In sede istruttoria, per il rilascio del titolo edilizio, va effettuata un’indagine sull’assetto della proprietà del bene oggetto di intervento.
La sezione prima Brescia del TAR Lombardia, con la sentenza 28 settembre 2018 n. 924, interviene nel definire il dovere della PA, alias responsabile del procedimento, di accertare la titolarità del diritto domenicale dell’istante sull’area interessata dall’intervento edilizio: l’omissione profila un vizio motivazionale con conseguente illegittimità dell’atto concessionato.
È noto che il comma primo dell’art. 6 «Compiti del responsabile del procedimento» della legge n. 241/1990 prevede che il responsabile del procedimento: «a) valuta, ai fini istruttori, le condizioni di ammissibilità, i requisiti di legittimazione ed i presupposti che siano rilevanti per l’emanazione di provvedimento; b) accerta di ufficio i fatti, disponendo il compimento degli atti all’uopo necessari, e adotta ogni misura per l’adeguato e sollecito svolgimento dell’istruttoria. In particolare, può chiedere il rilascio di dichiarazioni e la rettifica di dichiarazioni o istanze erronee o incomplete e può esperire accertamenti tecnici ed ispezioni ed ordinare esibizioni documentali».
In particolare, la parte finale della lettera b) cit. fissa il principio basilare dell’azione amministrativa secondo il quale, fuori dai casi in cui sia espressamente disposto in modo diverso, spetta all’Amministrazione favorire, piuttosto che penalizzare, il rapporto con essa di tutti i soggetti che le si rivolgono per il soddisfacimento di un loro interesse giuridicamente rilevante (TAR Lazio, Roma, sez. I ter, 23 gennaio 2008, n. 5030).
Al riguardo, si rileva che la dizione «può chiedere» di cui all’art. 6, lett. b), della citata legge n. 241 è sempre stata intesa come potere discrezionale solo per la scelta dei mezzi, non però relativamente alla sostanza del dovere del funzionario (ritenuto comportamento vincolato) di attivarsi per chiedere il rilascio di dichiarazioni e la rettifica di dichiarazioni o istanze erronee o incomplete, e per esperire accertamenti tecnici ed ispezioni e ordinare esibizioni documentali (Cons. Stato, sez. V, 28 luglio 2005, n. 4057).
Appare evidente che l’attività di verifica della titolarità del bene, oggetto di permesso di costruire, entra pienamente nei compiti istruttori.
Il fatto viene descritto dalla parte ricorrente che ritiene viziato il titolo edilizio rilasciato, per la costruzione di un muro e del cancello, che interesserebbero, inglobandola, un’area di circa dieci metri quadrati di proprietà, senza aver effettuato le dovute verifiche sulla legittimazione al permesso di costruire, incidendo (invadendo) un sedime non di proprietà del richiedente ma, appunto, del ricorrente.
L’Amministrazione civica, si sostiene avrebbe potuto, ma avrebbe dovuto (una volta acquisita la segnalazione che l’intervento assentito ricadeva in un’area non di proprietà dell’istante), quanto meno sospendere i lavori per ciò che attiene la costruzione riguardante l’area di proprietà, per poi provvedere all’annullamento in parte qua sul presupposto normativo (ex art. 11, comma 1, del D.P.R. 380/2001) che testualmente sancisce: «Il permesso di costruire è rilasciato al proprietario dell’immobile o a chi abbia titolo per richiederlo».
L’oggetto e il perimetro cognitivo del ricorso riguarda la censura della condotta assunta dal Comune che:
- non ha verificato l’effettiva disponibilità dell’area interessata dall’attività di trasformazione e del connesso titolo ad aedificadum;
- non ha provveduto con i doverosi atti in autotutela, a seguito dei solleciti della parte proprietaria volti a promuovere una verifica del reale assetto dominicale dell’area interessata.
Il Giudice di prime cure osserva (come già effettuato in sede cautelare) che:
- la titolarità dell’area de qua – allo stato – risulta controversa;
- risulta essere stato promosso un giudizio petitorio per l’accertamento dei confini (il relativo giudizio risultando tuttora pendente innanzi alla Corte d’Appello).
In termini diversi, l’Amministrazione poteva rilasciare il titolo edilizio pur in presenza della rappresentata contestazione della titolarità dominicale di parte dell’area sulla quale il titolo edificatorio era destinato ad incidere, o diversamente doveva attendere l’esito della controversia in sede civile, rilasciando il permesso edilizio solo per la parte riferita all’effettiva e incontestata proprietà del richiedente: questa è la questione controversa.
