La seconda sez. del T.A.R. Piemonte, con la sentenza n. 447 del 18 aprile 2019, interviene sul rifiuto di concessione temporanea di uno spazio pubblico in ragione del pensiero politico manifestato[1].
È noto che il primo comma dell’art. 21 Cost. afferma che «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione», segnando in modo inequivocabile un diritto pieno di libertà che può trovare delle limitazioni se non per legge (essendo in presenza di una riserva assoluta), fondate in precetti e principi costituzionali[2].
Si affermò che la democraticità dell’Ordinamento è direttamente proporzionale al grado in cui la libera manifestazione del pensiero viene riconosciuta e attuata concretamente, una specificazione del principio del “pluralismo ideologico” che costituisce patrimonio comune della cultura liberale dell’Occidente, e che si manifesta nel diritto di cronaca e nel diritto di critica (libertà di informazione) che si colloca tra i valori primari, assistiti dalla clausola dell’inviolabilità (ex art. 2 Cost.).
La libertà di pensiero che garantisce la posizione “attiva” della libertà di espressione è associata alla posizione “passiva” costituita dal diritto di ricevere notizie che, nel settore specifico dell’attività amministrativa, costituisce il diritto alla informazione, di cui alla legge n. 241 del 1990 e modelli FOIA (ex D.Lgs. n. 33/2013) direttamente funzionale alla realizzazione del principio liberale della trasparenza e partecipazione ai processi decisionali delle pubbliche Autorità[3].
Va premesso che l’Amministrazione civica, con delibera consiliare, stabiliva di «non concedere spazi o suolo pubblici a coloro i quali non garantiscano di rispettare i valori sanciti dalla Costituzione, professando e/o praticando comportamenti fascisti, razzisti e omofobi… subordinando la concessione di suolo pubblico, spazi e sale di proprietà del Comune, a dichiarazione esplicita di rispetto dei valori antifascisti sanciti dall’ordinamento repubblicano».
Ne conseguiva un atto giuntale con il quale, a fronte di istanze di concessione del suolo pubblico o di utilizzo di spazi e sale di proprietà comunale, il richiedente doveva presentare una dichiarazione espressa (ex artt. 46 e 47 del D.P.R. 445/2000) del seguente testuale tenore «Il sottoscritto (…) dichiara (…) di ripudiare il fascismo e il nazismo; di aderire ai valori dell’antifascismo posti alla base della Costituzione repubblicana, ovvero i valori di libertà, di democrazia, di eguaglianza, di pace, di giustizia sociale e di rispetto di ogni diritto umano, affermatisi nel nostro Paese dopo una ventennale opposizione democratica alla dittatura fascista e dopo i 20 mesi della Lotta di Liberazione dal nazifascismo».
A fronte di una richiesta di autorizzazione ad occupare il suolo pubblico finalizzata a svolgere «propaganda politica e di promozione delle attività politiche e del pensiero politico» veniva allegata una dichiarazione «di riconoscersi nei valori della Costituzione, di non voler ricostituire il disciolto Partito Fascista, di non voler effettuare propaganda razzista o comunque incitante all’odio… di impegnarsi a rispettare tutte le leggi ed i regolamenti del nostro ordinamento giuridico».
Seguiva una comunicazione di sospensione dell’iter autorizzativo in quanto allegata all’istanza vi era una dichiarazione difforme dal modello – tipo approvato dall’Amministrazione con gli atti deliberativi citati (si ometteva la parte di dichiarazione relativa al «ripudio del fascismo e del nazismo» e all’adesione «ai valori dell’antifascismo»), con rifiuto di regolarizzare la dichiarazione nei termini pretesi dall’Amministrazione e di conseguenza la sua improcedibilità.
Ciò posto, il Tribunale si è trovato a valutare la questione e gli atti presupposti ritenuti illegittimi, e divenuti ormai inoppugnabili secondo la difesa dell’Amministrazione civica.
