Gli effetti corruttivi nella gestione delle pratiche edilizie/urbanistiche generano, sotto il profilo erariale, danno d’immagine e di disservizio.
Il “Governo del territorio”, che include l’urbanistica e l’edilizia, è proiettato al perseguimento primario dell’interesse pubblico, secondo i canoni costituzionali della trasparenza e dell’imparzialità (ex art. 97 Cost.), assegnando al funzionario pubblico (nella sua lata accezione di colui che esercita una funzione pubblica, amministratore o dipendente) una varietà di compiti e competenze, da assolvere in situazioni di terzietà e in assenza di conflitti di interesse a presidio del citato principio di legalità.
Si tratta, a ben vedere, di realizzare compiutamente il principio di “buon andamento” che comporta l’obbligo della pubblica amministrazione (rectius dei suoi rappresentanti) di perseguire la migliore realizzazione dell’interesse pubblico, in modo che vi siano congruenza e congruità tra l’azione amministrativa e il fine che essa deve perseguire (Cons. Stato, sez. VI, 18 settembre 2018, n. 5454).
La Legge n. 190/2012 e dei suoi decreti attuativi (ex D.Lgs. n. 33 e 39 del 2013) hanno come obiettivo complessivo quello di contrastare la cattiva gestione amministrativa, che alterando le regole del procedimento amministrativo possono dare ingresso a fenomeni degenerativi e a condotte arbitrarie, anche penalmente rilevanti, offuscando il perseguimento trasparente dell’interesse primario.
La “trasparenza”, secondo il modello FOIA, intesa come “il dar conto”, nella tradizione anglosassone di “accountability”, costituisce una “misura” in grado di effettuare un controllo sociale sull’operato dell’Amministrazione pubblica, fornendo – con l’impianto normativo della “Legge anticorruzione” (c.d. Severino) la capacità ad «ogni amministrazione di poter generare gli anticorpi, partendo da un assunto in astratto difficilmente contestabile; non si può contrastare la corruzione, ponendosi contro l’amministrazione e non utilizzando la parte migliore di coloro che la compongono. Questo capovolgimento di prospettiva si traduce, in pratica, nella innovativa previsione di uno strumento alternativo di controllo, attraverso la riorganizzazione delle procedure, quello dei “piani di prevenzione della corruzione”. I piani di prevenzione si ricollegano sia al sistema di compliance previsto nell’ambito della responsabilità “penale” delle imprese, introdotta in Italia dal d.lgs. n. 231 del 2001 che ai piani di integrità (“integrity plans”), introdotti in molti paesi stranieri per verificare l’integrità dell’organizzazione e valutare il livello di vulnerabilità degli organismi» (CANTONE, Contrasto alla corruzione: il modello italiano, intervento alla conferenza La politica criminale ed il fenomeno della corruzione, Universidad Austral, Buenos Aires, 13 settembre 2018).
Analizzando l’approfondimento “Governo del territorio” del PNA 2016 (ANAC, Delibera n. 831 del 3 agosto 2016, pagg. 65 ss. ) si legge che «il governo del territorio rappresenta da sempre, e viene percepito dai cittadini, come un’area ad elevato rischio di corruzione, per le forti pressioni di interessi particolaristici, che possono condizionare o addirittura precludere il perseguimento degli interessi generali… Il rischio corruttivo è trasversale e comune a tutti i processi dell’area governo del territorio, a prescindere dal contenuto (generale o speciale) e dagli effetti (autoritativi o consensuali) degli atti adottati (piani, programmi, concessioni, accordi, convenzioni)».
Le cause di queste “interessenze” corruttive vengono esplicitate nel PNA 2016 sono molteplici: vanno dalla stratificazione, frammentazione e complessità normativa, all’elevato livello di discrezionalità, dalla varietà e molteplicità di interessi pubblici e privati da valutare e ponderare alla commistione tra soggetti e organi di indirizzo politico – amministrativo e organi gestionali e di controllo, nella difficile separazione e/o distinzione tra politica e amministrazione (solo per citarne alcune).
È noto che il tempo del procedimento amministrativo, e della conseguente azione pubblica è “bene della vita”, in senso economico e giuridico, come certificato dall’art. 2, comma 9, della Legge n. 241/1990 (anche in rapporto al disposto dell’art. 2 bis della medesima legge), ed in ambito urbanistico/edilizio l’intenzionale alterazione dell’“ordine di trattazione degli affari” (il c.d. ordine cronologico, ex art. 20, comma 2 del DPR 380/2001) assicura un “canale preferenziale”, accelerato, per i progetti all’esame dello Sportello Unico per l’Edilizia, condotta che oltre a violare le norme con risvolti penali piuttosto che solamente disciplinare (ex art. 12 del DPR n. 62/2013) si riflette anche sulla responsabilità per danno erariale (Corte Conti, sez. giur. Lombardia, 27 luglio 2015, n. 135).
