La seconda sez. del T.A.R. Toscana, con la sentenza n. 1295 del 25 settembre 2019, interviene per limitare il diritto di accesso emulativo sull’attività della P.A., non funzionale o strumentale all’esercizio di una propria libertà o incisione della sfera giuridica: un controllo avulso dai principi del FOIA, pur ammissibile se circostanziato e anche in pendenza di procedimenti giudiziari.
La questione si presenta a fronte del silenzio – rigetto formatosi, ex art. 25, comma 4, della Legge n. 241/1990, sull’istanza relativa ad ordinanze di demolizione e successivi provvedimenti adottati dall’Amministrazione nei confronti di terzi soggetti, con l’intento di verificare l’attività posta in essere dagli organi tecnici in relazione ai provvedimenti repressivi in materia edilizia: una evidente cesura sul facere.
Da subito, il giudice di prime cure si allinea al precedente, affermando che lo strumento dell’accesso documentale non si atteggia come una sorta di azione popolare diretta a consentire una forma di controllo generalizzato sull’Amministrazione, né può essere trasformato in uno strumento di ispezione popolare sull’efficienza di un soggetto pubblico o di un determinato servizio, nemmeno in ambito locale[1].
Sarebbe inusuale pretendere di effettuare un sindacato ispettivo sull’esercizio della discrezionalità amministrativa, riferito ad un procedimento, quando non si assume alcun concreto interesse ma si opera con l’intento di soprapporsi all’attività amministrativa, pretendendo di verificarne la legittimità, quasi a introdurre un controllo esterno, extra corpus, non ammesso dalla legge.
Invero, l’interesse che legittima ciascun soggetto all’istanza, e che va accertato caso per caso, deve essere personale e concreto e la documentazione richiesta deve essere direttamente riferibile a tale interesse, oltre che individuata o ben individuabile.
Quando l’istanza ostensiva si presenta dichiaratamente volta ad effettuare un controllo generalizzato sull’operato della P.A., e dei suoi singoli soggetti (caso di specie, Comando della Polizia Municipale), al fine di verificare l’efficienza della sua attività o accertare eventuali negligenze, o colpevoli ritardi od omissioni, siamo in presenza di un plateale divieto, secondo i canoni del comma 3 dell’art. 24 della Legge n. 241/1990: «Non sono ammissibili istanze di accesso preordinate ad un controllo generalizzato dell’operato delle pubbliche amministrazioni».
L’accesso ai documenti amministrativi tende a favorire la partecipazione e ad assicurare l’imparzialità e la trasparenza dell’attività amministrativa, piuttosto che una verifica intrinseca sull’operato della stessa, deve semmai essere propedeutico alla miglior tutela delle proprie ragioni.
D’altronde tale istanza di accesso sull’operato conseguente ad un abuso edilizio, senza alcuna attinenza con il fatto o la situazione segnalata, dimostra l’assenza di un collegamento con gli atti richiesti e quell’interesse diretto concreto e attuale che deve apprestarsi in funzione della propria difesa, anche ipotetica.
Nella sua concretezza, viene appurato che la documentazione depositata nell’ambito di un procedimento penale dallo stesso ricorrente «che nell’ipotesi accusatoria, per il suo contenuto e per la sua mole eccezionale, costituirebbe il mezzo di realizzazione delle condotte delittuose di minaccia a pubblico ufficiale e interruzione di pubblico servizio».
In termini più semplici, non sembra possibile richiedere in modo generico e indefinito una serie di atti riferiti ad una molteplicità di procedimenti «afferenti ad un numero altrettanto irragionevole di segnalazioni, diffide, richieste d’informazioni, esposti, ordinanze etc.», senza dimostrare alcun interesse giuridico diretto o beneficio se non quello di pretendere di porre in atto una valutazione strumentale ad assecondare interessi diversi da quelli inerenti l’accesso, con un dispendio di risorse ed energie pubbliche non giustificate, ex art. 97 Cost. (senza alcuna finalizzazione al buon andamento).
Infatti, come noto, l’Amministrazione, in sede di accesso, è tenuta a produrre documenti individuati in modo sufficientemente preciso e circoscritto, e non anche a compiere attività di ricerca ed elaborazione degli stessi, atteso che richieste generiche sottoporrebbero l’Amministrazione a ricerche incompatibili sia con la funzionalità dei plessi, sia con l’economicità e la tempestività dell’azione amministrativa[2].
A bene vedere, annota il giudice, il carico di lavoro che deriverebbe dalla domanda di accesso sarebbe tale da paralizzarne l’attività almeno per diversi giorni, in relazione alla richiesta massiva e indeterminata di atti e documenti.
Dunque, a fronte di una richiesta generica e indeterminata, l’Amministrazione dovendo bilanciare gli interessi personali del ricorrente con il mantenimento dell’efficienza e del buon funzionamento di quest’ultima può legittimamente propendere per il diniego.
Qualora, diversamente dalla fattispecie, vi fossero delle esigenze di trasparenza, sull’utilizzo delle risorse e sulla volontà di verificare l’organizzazione pubblica, lo strumento azionabile può ben consistere nell’accesso civico (secondo il c.d. decreto trasparenza, ex D.Lgs. n. 33/2013), e nella conseguente consultazione on line della sezione “Amministrazione trasparente” del sito web istituzionale della P.A., con piena adesione al modello FOIA.