La ricorrente deduceva in merito al diniego:
- la violazione degli artt. 2, 3, 17, 18 e 21 della Costituzione in materia di tutela dei diritti fondamentali, di eguaglianza, diritto di riunione, di associazione, di manifestazione del pensiero e di associazione in partiti politici;
- tali principi non consentirebbero di subordinare l’esercizio dei diritti civili e politici a dichiarazioni di adesione ai valori dell’antifascismo, ai valori repubblicani e a quelli della Resistenza;
- la libera manifestazione del pensiero e il “foro interno” di ciascun cittadino non possono essere coartati attraverso l’obbligo di adesione a valori predeterminati, secondo modelli tipici dei regimi totalitari;
- all’atto della domanda di concessione del suolo pubblico, la ricorrente ha dichiarato di aderire ai valori della Costituzione italiana e di non avere intenzione di ricostituire il disciolto Partito Fascista;
- l’Amministrazione non potrebbe imporre ai cittadini di aderire a non meglio identificati “valori dell’antifascismo” che non sono richiamati in alcuna parte del testo costituzionale, né a “ripudiare il fascismo e il nazismo”, atteso che il ripudio attinge alla sfera interna dell’individuo, che non può essere coartata dall’Amministrazione in assenza di comportamenti e manifestazioni esteriori che si pongano in contrasto con le norme costituzionali e con le leggi dello Stato.
Il T.A.R. nel dichiarare infondato il ricorso lo respinge in base ad un’articolata analisi del tessuto normativo e dei profili costituzionali sottesi.
La prima valutazione porta ad affermare che:
- i principi costituzionali;
- i valori dell’antifascismo e della Resistenza;
- il ripudio dell’ideologia autoritaria propria del ventennio fascista sono valori fondanti la Costituzione repubblicana del 1948.
Principi e valori di democrazia, anche sotto il loro aspetto simbolico, non solo sono implicitamente alla base dell’affermazione del carattere democratico della Repubblica italiana e alla proclamazione solenne dei diritti e delle libertà fondamentali dell’individuo, ma anche perché affermati esplicitamente e letteralmente:
- sia nella XII disposizione transitoria e finale della Costituzione, che vieta la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista;
- sia nell’art. 1 della legge c.d. “Scelba” n. 645 del 20 giugno 1952, che, nel dare attuazione alla predetta norma costituzionale, ha individuato come manifestazioni esteriori di ricostituzione del partito fascista il perseguire finalità antidemocratiche proprie del partito fascista attraverso, tra l’altro, la minaccia o l’uso della violenza quale metodo di lotta politica, il propugnare la soppressione delle libertà costituzionali, lo svolgere propaganda razzista, l’esaltare principi, fatti e metodi propri del predetto partito, il compiere manifestazioni esteriori di carattere fascista e il denigrare la democrazia, le sue istituzioni o i “valori della Resistenza”;
- inoltre, l’art 5 della cit. legge punisce le manifestazioni usuali del disciolto partito fascista, quando siano compiute durante eventi pubblici.
L’impianto normativo pone dei limiti alla libertà di manifestazione del pensiero, di riunione e di associazione degli individui, le quali non possono esplicarsi in forme che denotino un concreto tentativo di raccogliere adesioni ad un progetto di ricostituzione del disciolto partito fascista, con la conseguenza pratica che la propaganda politica ed elettorale si arresta in ogni forma, sia quella di acquisire uno spazio pubblico di condivisione.
A fronte di una richiesta dell’uso pubblico di uno spazio (che nel caso di specie presenta una forte valenza evocativa perchè intestato a martiri della Resistenza e dell’antifascismo) per manifestare il proprio pensiero politico l’Amministrazione, precisa il giudice di prime cure, può valutare la meritevolezza dell’interesse dedotto con riferimento specifico al rispetto o meno dei valori dell’antifascismo, specie quando si ometta un contenuto precettivo e simbolico che vanifica di senso stesso del ripudio all’antifascismo.
Neppure è fondato il presunto vizio sul non corretto uso del potere che, in presenza di una richiesta di uso del suolo pubblico, richieda una dichiarazione estranea alle finalità dell’autorizzazione sotto il profilo prettamente fiscale e di tutela della viabilità e della sicurezza pubblica, essendo libera l’Amministrazione di subordinare l’utilizzo di uno spazio pubblico in funzione della meritevolezza dell’interesse perseguito e della sua idoneità a giustificare la sottrazione temporanea del bene pubblico all’utilizzo collettivo: vi è un bilanciamento dell’interesse pubblico (al rispetto dei principi costituzionali) con quelli privati eventualmente confliggenti[4].
