Riflessioni di fine estate
La questione che in questi giorni tiene banco (#MeToo) nelle prime pagine potrebbe essere riassunta qui gladio ferit gladio perit, richiamando il messaggio evangelico, qui acceperint gladium gladio peribunt (Matteo 26, 52).
Ma sarebbe poco dignitoso e irriverente, con una visione laica della questione.
La gravità impone una qualche riflessione sotto il profilo del “sentire comune” (la c.d. opinione pubblica), senza voler richiamare la questione morale ed etica sottesa.
Qualcuno si preoccupò, a distanza di tempo, di denunciare le molestie subite, in un determinato ambiente.
Cosa buona e giusta.
Ambiente, quello della ribalta, che notoriamente e storicamente non brilla per trasparenza, con carriere fulminanti di attori insignificanti (“attori cani” vengono definiti i peggiori interpreti di Hollywood, bestmovie.it, 23 maggio 2017), di relazione do ut des, di scambi tra prestazioni e controprestazioni di natura personalissima: i dati sono supersensibili (quelli riferiti alla vita sessuale o alle tendenze di genere, ex art. 60 del D.Lgs. n. 196/2003).
A distanza di poco tempo, si viene a sapere dalla stampa mondiale che il molestato era un molestatore di minore.
Se così fosse, si rimane senza parole e si perde la fiducia. Non si può più credere a nulla.
L’immagine pubblica può venire compromessa definitivamente, forse nei migliori dei casi.
La corruzione (non quella del costume) non è dissimile anche se di matrice comune, per gli effetti conseguiti: la dissoluzione/dissolutezza delle relazioni umane.
«… Sembra che il … si serva da un noto negozio di abbigliamento del centro cittadino, spendendo somme considerevoli e salutando sempre con la fatidica frase “Metta in conto””. Un conto che però verrebbe puntualmente saldato da un avvocato romano che ricopre l’incarico di funzionario amministrativo del Comitato romano della…» (Op, 11 settembre 1976).
Nella 68ª Assemblea Generale della Conferenza Episcopale Italiana, riunita nell’Aula del Sinodo della Città del Vaticano da lunedì 18 a giovedì 21 maggio 2015, si annota che «Nel linguaggio comune siamo soliti parlare di corruzione riferendoci all’abuso della posizione di un individuo, finalizzato all’egoistico perseguimento di interessi personali a discapito di colui che la subisce… il termine corruzione in un’accezione più ampia, coerente con la sua derivazione etimologica dal latino “corrumpere” (mandare in mille pezzi, rompere del tutto, rovinare), tesa ad evidenziare come un sistema di convivenza sociale che ponga la corruzione quale paradigma dei rapporti interpersonali, finirebbe per rompersi del tutto».
La corruzione ci rende diseguali (ex art. 3 Cost.).
La corruzione crea danno all’immagine (la sentenza di condanna per la commissione di un reato è inviata alla procura della Corte dei Conti), e il danno d’immagine della pubblica amministrazione è una figura, enucleata dalla giurisprudenza contabile, per dare tutela alla lesione della credibilità e del prestigio dell’Amministrazione pubblica.
La corruzione incrina la rappresentazione, appunto, dell’immagine della PA, di come univocamente si intenda. La PA ispirata a criteri di buon andamento, imparzialità e correttezza; criteri e aspettative che vengono riposte in coloro che amministrano le risorse pubbliche (ex art. 97 della Costituzione).
Per quanto tale ipotesi di danno pubblico leda valori immateriali, l’esistenza di tale condotta lesiva, posta in essere nell’ambito delle funzioni pubbliche, crea un vulnus al prestigio dell’Amministrazione pubblica e dall’aspettativa di integrità in coloro che la rappresentano.
Anche questi fatti, e il disastro di Genova, pongono in luce questioni di integrità, di rispetto delle regole, di valori disattesi, di compiti omessi.
Se fenomeni di corruzione possono spezzare la credibilità verso le persone, verso le Istituzioni; possono spezzare, nei casi più gravi, anche le vite umane.
Queste condotte, che – abusando della posizione assunta – corrompono determinati valori, attraverso compromessi e controprestazioni di dubbia liceità (si tratta sempre di reati) portano alla disumanizzazione dei rapporti, ledono la credibilità, minano le istituzioni sociali, economiche e politiche: contaminano la libertà, e, conseguentemente, la democrazia.
Fingere di non vederle, assecondare le pressioni, pagare il prezzo del compromesso è un’abitudine che non sempre paga.
Figurativamente è come osservare «La zattera della Medusa» in attesa di una nuova classe dirigente del Paese; il quadro di GERICAULT esprimere un contenuto preciso: la vita umana in bilico tra speranza e disperazione.
Todo modo, SCIASCIA.
Si scopre l’evidenza e si copre l’ipocrisia.