Fatta questa breve premessa del perimetro normativo, la Corte dei Conti, sez. giurisdizionale Toscana, con la sentenza n. 210 depositata il 2 agosto 2018, si sofferma sul danno «da disservizio e danno all’immagine» per fatti di concussione consumata e tentata, nonché d’abuso d’ufficio e corruzione commessi nella trattazione di pratiche urbanistiche («abusi e corruttele avente a oggetto la gestione delle pratiche urbanistiche») da parte di alcuni amministratori pubblici (in qualità di Consiglieri comunali e, alcuni, facenti parte di una Commissione per l’Assetto del Territorio) nei confronti di privati.
La questione, nell’ambito del procedimento contabile, rilevava sotto il profilo della richiesta ai convenuti di un risarcimento del danno da illecito erariale da ascrivere a titolo di dolo (avendo i soggetti la piena rappresentazione e volizione di tutti gli elementi dell’illecito erariale posto in essere).
Nello specifico, in relazione a diverse condotte illecite, già oggetto di condanna penale, commesse, in qualità di componenti della cit. commissione o nell’esercizio della funzione pubblica, per ottenere benefici indebiti, prospettando – quale minaccia in caso di rifiuto alle richieste – il buon esito delle pratiche edilizie e delle varianti urbanistiche domandate (si direbbe, un sistema di concussione ambientale).
Le condotte oggetto di pronunciamento (anche per i fatti prescritti) sono così riassunte:
- richiesta di acquisto di beni di un determinato operatore economico per i lavori da realizzare;
- versamento di somme di denaro;
- affidamento di un incarico professionale;
- pressioni per la nomina di amministratore condominiale;
- mancata astensione in sede di votazione in presenza di un interesse proprio;
- dazione o promessa di danaro;
- un impiego per la figlia;
- il conferimento della carica di consigliere d’amministrazione;
- lavori edilizi presso la propria abitazione;
- corresponsione di una somma mensile.
A fronte di tali gravi fatti si contestavano due distinte voci di danno:
- «danno da disservizio» (espressione dell’elaborazione pretoria) derivato per esercizio illecito e penalmente rilevante di pubbliche funzioni, con corresponsione di retribuzioni parzialmente indebite ai convenuti, di spese sostenute dall’amministrazione per apprestare le proprie difese e assistere la Polizia Giudiziaria e i magistrati nel corso delle indagini, di nocumento derivato dalla sospensione e annullamento, ex 78, comma 4 del D.Lgs. n. 267/2000 (c.d. TUEL) dei piani urbanistici adottati con la partecipazione dei convenuti portatori di interessi propri;
- pregiudizio o «danno all’immagine» sofferto dal Comune in conseguenza delle condotte illecite, sussistendo l’elemento del rilevante clamor fori prodottosi sulla vicenda ed, in particolare, l’ampia diffusione mediatica, la gravità dei fatti e il loro disvalore sociale, nonché la funzione rivestita da ciascuno degli agenti.
Nella vicenda il Comune si era costituito parte civile nel processo penale con efficacia interruttiva della prescrizione: la costituzione di parte civile nel processo penale determina l’interruzione del decorso prescrizionale anche nei confronti della Procura della Corte dei Conti, oltreché dell’Amministrazione danneggiata (Corte Conti, sez. II giur. Centrale App., 26 gennaio 2018, n. 37; sez. giur. Puglia, 21 febbraio 2017, n. 64).
Ciò posto, la sez. giudicante premesso l’accertamento definitivo delle condotte illecite addebitate per effetto del giudicato penale (concussione tentata e consumata, nonché corruzione, ex artt. 317 e 319 c.p., rientranti nel capo I, titolo II, libro II, c.p.) precisa come i reati commessi sono idonei a fondare l’azione per risarcimento del danno all’immagine anche nel caso in cui il delitto sia stato accertato nella forma del mero tentativo (Corte Conti, sez. giur. Toscana, 2 maggio 2018, n. 117; 6 marzo 2017, n. 40; sez. I giur. Centrale App., 9 maggio 2014, n. 641; sez. giur. Lombardia, 27 marzo 2012, n. 187).
Pare giusto rammentare che la fattispecie di cui all’art. 318 cod. pen. («Corruzione per l’esercizio della funzione») si distingue da quella di cui all’art. 319 cod. pen. («Corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio»), perché è quest’ultima che sanziona la corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio: solo la figura delittuosa di cui all’art. 319 cod. pen. richiede un sindacato riguardante il contenuto dell’atto: l’art. 318 cod. pen. attiene a «quelle situazioni in cui non sia noto il finalismo del mercimonio della funzione o in cui l’oggetto di questo sia sicuramente rappresentato da un atto dell’ufficio», essendo invece applicabile l’art. 319 cod. pen., «quando la vendita della funzione sia connotata da uno o più atti contrari ai doveri d’ufficio» (Cass. Pen., sez. VI, 11 settembre 2018, n. 40344).
