La quinta sez. del Consiglio di Stato, con la sentenza 17 gennaio 2019 n. 422, chiarisce il contenuto minimo che deve assumere la giustificazione dell’assenza a presenziare il Consiglio comunale, da parte di un componente del plènum.
È noto che già l’articolo 289 del T.U. del 1915 prevedeva che i Consiglieri che non intervenivano ad una “intera sessione ordinaria senza giustificati motivi” venissero dichiarati decaduti e, per attenuare la portata rigorosa della disposizione, la giurisprudenza ammetteva tra le fondate giustificazioni le assenze per malattia (le giustificazioni, da ragione di salute sulla scorta di valutazioni mediche, non si ritenevano suscettibili di sindacato da parte del Consiglio comunale, Cons. Stato, sez. V, 7 ottobre 2008, n. 4859), affari indilazionabili, congedi autorizzati dal Sindaco e dalla Giunta (Cfr. Cons. Stato, sez. V, 27 marzo 1954, n. 28 e 15 gennaio 1955, n. 68).
Va detto che l’eventuale astensione dalle sedute motivata con l’intento politico non può spingersi alla definitiva abdicazione del ruolo rivestito ma deve comunque estrinsecarsi in azioni capaci di dare attuazione in qualsiasi modo al mandato elettivo: l’inerzia totale non può – anche ove costituisca il frutto di una scelta mirata – protrarsi oltre un tempo ragionevole, poiché, diversamente verrebbe compromesso il rapporto eletti/elettori, dato che il ruolo dei primi risulta completamente azzerato (T.A.R. Lombardia, Brescia, sez. II, 24 settembre 2012, n. 1541).
Va, altresì, rammentato che tra le cause giustificative deve essere presente un “impedimento oggettivo”, o quanto meno “credibile”, che escluda che le assenze dalle sedute siano motivate da un atteggiamento di disinteresse per motivi “futili o inadeguati” non compatibili con la funzione ricoperta, proiettata a garantire il buon andamento dell’azione amministrativa: non deve emergere una condotta di “disinteresse e noncuranza” nell’espletamento del mandato amministrativo (T.A.R. Campania, Napoli, sez. I, 4 dicembre 1992, n. 436).
La ratio della previsione risiede sull’esigenza pratica di assicurare il dibattito consiliare, la presenza del quorum, la funzionalità del Consiglio comunale, al di là del dovere di espletare con «disciplina ed onore» il mandato elettivo (ex art. 54, comma 2 Cost.)
Un Consigliere comunale dichiarato decaduto, ai sensi del comma 4 dell’art. 43 del D.Lgs. n. 267/2000 (c.d. TUEL) mutuando la precedente norma del comma 6 bis, dell’articolo 31 della Legge n.142/90), per la mancata partecipazione a numerose sedute consiliari, impugna la determinazione e la surroga, chiedendo, inoltre, il risarcimento del danno derivante dall’illegittimo esercizio dell’azione amministrativa.
Il Tribunale di prime cure accoglieva il ricorso, annullando le delibere gravate e condannando il Comune al pagamento delle indennità di carica maturate dal ricorrente, dalla decadenza al reintegro, oltre interessi legali.
Sull’indennità di carica non percepita, qualche riflessione potrebbe aprirsi visto che dovrebbe collegarsi oggettivamente alla presenza in seduta (cfr. Corte Conti, sez. controllo Toscana, Parere n. 127 del 19 aprile 2017, sui rimborsi spesa), non essendo assimilabile alla retribuzione mensile percepita dal lavoratore ed alla serie di diritti e prerogative dalla stessa derivanti, in dipendenza del rapporto di lavoro (non vige l’analogia, per tutte, Cass. sez. II, sentenza n. 4754/1995).
Si deduce, che l’esercizio delle funzioni elettive dà luogo all’instaurarsi di un rapporto di servizio onorario, il cui espletamento genera il diritto a percepire una indennità che non ha la funzione di compensare l’eletto-funzionario onorario per l’attività svolta; attività che rimane fondamentalmente gratuita, quanto piuttosto di indennizzarlo del presunto mancato guadagno o comunque delle spese connesse con l’espletamento del servizio, ancorate necessariamente alla presenza alla seduta (cfr. T.A.R. Reggio Calabria, Catanzaro, sentenza n. 1092/2006; Cass. SS.UU., sentenza n. 9353 del 20 aprile 2007; Cons. Stato, sez. V, sentenza n. 6526/2010).
Si potrebbe, allora, ritenere che all’amministratore di Ente locale che sia stato “illegittimamente” estromesso dall’esercizio della carica elettiva non si possa riconoscere, a titolo di risarcimento, la mancata percezione della indennità di funzione, quanto semmai un risarcimento non patrimoniale da dimostrare (vedi, nel merito T.A.R. Piemonte, sez. II, 2 maggio 2015, n. 746).
Dal perimetro illustrativo, avverso a tale decisione l’Amministrazione civica proponeva appello in seconde cure, ritenendo la decisione affetta da diversi error in procedendo e in iudicando, specie per l’omessa disamina del potere di valutazione del Consiglio sulla genericità ed inidoneità delle certificazioni mediche a corredo delle assenze.