Neppure si può richiamare, argomenta la seconda sez. del T.A.R. Piemonte, con la sentenza n. 447 del 18 aprile 2019:
- l’assenza nel regolamento, in materia di concessione di suolo pubblico, di una norma che imponga la presentazione di una dichiarazione di adesione ai valori dell’antifascismo per poter ottenere uno spazio pubblico per ritenere il diniego illegittimo atteso che il rigetto è fondato su una determinazione del Consiglio comunale, organo deputato ad approvare/modificare i regolamenti comunali, idoneo ad integrarli ab externo, in ragione della sua natura sostanzialmente regolamentare del vincolo dichiarativo (ex 42 del TUEL);
- la violazione degli artt. 46 e 47 del D.P.R. n. 445/2000 che non permetterebbe di attestare le opinioni politiche non rientranti nella nozione di “stati e qualità”, visto che la dichiarazione richiesta dall’Amministrazione non è una vera dichiarazione sostitutiva di certificazione, ma una dichiarazione di impegno del privato al rispetto dei principi costituzionali e dei valori ad essi sottesi, in funzione della valutazione di meritevolezza dell’interesse perseguito dal richiedente attraverso l’utilizzo del suolo pubblico;
- l’obbligatorietà dell’uso di un “modello tipo” (ex comma 2 dell’art. 48 del D.P.R. 445/2000), essendo una facoltà rimessa all’interessato ove si consideri che l’Amministrazione ha respinto l’istanza non tanto per la mancata compilazione nello stampato[5] quanto per il suo contenuto non corrispondente al ripudio espresso del fascismo e del nazismo e all’adesione ai valori dell’antifascismo.
La storia Patria e l’Ordinamento giuridico repubblicano incontrano dei limiti quando si vogliono confondere i principi di base inseriti nel testo costituzionale e patrimonio collettivo delle società moderne, dove i regimi e le idee totalitarie non possono convivere con la democrazia (il principio democratico della Repubblica, enunciato nel comma 1 dell’art. 1 Cost., ha immediato riscontro nell’affermazione della sovranità popolare, anch’esso affermato nel comma 2 dell’art. 1 Cost.), e ogni confusione non può essere ammessa.
[1] Cfr. T.A.R. Lombardia, Brescia, sez. II, ordinanza 8 febbraio 2018, n. 68, dove è stato ritenuto che «la richiesta di dichiarare di ripudiare l’ideologia fascista non possa essere qualificata come lesiva della libertà di pensiero e di associazione, dal momento che se tale libertà si spingesse fino a fare propri principi riconducibili all’ideologia fascista sarebbe automaticamente e palesemente in contrasto con l’obbligo e l’impegno al rispetto della Costituzione italiana e che, dunque, l’aver subordinato l’accesso agli spazi pubblici all’avversata dichiarazione, seppur in parte ridondante, non possa comunque essere considerata contraria alla legge e, dunque, espressione di un eccesso di potere», rilevando anche che le disposizioni non incidono sul regolamento di polizia urbana.
[2] Cfr. Corte Cost., 19 febbraio 1965, n. 9.
[3] Il riconoscimento di tale diritto è basato sul principio di pubblicità dei documenti amministrativi, Cons. Stato, sez. IV, 13 aprile 2005, n. 1745.
[4] T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 25 luglio 2017, n. 8934.
[5] Nessuna norma autorizza l’Amministrazione a pretendere l’utilizzo di modulistica dalla stessa predisposta a pena di inammissibilità della pretesa ostensiva, ma l’Amministrazione può lecitamente pretendere che l’istante presenti una domanda avente il contenuto previsto per il rilascio del titolo: il modulo predisposto assolve semmai ad una funzione di ausilio offerto ai privati e non come condizione di ammissibilità o procedibilità della procedura, T.A.R. Toscana, sez. III, 29 giugno 2015, n. 996; idem T.A.R. Lazio, Roma, sez. I, 30 ottobre 2018, n. 10480 e Cons. Stato, sez. V, 17 giugno 2014, n. 3093. Anzi si può sostenere che non può essere disposta la esclusione dalla mancata produzione di un documento non previsto dalla modulistica predisposta dall’Amministrazione proprio perché il privato in modo incolpevole ne fa uso, Cons. Stato, sez. V, 5 luglio 2011, n. 4029.