Il Tribunale si richiama ai consolidati principi elaborati dalla giurisprudenza (Cons. Stato, sez. IV, 20 aprile 2018, n. 2397; 19 dicembre 2016, n. 5363; 23 maggio 2016, n. 2116; 7 settembre 2016, n. 3823; 25 settembre 2014, n. 4818) sull’attività posta a carico dell’Amministrazione civica che, disponendo dei dovuti strumenti di verifica, è tenuta ad un’attività di accertamento effettivo, e in modo specifico:
– la legittimazione attiva a chiedere il rilascio del titolo abilitativo edilizio si configura in capo non solo al proprietario del terreno, ma pure al soggetto titolare di altro diritto di godimento del fondo, che lo autorizzi a disporne al riguardo (Cons. Stato, sez. VI, 15 luglio 2010, n. 4557 e 2 settembre 2011, n. 4968);
– vi è il contestuale onere della PA di accertare con serietà e rigore la legittimazione a chiedere il titolo edilizio (Cons. Stato, sez. IV, 7 settembre 2016, n. 3823), dovendo pertanto la PA accertare che l’istante sia il proprietario dell’immobile oggetto dell’intervento costruttivo o che, comunque, ne abbia un titolo di disponibilità sufficiente per eseguire l’attività edificatoria (Cons. Stato, sez. V, 4 aprile 2012, n. 1990).
Precisa, altresì, per le limitazioni negoziali del diritto di costruire, la posizione della giurisprudenza:
- in passato, ha oscillato fra la soluzione che ne esclude ogni rilevanza, nel presupposto che all’Amministrazione sia inibito qualsiasi sindacato anche indiretto sulla validità ed efficacia dei rapporti giuridici dei privati (Cons. Stato, sez. V, 20 dicembre 1993, n. 1341), e quella opposta che, invece, ammette che il Comune verifichi il rispetto dei limiti privatistici, purché siano immediatamente conoscibili, effettivamente e legittimamente conosciuti nonché del tutto incontestati, di guisa che il controllo si traduca in una semplice presa d’atto (Cons. Stato, sez. IV, 12 marzo 2007, n. 1206);
- la più recente, superando l’indirizzo più risalente, è oggi allineata nel senso che l’Amministrazione, quando venga a conoscenza dell’esistenza di contestazioni sul diritto del richiedente il titolo abilitativo, debba compiere le necessarie indagini istruttorie per verificare la fondatezza delle contestazioni, senza però sostituirsi a valutazioni squisitamente civilistiche (che appartengono alla competenza dell’A.G.O.), arrestandosi dal procedere solo se il richiedente non sia in grado di fornire elementi prima facie
Ciò posto, appare evidente che in presenza di espresse e sollecite contestazioni sull’assenza del titolo di proprietà esclusiva del richiedente da parte di colui che dichiara esserne il titolare, il Comune, per mezzo del responsabile de procedimento, ha un onere (dovere) di diligenza, anche nella misura minima di un controllo sulla legittimazione dei richiedenti la concessione edilizia a disporre, in virtù di un titolo (legale, giudiziale ovvero negoziale), dell’intera area.
In pendenza di una contestazione, già iscritta a ruolo della competente A.G.O., l’Amministrazione non può rilasciare il titolo edilizio sull’area, dovendo attendere gli esiti del giudizio: solo a fronte del quale l’Autorità comunale potrà nuovamente pronunziarsi in conformità dell’accertata consistenza ed estensione dominicale delle confinanti proprietà.
Risulta, pertanto, legittimo il provvedimento con il quale un Comune ha espresso un diniego in ordine ad una istanza tendente ad ottenere il permesso di costruire in sanatoria di alcune opere abusive consistenti di un edificio condominiale, che sia motivato con riferimento alle seguenti circostanze:
1. le opere ricadono in parti comuni dell’edificio residenziale condominiale;
2. difetta il consenso degli altri condomini;
3. difetta la prova del titolo di disponibilità dell’area interessata dai lavori abusivi in capo al richiedente (TAR Calabria, Catanzaro, sez. I, 21 agosto 2018, n. 1556).
La sentenza segna un principio attinente all’attività istruttoria che impone al Comune, prima di rilasciare il titolo, l’onere di verificare la legittimazione del richiedente, accertando che questi sia il proprietario dell’immobile oggetto dell’intervento costruttivo o che, comunque, ne abbia un titolo di disponibilità sufficiente per eseguire l’attività edificatoria, disponendo le dovute precauzioni in caso di contestazione non essendo sufficiente richiamare la formula “salvo diritto di terzi”.
Non vi è dubbio, quindi, che in sede di rilascio del titolo abilitativo edilizio, sussiste l’obbligo per il Comune di verificare il rispetto da parte dell’istante dei limiti privatistici, a condizione che tali limiti siano effettivamente conosciuti o immediatamente conoscibili e/o non contestati, di modo che il controllo da parte dell’Ente locale si traduca in una semplice presa d’atto dei limiti medesimi senza necessità di procedere ad un’accurata ed approfondita disanima dei rapporti, attività questa richiesta in caso di contestazioni (Cons. Stato, sez. IV, 26 luglio 2012, n. 4255).
