La seconda sez. del Consiglio di Stato, con la sentenza 22 luglio 2019 n. 5150 (estensore Manzione), interviene per definire la legittimità di un’ordinanza sindacale, ex artt. 50 e 54 del D.Lgs. n. 267 del 2000 (c.d. TUEL), di sgombero di un immobile occupato, pur in presenza di una situazione di pericolo già presente da tempo.
Le novità emerse dalla sentenza incidono significativamente sul potere di ordinanza, espressamente previsto dalla legge, quale forma straordinaria di intervento extra ordinem finalizzato a salvaguardare interessi primari dei singoli o della collettività a fronte di situazioni di urgente necessità ma anche a fronte di situazioni consolidate (come nel caso di specie) qualora si accerti che gli strumenti ordinari posti dall’ordinamento risultino insufficienti[1], e vi sia la contestuale esigenza di rispristinare lo stato di sicurezza urbana (rectius pericolo segnalato dal Comando VV.FF.), nelle sue late accezioni.
Il fatto nella sua essenzialità verte sull’efficacia di un’ordinanza sindacale con la quale veniva ingiunto al proprietario di un immobile il mancato utilizzo, anche tramite cessione a terzi, con contestuale intimazione al rilascio da parte degli attuali occupanti onde non metterne a repentaglio la loro incolumità (il provvedimento di rilascio del bene era stato già emesso negli anni, con lo scopo di eliminare il pericolo statico esistente mediante l’esecuzione di lavori di ristrutturazione e/o di restauro).
Il giudice di prime cure, dopo aver qualificato l’ordinanza contingibile ed urgente, adottata ex art. 54 del TUEL, riteneva insussistenti i presupposti, essendo la situazione stigmatizzata a conoscenza dell’Ente locale da tempo (sin dal 1999), senza che lo stesso avesse adottato «le misure ordinarie di prevenzione nell’ambito della normale attività amministrativa»; circostanza accertata anche da apposito pronunciamento, ove si auspicava la possibilità di intervento diretto dell’Amministrazione in danno delle parti individuate come responsabili della ravvisata situazione di pericolo, a causa dell’avvenuta effettuazione di lavori edilizi di sopraelevazione (abusivi)[2].
La sentenza di primo grado veniva sospesa sull’assunto che dalla stessa «può derivare al comune appellante un danno grave e irreparabile, tenuto conto del pericolo di crollo dell’immobile, privo peraltro dell’abitabilità e considerato che l’ordine di sgombero non incide sulla questione dell’imputabilità dello stato di dissesto e dell’onere di eseguire i lavori».
L’appellata proprietà insisteva per la conferma della sentenza impugnata sulla considerazione che «avrebbero dovuto essere adottati rimedi nei confronti dei condomini responsabili degli abusi edilizi che hanno causato il dissesto dell’edificio, il cui aggravato stato di degrado non sarebbe stato provato».
Invero, in altra circostanza di vivo interesse per il tema affrontato, è stata ritenuta legittima una ordinanza sindacale che ha disposto lo sgombero immediato di un immobile appartenente al patrimonio indisponibile dell’Ente locale motivata con riferimento al fatto che il bene è occupato senza titolo, a nulla rilevando la circostanza che detta occupazione senza titolo si sia protratta per un lungo lasso di tempo: l’inerzia nel decidere non è stata idonea ad incidere sul corretto esercizio del potere a fronte di un interesse pubblico alla tutela dei propri beni[3].
Va anche rilevato che l’occupazione abusiva di un immobile non può essere ritenuta ex se situazione legittimante l’emanazione di un’ordinanza sindacale, ex art. 54, del D.Lgs. 267/2000, richiedendosi, a tal scopo un quid pluris rappresentato dal turbamento dell’ordine, dell’igiene e dell’incolumità pubblica: elementi fattuali atti a comprovare la situazione emergenziale di natura sanitaria, di igiene pubblica o di fenomeni di criminalità conseguenti all’occupazione abusiva che siano suscettibili di minare la sicurezza urbana, costituendo presupposto per l’esercizio del potere sindacale di ordinanza, ai sensi degli artt. 50 e 54 del TUEL[4].