In relazione al danno d’immagine, la Corte, stante l’inapplicabilità ratione temporis del criterio presuntivo di cui all’art. 1, comma 1 sexies, della Legge n. 20/1994, introdotto con Legge n. 190/2012 (c.d. Severino), determina l’ammontare di tale danno (in sentenza il quantum) richiamando i criteri tradizionali (oggettivo, soggettivo e sociale):
- clamore mediatico dalla pubblicazione di diversi articoli di stampa di levatura nazionale (divulgazione) con pregiudizio per l’immagine dell’Amministrazione in termini di condotte riprovevoli, capaci di infrangere il sentimento di appartenenza e aspettativa dei cittadini nell’apparato pubblico e il conseguente senso di fiducia dei primi rispetto al secondo;
- la percepita riprovevolezza dei fatti accentuata dalla vicenda penale di condanna nei confronti degli amministratori e la gravità della condotta reiterata nel tempo.
Ogni azione dannosa compiuta dal pubblico agente in violazione dell’art. 97 Cost., in dispregio delle funzioni e responsabilità degli agenti pubblici si traduce, inevitabilmente, in un’alterazione dell’identità della pubblica amministrazione e, più ancora, nell’apparire di una sua immagine negativa, in quanto struttura organizzata confusamente, gestita in maniera inefficiente, non responsabile e non responsabilizzata (Corte Conti, sez. riunite, 23 aprile 2003, n. 10).
I criteri vanno, quindi, ponderati (graduati nel quantum in relazione all’apporto personale):
- oggettivo: vantaggi economici acquisiti/procurati;
- soggettivo: posizione rivestita (consiglieri comunali e/o componenti della Commissione comunale);
- sociale: significativa diffusione presso il pubblico.
Per la richiesta del risarcimento del danno da disservizio mancando la relativa prova, o l’allegazione di specifici e circostanziati elementi documentali, da parte della procura erariale, ogni valutazione concreta risulta improponibile, annota il Giudice erariale.
Il “danno patrimoniale da disservizio” o “danno da mancata resa del servizio” si associa ad una condotta dolosa o gravemente colposa, commissiva o omissiva, in grado di determinare un mancato raggiungimento delle utilità che erano state previste nella misura e qualità ordinariamente ritraibile dalla quantità delle risorse investite, ovvero in maggiori costi dovuti a spreco di risorse economiche o nella mancata utilità ritraibile dalle somme spese, a ragione della disorganizzazione del servizio (Corte Conti, sez. giur. Umbria, 31 luglio 2000, n. 424); si tratta, quindi, di un pregiudizio effettivo, concreto ed attuale, che coincide con il maggiore costo del servizio, nella misura in cui questo si riveli inutile per l’utenza (Corte dei Conti, sez. giur. Marche, 15 febbraio 2018, n. 11).
Nel caso di danno collegato alla commissione di reati, di solito corruzione o concussione, si è ritenuto costituisca danno da disservizio la spesa investita per l’organizzazione e lo svolgimento dell’attività amministrativa, in quanto non produttiva di risultati a favore della collettività, in ogni caso, da dimostrare nel concreto (Corte Conti, sez. giur. Toscana, 19 settembre 2018, n. 220 e 18 ottobre 2016, n. 297).
Ne consegue che il danno da disservizio non può fondarsi su prove presuntive o indiziarie poiché:
- deve costituire un pregiudizio economico certo nell’an e nel quantum (circa) del disservizio;
- deve essere fornita prova, da parte del PM, che il perseguimento di fini diversi da quelli istituzionali abbia comportato una perdita patrimoniale tangibile nelle casse dell’Ente, in termini di somme inutilmente spese per perseguire gli obiettivi stabiliti ma non raggiunti o di spese sostenute per ripristinare l’efficienza perduta (Corte Conti, sez. giur. Toscana, 12 giugno 2018, n. 161; sez. I giur. Centrale App., 1 marzo 2018, n. 96).
L’intera vicenda conferma che l’area “Governo del territorio” si presta ad una molteplicità di rischi di natura corruttiva, esponendo l’Amministrazione civica ad un danno d’immagine elevato che si riversa inevitabilmente nella sfiducia verso le istituzioni e gli eletti.
Qualche perplessità finale (altri, direbbero imbarazzo) si aggiunge ove si consideri che le “misure” di prevenzione della corruzione, nonché tutta la produzione di chilogrammi di norme, previste nei Piani Triennali di Prevenzione della Corruzione e della Trasparenza (PTPCT) di recepimento dei Piani Nazionali Anticorruzione (PNA), sono essenzialmente rivolti al pubblico dipendente (da controllare con la biometria in sede di ri/riforma del pubblico impiego), con obblighi formativi sulle aree maggiormente esposte a rischio corruttivo (come quella di specie), escludendo da tali disposizioni e oneri gli amministratori.
Tale omissione potrebbe essere un chiaro e significativo esempio dei limiti del modello costruito à la carte, a tacer d’altro: «se la perfezione non fosse una chimera, non avrebbe tanto successo» (HONORÉ DE BALZAC, Massime e pensieri di Napoleone, n. 318, 1838).