Più esattamente, in sede di istruttoria per il rilascio di un titolo edilizio il Comune se da una parte, non è chiamato a svolgere accertamenti complessi, dovendo limitarsi a verificare la sussistenza di un titolo legittimante, posto che l’autorizzazione viene emanata facendo comunque salvi i diritti dei terzi e, quindi, senza pregiudicare la possibilità per eventuali privati controinteressati di far valere le proprie ragioni nelle sedi competenti (TAR Sicilia, Palermo, sez. II, sentenza n. 831/2016), dall’altra parte, quando viene posta in contestazione la titolarità della proprietà il Comune deve verificare l’esistenza di eventuali fattori limitativi, preclusivi o estintivi dello ius aedificandi esercitato dal richiedente il titolo edilizio (TAR Lombardia, Milano, sez. II, sentenza n. 43/2016).
Si tratta di un onere a carico del Comune di verifica concreta della titolarità del bene (proprietà o legittima disponibilità), dovendo accertare tale circostanza dirimente, che può essere assolta – in via generale o ordinaria – con la richiesta rivolta all’istante di produrre non necessariamente l’atto di acquisto dell’immobile, essendo sufficiente che egli produca un titolo che astrattamente e formalmente lo legittimi a richiedere l’intervento de quo (Cons. Stato, sez. IV, 9 novembre 2015, n. 5082), salvo (come il caso di specie) approfondire e verificare dettagliatamente il titolo di proprietà (e le connesse verifiche/visure) qualora venga segnalata una contestazione o vi sia il sospetto (non certezza) della mancanza della titolarità.
In tale contesto, è legittimo il provvedimento con il quale un Ente locale ha annullato di ufficio una concessione edilizia in sanatoria, che sia motivato con riferimento al fatto che il comune ha avuto formale conoscenza della sentenza civile definitiva, pronunciata dalla Corte di Cassazione, con la quale, a seguito di un lungo contenzioso, è stata affermata l’insussistenza del diritto di proprietà dell’area oggetto di concessione in capo al richiedente: in presenza di una sentenza civile definitiva riferita all’assenza del titolo di proprietà dell’area del soggetto beneficiario della concessione in sanatoria, quest’ultimo risulta privo, ab origine, dei requisiti legittimanti il rilascio del titolo abilitativo (TAR Sicilia, Palermo, sez. II, 2 agosto 2012, n. 1742).
Il corollario di questo principio di diritto porta al precipitato che la verifica del possesso del titolo a costruire costituisce un presupposto, la cui mancanza impedisce all’Amministrazione di procedere oltre nell’istruttoria (Cons. Stato, sez. V, 7 luglio 2005, n.3730), giungendo (in alcuni casi) a ritenere che è configurabile il reato di cui all’art. 323 c.p. (abuso d’ufficio) per effetto di un’attività edilizia autorizzata contra ius, nella condotta di chi (il responsabile del procedimento), omettendo di effettuare i suddetti accertamenti (specie in presenza di una contestazione), rilasci il permesso di costruire ad un soggetto non proprietario né titolare di altro diritto reale sull’area da edificare, ma soltanto parte di un contratto preliminare di vendita (Cass. Pen., sez.VI, 27 giugno 2005, n. 33047 e n. 232054/05).
L’Autorità comunale, in sede di esame della domanda, pur non dovendo compiere approfondite indagini sui rapporti di diritto privato intercorrenti tra gli interessati, è tenuta (deve) a verificare la posizione di avente diritto e, quindi, la legittimazione del richiedente, e qualora alcune opere incidano sul diritto di altri comproprietari, in sede di rilascio del titolo abilitativo si deve ritenere legittimo esigere il consenso degli stessi, e questo vale, a maggior ragione, nel caso vi sia un conclamato dissidio fra i comproprietari, in ordine all’intervento progettato, pena l’evidente illegittimità per un grave difetto istruttorio e motivazionale, perché non si dà conto della effettiva corrispondenza tra la richiesta del permesso di costruzione e la titolarità del prescritto diritto di godimento (T.R.G.A., sez. Bolzano, 27 febbraio 2006, n. 81).
Va aggiunto, a completamento, che il permesso di costruire non può essere rilasciato a colui il quale, in base ad un contratto preliminare, abbia avuto la sola promessa di futura vendita del terreno sul quale dovrà sorgere la costruzione, mancando la legittimazione e la facoltà di disporre del titolo (Cass. Civ., sez. III, 15 marzo 2007, n. 6005), salvo ovviamente la partecipazione attiva del proprietario o l’espressa autorizzazione contenuta nel contratto (Cons. Stato, sez. IV, 8 giugno 2007, n. 3027, situazione di fatto e di diritto che consente di supporre l’esistenza di un pactum fiduciae intercorrente tra il promittente venditore (proprietario) e il promissario acquirente presente nel preliminare).