Il Consiglio di Stato, in prima analisi giuridica interviene sulla giurisdizione (profili di supposta inammissibilità):
- in sede di contenzioso elettorale, è riservata al Giudice amministrativo la giurisdizione sulle operazioni elettorali e al Giudice ordinario quella in tema di diritti di elettorato attivo e passivo (Cass., SS.UU., sent. 23682/2009; Cons. Stato, Ad. Plen. 10/2005);
- il diritto di elettorato passivo è devoluto alla giurisdizione del G.O. – tanto le controversie in cui si faccia questione della sospensione dalla carica elettiva, quanto quelle in cui si faccia questione della decadenza dalla stessa (Cass., SS.UU., sent. 11131/2015);
- l’ipotesi di decadenza per la mancata partecipazione alle sedute consiliari, di cui all’articolo 43 del Testo unico n. 267 del 2000, non è assimilabile in toto alle ipotesi di decadenza per incompatibilità ed ineleggibilità, di cui agli articoli 68 e 69 del medesimo TUEL, non inerendo al diritto di elettorato passivo, la giurisdizione è, pertanto, devoluta al Giudice amministrativo (c.d. G.A.);
- la giurisdizione del G.A. viene in rilievo sulla legittimità della determinazione consiliare inerente le conseguenze della mancata partecipazione alle sedute e che solo indirettamente investe il munus elettivo (peraltro, nella sua fase funzionale e non genetica);
- la differenza rispetto alle controversie aventi ad oggetto le ipotesi di decadenza, di cui agli articoli 68 e 69 del TUEL, sono ictu oculi diverse e relative alle ipotesi di ineleggibilità ed incompatibilità, in cui – al contrario – immediata e diretta è l’inerenza con il diritto di elettorato passivo, in tal modo giustificando la devoluzione alla giurisdizione del G.O.
Nel merito, sentenziano i giudici di Palazzo Spada, il ricorso è meritevole di accoglimento, osservando:
- le giustificazioni, al di là della loro formale presentazione (secondo il regolamento consiliare dovevano essere fornite in anticipo, mentre secondo lo statuto indicate dal Consigliere nel corso del contraddittorio conseguente all’avvio del procedimento di revoca), devono essere fornite in caso di mancata partecipazione «senza giustificato motivo, a tre sedute consecutive»;
- inoltre, la norma regolamentare sul punto prevede espressamente che l’assenza ingiustificata (per tre sedute consecutive) comporta la decadenza a seguito dell’avvio dell’apposito procedimento dove «il consigliere ha facoltà di far valere le cause giustificative delle assenze, nonché di fornire al Consiglio comunale eventuali documenti probatori entro il termine di dieci giorni dalla ricezione della comunicazione. Scaduto quest’ultimo termine il Consiglio si determina in merito, fra il decimo e il sessantesimo giorno dalla notifica, tenuto adeguatamente conto delle giustificazioni presentate da parte del consigliere»;
- la lettura della norma determina l’effetto decadenziale in modo automatico salvo che lo stesso consigliere non provveda a fornire adeguate giustificazioni delle assenze;
- il dato fattuale accertato dimostra in modo pacifico l’assenza del Consigliere da quattordici sedute consecutive nel corso del biennio.
Ai fini della decisione non risulta, quindi, determinante il dato del carattere preventivo o successivo delle giustificazioni fornite, quanto – piuttosto – il carattere complessivamente plausibile o meno delle giustificazioni offerte, rilevando – in ogni caso – che le circostanze da cui consegue la decadenza del Consigliere comunale devono essere interpretate in modo restrittivo, data la limitazione che ne deriva all’esercizio di un munus publicum.
Ciò posto, vi è un bilanciamento non irragionevole fra:
- l’esigenza di garantire – anche in sede procedimentale – le prerogative del consigliere comunale, anche al fine di fugare qualunque fumus persecutionis in suo danno;
- l’esigenza della collettività di assicurare che il munus in parola sia esercitato in modo continuativo ed effettivo, e in assenza di soluzioni di continuità che ne compromettano il corretto esercizio, con nocumento dell’interesse pubblico all’effettività nell’espletamento della carica.
A ben vedere l’esercizio della funzione, connessa con la presenza (consapevole o meno) alle sedute (data dalla presenza fisica), è un elemento che connota un aspetto rilevante e determinante che si distingue necessariamente (ontologicamente) dall’assenza in loco: la decadenza è legata all’assenza, e l’assenza (reiterata) è determinante se non giustificata.