Ciò posto, il giudice di seconde cure nel ritenere l’appello fondato, con conseguente riforma dell’impugnata sentenza, definisce i seguenti profili di diritto (dopo aver richiamato la situazione di fatto irrisolta da anni, pur in presenza dell’avvenuta individuazione della causa del degrado, ovvero i lavori edilizi abusivi):
- in via astratta, si può escludere la sussistenza dei requisiti della “necessità” ed “urgenza” posti dal legislatore a fondamento del potere di intervento extra ordinem del Sindaco, nel caso di specie quale ufficiale di governo (art. 54 del D.Lgs. n. 267/2000, in contrapposizione, ratione materiae, al disposto dell’art. 50 del medesimo TUEL che, avuto riguardo a diverse motivazioni, gli riconosce analogo potere quale capo del governo locale) in presenza da una parte, di una situazione nota risolvibile direttamente dall’Amministrazione in danno del privato, dall’altra parte, di ordinanze contingibili ed urgenti inosservate;
- in pratica, pur in presenza di un precedente provvedimento sindacale inattuato, la riedizione del potere sindacale si palesa legittimo poiché conseguito alla situazione di incombente pericolo segnalato successivamente (di recente dai Vigili del fuoco)[5] e aggravatosi «rispetto alle precedenti verifiche in termini oggettivi, e riprodottosi in senso soggettivo, stante la persistente cessione dell’utilizzo dello stabile da parte della -già intimata- proprietaria a nuovi inquilini».
La persistenza della situazione di pericolo, fa riemergere l’attualità dello stesso indipendentemente dalle implicazioni civilistiche, ovvero dagli interventi di recupero dell’immobile.
Infatti, annota il Consiglio di Stato, l’emanazione di un’ordinanza contingibile ed urgente, ai sensi degli artt. 50 o 54 del TUEL, indifferentemente, presuppone l’esistenza di una situazione eccezionale ed imprevedibile, nel senso che rileva «non la circostanza (estrinseca) che il pericolo sia correlato ad una situazione preesistente ovvero ad un evento nuovo ed imprevedibile, ma la sussistenza (intrinseca) della necessità e dell’urgenza attuale di intervenire a difesa degli interessi pubblici da tutelare, a prescindere sia dalla prevedibilità, che, soprattutto, dall’imputabilità se del caso perfino all’Amministrazione stessa della situazione di pericolo che il provvedimento è rivolto a rimuovere».
Quello che merita attenzione è il dato fattuale della persistenza del pericolo, lasciando ai margini ogni profilo ulteriore in costanza di una situazione che presenta il carattere della necessità di affrontare una situazione che mina la tutela dell’incolumità personale o pubblica: la persistenza della situazione di pericolo nel tempo non può che aggravarne gli effetti negativi (come appurato dalla relazione di servizio dei VV.FF.).
È del tutto irrilevante il decorso del tempo che non consuma il potere di ordinanza, «perché ciò che rileva è esclusivamente la dimostrazione dell’attualità del pericolo e della idoneità del provvedimento a porvi rimedio, sicché l’immediatezza dell’intervento urgente del Sindaco va rapportata all’effettiva esistenza di una situazione di pericolo al momento di adozione dell’ordinanza»[6].
Possiamo ritenere che una nuova valutazione della situazione di fatto esistente rispetto alle precedenti ordinanze non muta il giudizio di pericolo attuale.
A ben vedere, la nuova ordinanza non assume contenuto meramente confermativo del provvedimento già adottato, ma ne integra uno nuovo, basato su diversa e compiuta istruttoria pur se per la sola verifica degli stessi fatti nella loro mantenuta o aggravata lesività e con nuovo apprezzamento di essi: si tratta dell’esercizio rinnovato del potere, distinto dal precedente[7].
In breve, siamo in presenza di un’attività successiva adottata con una nuova istruttoria e una nuova ponderazione degli interessi, specie ove si consideri l’attività accertativa dei VV.FF., che costituisce in modo indiscusso l’esperimento di un ulteriore adempimento istruttorio con un nuovo esame degli elementi di fatto e di diritto che caratterizzano la situazione di pericolo: un provvedimento diverso dal precedente non essendosi la P.A. limitata a dichiararne l’esistenza di un suo precedente provvedimento senza compiere alcuna nuova istruttoria e senza una nuova motivazione[8].
Il Tribunale precisa l’iter argomentativo sotto il profilo logico del processo decisionale, ex art. 3 della Legge n. 241/1990, ovvero il mantenimento dell’assetto degli interessi già disposto e la necessità di mantenere sgombero l’immobile: motivazione confluita in un nuovo provvedimento, che esprime un diverso esercizio del medesimo potere.
Si conferma e ribadisce che, ai fini della sussistenza del legittimo potere di ordinanza sindacale contingibile ed urgente, è indifferente che tale potere sia correlato ad una situazione preesistente, nuovamente valutata per ponderarne l’attualità in termini di pericolo, ovvero ad un evento nuovo ed imprevedibile, in quanto ciò che rileva è soltanto la necessità e l’urgenza attuale di intervenire a difesa degli interessi pubblici da tutelare[9].
L’approdo coglie il contenuto dogmatico del potere esercitabile attraverso l’ordinanza sindacale, potere che deve rispondere a una situazione di pericolo attuale e, di conseguenza, in grado di fronteggiare nell’immediato la situazione, anche se la stessa perduri da tempo: dunque, la circostanza che lo stato di pericolo fosse già esistente da tempo risalente, non esclude di per sé solo la necessità dell’intervento sindacale, peraltro reiterato, inutilmente ma non per questo meno doverosamente, nel corso degli anni.