Tuttavia, anche questo strumento di partecipazione (anche sotto forma di accesso civico generalizzato, ex comma 2 dell’art. 5, del D.Lgs. n. 33 cit. «Allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico, chiunque ha diritto di accedere ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione ai sensi del presente decreto, nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi giuridicamente rilevanti secondo quanto previsto dall’articolo 5-bis») dovrà essere utilizzato senza abusare dello stesso, bensì nell’ambito delle finalità partecipative perseguite dal legislatore e di un rapporto di leale collaborazione tra cittadini e Amministrazione.
Le istanze, seppure non motivate, per essere ritenute legittime devono «pervenire alla corretta individuazione dell’oggetto dell’istanza di accesso civico… identificare “i dati, le informazioni o i documenti richiesti” ex art. 5 comma 3, D.Lgs. n. 33/2013».
L’accesso civico generalizzato esige che le richieste siano composte:
- in modo da identificare gli atti e non «meramente esplorative, cioè volte semplicemente a scoprire di quali informazioni l’Amministrazione dispone»;
- non manifestamente irragionevoli, «tali cioè da dover comportare un carico di lavoro in grado d’interferire con il buon funzionamento dell’Amministrazione (come quella oggetto del presente giudizio)».
A fronte di una richiesta puntuale, ovvero, in grado di individuare gli atti e non emulativa, l’Amministrazione non potrà opporre preclusione automatiche e assolute alla conoscibilità dei documenti richiesti, se non nei casi previsti dall’art. 5 bis, comma 3, del D.Lgs. n. 33/2013.
Precisa, inoltre, il Tribunale che l’accesso documentale risulta ammissibile anche in presenza di un’indagine penale se gli atti «non sono confluiti nel fascicolo del procedimento penale e non rientrano tra gli “atti di indagine compiuti dal pubblico ministero” di cui all’art. 329 c.p.p.”».
Si comprende, dalle considerazioni che precedono, che una richiesta di accesso (documentale e civico generalizzato) non può spingersi ad «accertare e dimostrare il corretto svolgimento da parte dei funzionari preposti del pubblico servizio di vigilanza» sull’attività di repressione degli abusi edilizi[3], ma deve dimostrare da una parte, un interesse qualificato[4], dall’altra, un puntuale riferimento ai documenti che si richiedono in ostensione, mettendo gli uffici in condizione di poter operare la ricerca, evitando un aggravio di lavoro non giustificabile sotto il profilo dell’interesse pubblico alla trasparenza.
Il precipitato diretto postula che, fatte salve le ipotesi di istanze manifestamente emulative, non è consentito negare l’accesso agli atti, anche di fronte a procedimenti penali pendenti (compresi quelli civili)[5] od opponendo ragioni di merito che ineriscono alla sfera valutativa dell’istanza e che, al contrario, la P.A. non può sostituire una propria e singolare valutazione circa la conferenza dell’atto richiesto alle oggettive esigenze di collegamento dell’atto – obiettive o secondo la prospettazione del richiedente – con la situazione soggettiva da tutelare e circa l’esistenza di una concreta necessità di tutela, non essendo, in sintesi, consentito alla stessa P.A. un apprezzamento, nel merito, circa la fondatezza della pretesa e/o le strategie difensive dell’interessato[6].
L’interpretazione deposta conferma la portata generale della disciplina sull’accesso, la quale, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce – ai sensi dell’art. 22, comma 2, della Legge n. 241 del 1990 – «principio generale dell’attività amministrativa».
[1] Cons. Stato, sez. VI, 25 agosto 2017, n. 4074.
[2] T.A.R. Emilia Romagna, Bologna, 4 aprile 2016, n. 366; Cons. Stato, sez. IV, 12 gennaio 2016, n. 68.
[3] Va detto che il diritto all’accesso agli atti per fini difensionali prevale sulle eventuali contrapposte esigenze di riservatezza, rilevando che in ambito edilizio, alias permessi a costruire, le licenze ed eventuali sanatorie e/o condoni, unitamente alla documentazione tecnica allegata, qualora nella piena disponibilità dell’Amministrazione per loro natura sono suscettibile di idonea pubblicità –notizia, T.A.R. Liguria, sez. I, 18 marzo 2019, n. 233.
[4] Sotto il profilo della legittimazione attiva all’esercizio del diritto di accesso, ai sensi dell’art. 22, della Legge n. 241 del 1990, per “interessato” deve intendersi un soggetto privato che abbia un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso.
[5] Infatti, non può ritenersi che l’accesso ai documenti sia automaticamente precluso dalla pendenza di un giudizio civile, nella cui sede l’ostensione degli stessi documenti potrebbe essere disposta dal g.o., mediante ordine istruttorio ex art. 210 c.p.c. oppure mediante richiesta di informazioni ex art. 213 c.p.c., stante l’autonomia della posizione sostanziale tutelata con gli artt. 22 e ss. della Legge n. 241/1990 rispetto alla posizione che l’interessato intende difendere con altro giudizio e della relativa azione posta dall’ordinamento a tutela del diritto di accesso, perché, diversamente opinando, ciò si tradurrebbe in una illegittima limitazione del diritto di difesa delle parti, con conseguente lesione del principio dell’effettività della tutela giurisdizionale, Cons. Stato, sez. IV, 27 agosto 2019, n. 5910; sez. VI, 15 novembre 2018, n. 6444 e 21 marzo 2018, n. 1805.
[6] T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, 27 settembre 2019, n. 1672; idem Cons. Stato, sez. III, 16 luglio 2018, n. 4312.