Tanto premesso, dal punto di vista generale si giunge al pronunciamento che valuta privo di censure il provvedimento di decadenza impugnato in quanto:
- gli undici certificati medici prodotti in copia (e mai prodotti in originale) effettivamente non presentano certezza in ordine al tempo del rilascio;
- non danno certezza alcuna in ordine all’orario di rilascio, in tal modo non consentendo di stabilire se la concomitanza della visita medica risultasse effettivamente tale da impedire in modo assoluto la partecipazione alla seduta consiliare e se le visite mediche cui era stata sottoposto il consigliere risultassero indifferibili, al punto da non poter essere effettuate se non in concomitanza della seduta consiliare stessa;
- alcuni dei certificati prodotti presentano un contenuto piuttosto generico ed indicano stati di modesto malessere, senza dare adeguatamente conto della connessa impossibilità di presenziare alle sedute consiliari;
- la documentazione prodotta in giudizio non dimostra che il Consigliere fosse affetto da una grave patologia (e che necessitasse di adeguate terapie), ma è anche vero che soltanto in alcuni casi i certificati prodotti in copia sembrano riferibili ad impedimenti connessi alle terapie somministrate in ragione di tale patologia.
Non è superfluo osservare che, in altre occasioni, il certificato medico prodotto, nello stesso giorno della seduta del Consiglio comunale, dall’interessato di aver subito un intervento chirurgico (caso di specie: un ascesso dentale), ovvero per cause di salute, è stato ritenuto un valido motivo giustificativo dell’assenza (Cons. Stato, sez. V, 7 ottobre 2008, n. 4859); oppure, nel caso in cui il Consigliere comunale, a seguito di un intervento chirurgico, aveva la necessità di riposo e di cautela, come espressamente prescritti dal medico (Cons. Stato, sez. V, 9 ottobre 2007, n. 5277).
Si tratta di verificare se la patologia consenta o meno la partecipazione alla seduta.
In termini più espliciti e diversi, le giustificazioni prodotte (i certificati) e rinvenibili in uno stato di malessere grave, tale da impedire di partecipare alle sedute in relazione allo stato di salute precario o per cure/visite mediche che imponeva il riposo, appaiono flebili, incoerenti (temporalmente), sommarie: «gli elementi e le circostanze esaminate retro… risultano di per sé idonei a determinare l’accoglimento dell’appello (e a confermare la sostanziale assenza dei rubricati profili di illegittimità della disposta decadenza), in tal modo esimendo il Collegio dall’esame puntuale della quaestio facti relativa al se i certificati medici fossero stati prodotti soltanto a seguito della comunicazione di avvio del procedimento di decadenza (ovvero se – come affermato dall’appellante – gli stessi fossero stati di tempo in tempo consegnati a mano al segretario verbalizzante)».
Si vuole andare oltre alla scansione temporale di produzione dei certificati, se al momento del bisogno o se successivamente al momento dell’avvio del procedimento di decadenza: la circostanza non risulta determinante.
Ciò che invece risulta determinante è il contenuto dei certificati a giustificazione delle assenze: «il ricorso di primo grado doveva essere respinto in ragione della sostanziale assenza di adeguate cause giustificative delle assenze, per come desumibili dal contenuto dei certificati».
Il Consiglio di Stato, sez. V, con la sentenza 17 gennaio 2019, n. 422, accoglie il ricorso, e riforma la sentenza di primo grado, confermando la decadenza del Consigliere assenteista che ha presentato – a giustificazione delle assenze – dei certificati medici generici, incapaci di dimostrare uno stato fisico impeditivo o preclusivo alla fattiva partecipazione (rectius presenza) ai lavori consiliari.
La sentenza si presta ad altre considerazioni che non rimangono nell’ombra, ma vengono lasciate in sospensione (di giudizio); ovvero, il ruolo e il contenuto dei certificati medici presentati che non sembrano attestare (dal tenore della sentenza) quello che invece dovrebbe essere il loro ruolo di certificazione: accertare un fatto conferendo una rilevanza nei confronti di terzi (il Consiglio comunale), facendo fede fino a prova contraria, anche con riferimento alla data di compilazione oltre alle cause impeditive.
Diversamente opinando, si direbbe, perde senso la presentazione di una certificazione.
Se lo scopo del certificato medico era quello di dimostrare l’impossibilità oggettiva di essere presente e di poter assistere ai lavori, quanto meno si doveva rendere una pur minima ragione dell’impedimento (ad es. una visita medica e/o specialistica prolungata, un intervento chirurgico, uno stato di malessere che richiede il riposo forzato o malattia, la convalescenza a letto); di converso, se l’assenza deve essere giustificata, e tale giustificazione si rinviene nel certificato medico, allora, appare più che lecito richiedere al medico di descrivere in modo sufficiente lo stato di salute, o le circostanza ad esso connesse, che richiedono l’astensione da ogni attività, sia essa anche di natura elettiva (politica).
Ragioni più pratiche e un senso di collaborazione/correttezza/cortesia istituzionale, richiederebbero di segnalare quanto prima ogni situazione impeditiva (ex ante), evitando una reiterazione dell’assenza ingiustificata o (ex post) da giustificare (anche se pur possibile).
Resta inteso, che trattando dati personali inerenti lo stato di salute, ogni cautela e misura di sicurezza dovrà essere adottata, sia nella discussione che verbalizzazione della seduta, inibendo ogni diffusione o pubblicazione del dato personale.