Vi è, in termini diversi, un obbligo di agire anche di fronte a reiterati ordini inattuati qualora la situazione di pericolo non sia venuta meno, a prescindere dalle responsabilità causative dell’evento, cui avrebbe dovuto far seguito un intervento mirato a cauterizzare gli stessi all’interno di specifici e tipizzati procedimenti, con ciò pretermettendo l’indiscussa sussistenza dell’attualità del pericolo per la pubblica incolumità, siccome denunciato dall’organo di vigilanza tecnica.
A rimarcare l’indipendenza da ogni ulteriore profilo in relazione al doveroso potere di ordinanza, la considerazione che la mancata valutazione del carattere abusivo della sopraelevazione eseguita sull’immobile e la mancata delibazione della relativa domanda di condono da parte dell’Amministrazione, non può, pertanto, «avere alcuna influenza sull’accertamento della legittimità o meno dell’ordinanza contingibile ed urgente con cui il Comune ha ordinato lo sgombero, all’attualità e pro futuro, dell’immobile».
Stesse considerazioni prospettiche, l’eventuale avvenuto accertamento in altre sedi di responsabilità omissive non impatta sulla legittimità e, ancor prima, sulla doverosità del provvedimento adottato a tutela dell’incolumità pubblica, rilevando che l’ordinanza non preclude altri indagini sull’imputabilità delle responsabilità.
L’ordito normativo assegna al sindaco un potere d’intervento quando non siano presenti rimedi diversi assegnati dall’ordinamento: il potere di ordinanza, con poteri atipici e sussidiari, risulta l’ultima ratio giuridica (extra ordinem) capace di rispondere nell’immediato a tutte quelle situazioni di pericolo non codificate dalle discipline speciali e di legge.
Il pregio dell’orientamento della seconda sez. del Consiglio di Stato, con la sentenza 22 luglio 2019 n. 5150, è quello di legittimare le ordinanze contingibili ed urgenti per fronteggiare situazioni che presentano il carattere della permanenza (ovvero, di una situazione già conosciuta e non contingente) quando sia ugualmente presente la necessità di porre soluzione ad un intervento di pericolo non rinviabile (ma aggravato dal tempo) a tutela della pubblica incolumità.
[1] In termini diversi, in presenza di una situazione per la quale sia impossibile utilizzare i normali mezzi apprestati dall’ordinamento giuridico in presenza di un preventivo accertamento della situazione di pericolo che deve fondarsi su prove concrete e non su mere presunzioni (ex multis, T.A.R. Piemonte, sez. II, 12 giugno 2009, n. 1680), anche se l’obiettivo può essere di prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità dei cittadini, T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 17 giugno 2009, n. 5726; Cons. Stato, sez. V, 7 aprile 2003, n. 1831; 2 aprile 2001, n. 1904; Cass. Civ., SS.UU., 17 gennaio 2002, n. 490.
[2] Cfr. T.A.R. Campania, Napoli, sez. V, 26 aprile 2010, n. 2134.
[3] T.A.R. Campania, Napoli, sez. VII, 20 aprile 2017, n. 2191.
[4] T.A.R. Toscana, sez. II, 12 novembre 2018, n. 1470.
[5] È legittimo il provvedimento con il quale il sindaco ha disposto il divieto di uso abitativo di un immobile, con ordine del relativo sgombero immediato, che sia motivato con riferimento alla accertata e comprovata inidoneità del medesimo immobile ad essere destinato a tale uso, Cons. Stato, sez. V, 27 maggio 2014, n. 2703.
[6] Cfr. T.A.R. Campania, Napoli, sez. V, 3 febbraio 2015, n. 678; Cons. Stato, sez. V, 12 ottobre 2010, n. 7411 e 28 settembre 2009, n. 5807.
[7] La distinzione tra atto meramente confermativo, e, quindi, inimpugnabile, e atto di conferma in senso proprio, autonomamente impugnabile, è data dallo svolgimento quanto al secondo di una nuova istruttoria o di una rinnovata valutazione e ponderazione, ovvero un riesame della situazione che aveva condotto al precedente provvedimento, Cons. Stato, sez. IV, 14 ottobre 2016, n. 4214; 29 febbraio 2016, n. 812; 14 aprile 2014, n. 1805; sez. III, 30 maggio 2017, n. 2564.
[8] Cfr. T.A.R. Emilia Romagna, Bologna, sez. II, 3 febbraio 2016, n. 151.
[9] T.A.R. Sardegna, sez. I, 1 agosto 2014, n. 681.