuta come un valore di sviluppo per garantire nel mercato la regolarità, la continuità e la qualità del servizio pubblico, se manca (in verità) un vero sistema di governance.

La partecipazione all’(nell’)Europa implica il rispetto delle norme del Trattato (vedi articolo 86), implica il rispetto della concorrenza come principio fondante e pilastro di convergenza, coesione e integrazione territoriale, la flessibilità del sistema presenta evidenti sfasature e instabilità se convivono affidamenti diretti e affidamenti con gara, se vi è un’assimetria gestionale e una distorsione di competitività, se il modello societario seguito (a livello nazionale) non è in grado di essere neutrale nel mercato ma incide per costituire l’emanazione stessa dell’ente locale, se (in altri termini) va contro gli effetti voluti dalla liberalizzazione per costituire un paradosso giuridico – economico.

La società pubblica o la società mista per la gestione dei SPL, trova altri parametri di criticità, trova nel contratto di servizio nuove forme di esternalizzazione non esternalizzazione, se superate le difficoltà interpretative e affidati i servizi con gara, l’ente locale si spoglia del controllo e si abbandona al privato (e alle conseguenti logiche d’impresa), al c.d. management che mira ai risultati di bilancio, anche in questo caso si è perso il fine, non solo quello di aprire al mercato ma anche quello di rendere un servizio pubblico per il mercato dei clienti finali: l’utenza.

La strumentalità degli affidamenti in house costituisce un limite alla concorrenza, ma aperta la concorrenza bisogna che il sistema presenti dei margini di controllo e/o bilanciamento dell’ente locale (che rappresenta un territorio e la sua Comunità) affinché non abbandoni il servizio in una sola prospettiva d’impresa, bisogna operare per consolidare la socialità del servizio pubblico e agire sui sistemi di vigilanza, dove l’azionista di riferimento (l’ente territoriale) sia sempre capace di esprimere le istanze locali e possa richiamare (sanzionare efficacemente) il soggetto gestore ai suoi obblighi civici, doveri di solidarietà in primis.

Si dovrà coltivare la cultura aziendale ma non si dovrà perdere la tradizione solidaristica delle municipalizzate, si dovrà agire sullo Statuto societario, sugli atti di conferimento e parasociali, sui contratti di servizio per rendere sempre (e comunque) responsabile di fronte al cittadino colui – società selezionata – intenda gestire un servizio pubblico per un nuovo e più consolidato appeal ideologico – culturale…

Gli affidamenti in house non convincono appieno ma comprimono la concorrenza, creano disparità, discriminazioni e forse minano le libertà sulle quali si è costruito l’Europa: un grande mercato unico nel quale la sussidiarietà permette l’autonomia ad ogni livello di governo sociale e civile, nel quale tutti gli attori dovrebbero assicurare servizi pubblici di qualità e a prezzi contenuti, nel quale i monopoli o oligopoli non dovrebbero trovare cittadinanza alcuna».

Con la morte nel cuore, si annota che quei cittadini hanno pagato il pedaggio per morire: poteva capitare ad ognuno di noi!.