La sez. terza Milano del T.A.R. Lombardia, con la sentenza 27 dicembre 2019, n. 2750 chiarisce i contorni di un’istanza di accesso ai documenti, ben potendo coesistere – nella richiesta ostensiva – il diritto di accesso civico generalizzato (ex art. 5, comma 2, del D.lgs. n. 33/2013) e l’accesso documentale (ex art. 22 della Legge n. 241/1990).
A fronte del silenzio di una richiesta rivolta alla P.A. veniva inoltrata tramite pec da un legale, appositamente autorizzato dal titolare del diritto, domanda di accesso documentale, ai sensi della Legge n. 241/1990, nonché di accesso generalizzato, ai sensi del D.lgs. 33/2013 al fascicolo personale ed a tutta la documentazione in possesso dell’Amministrazione, chiedendo in particolare:
- l’ufficio competente all’istruttoria;
- «di poter prendere visione ed estrarre copia di qualsivoglia atto e/o documento relativo al procedimento de quo».
Decorso inutilmente il termine di trenta giorni, il ricorrente proponeva azione, ex art. 116 c.p.a., chiedendo l’accertamento del proprio diritto all’accesso.
Giova, a tal proposito, rammentare che l’accesso ai documenti amministrativi è oggi regolamentato da tre sistemi generali, ognuno caratterizzato da propri limiti e presupposti[1]:
- il tradizionale «accesso documentale» (ex 22 ss. della Legge n. 241/1990), che consente ai (soli) soggetti portatori di un «interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata» di accedere ai dati incorporati in supporti documentali formati o, comunque, detenuti da soggetti pubblici;
- l’«accesso civico», concesso a «chiunque» per ottenere “documenti, informazioni o dati” di cui sia stata omessa la pubblicazione normativamente imposta (ex 5, comma 1 del D.lgs. n. 33/2013);
- l’«accesso civico generalizzato», concesso «senza alcuna limitazione quanto alla legittimazione soggettiva» e, perciò, senza necessità di apposita “motivazione” giustificativa in relazione a “dati, informazioni o documenti” ancorché non assoggettati all’obbligo di pubblicazione (ex 5, comma 2 del D.lgs. n. 33/2013).
Nel giudizio di accesso agli atti il giudice amministrativo è tenuto a verificare la sussistenza, in capo al ricorrente, di un’esigenza di tutela che non sia manifestamente pretestuosa o priva di nesso con il contenuto dei documenti richiesti, con la correlata legittimazione all’accesso che non deve essere valutata in base alla fondatezza della pretesa sostanziale sottostante, possedendo rilevanza del tutto autonoma[2].
Un tanto al fine di comprendere che non spetta all’Amministrazione, che detiene il documento, valutare le modalità di tutela dell’interesse del richiedente e negare l’accesso per il caso in cui ritenga talune di esse non più praticabili: spetta solo al privato richiedente, una volta ottenuto il documento, la decisione sui rimedi giurisdizionali da attivare ove ritenga lesa la sua situazione giuridica soggettiva, non, quindi, all’Amministrazione[3].
Ciò posto, il Tribunale rileva che la domanda di accesso civico generalizzato ben può proporsi manifestando (anche) la sussistenza dei presupposti per la formulazione della richiesta di accesso documentale, ai sensi della Legge n. 241 del 1990.
Dunque, con la medesima ed unica istanza, tenuto conto che i presupposti che consentono la formulazione della domanda di accesso civico sono ben definiti nell’art. 5, comma 2 del D.lgs. n. 33 del 2013 («favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico»), ed essi sono ben diversi dai presupposti che l’art. 24, comma 7, primo periodo, della Legge n. 241 del 1990, individua al fine di consentire l’accesso civico documentale (garantire «ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici»), escludendo che in tale ultimo caso siano «ammissibili istanze di accesso preordinate ad un controllo generalizzato dell’operato delle pubbliche amministrazioni» (ex art. 24, comma 3 della Legge n. 241 del 1990)[4].
In termini diversi, può coesistere una richiesta contenente due distinte e alternative forme di accesso:
- quello civico generalizzato;
- quello documentale.
Si tratta di istituti a carattere generale, ognuno con oggetto e titolo di legittimazione diverso, a cui sono applicabili ognuno a differenti e specifiche fattispecie.
Opera, quindi, nel proprio ambito di azione senza assorbimento della fattispecie in un’altra, e senza abrogazione tacita o implicita ad opera della disposizione successiva, poiché diverso è l’ambito di applicazione di ciascuno di essi: uno, quello documentale, di natura partecipativa/difensiva, l’altro, quello civico, informativo e di trasparenza in adesione al c.d. modello FOIA.
L’Amministrazione, alla quale previene l’istanza (alias al responsabile del procedimento, ex comma 6, dell’art. 6 del D.P.R. n. 184/2006), potrà, in funzione di apposita attività istruttoria sulla sussistenza dei presupposti legittimanti, fare applicazione di un istituto piuttosto che dell’altro[5].
In applicazione delle coordinate normative che precedono, si perviene alle seguenti conclusioni:
- la richiesta dei documenti assolve a tutti i presupposti, di cui agli artt. 22 e seguenti della Legge n. 241/1990, per consentire l’esercizio del diritto di accesso dell’interessato, trattandosi di documenti rispetto ai quali il ricorrente ha un interesse diretto, concreto e attuale corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata ai documenti stessi di cui chiede l’ostensione;
- quanto concerne la domanda volta a conoscere l’ufficio competente, si annota che rientra in un preciso obbligo di comunicazione del responsabile del procedimento, ai sensi dell’art. 6 della stessa Legge n. 241/1990[6], atteso che le informazioni richieste sono comunque riconducibili all’istituto dell’accesso civico generalizzato, di cui all’art. 5 comma 2 del D.lgs. n. 33/2013.
A margine, su questo ultimo aspetto, un provvedimento amministrativo non è invalido laddove nell’atto recante la comunicazione dell’avvio del procedimento (fatto che è venuto meno nel caso di specie) manchino le informazioni, di cui all’art. 8 della Legge n. 241/1990, con riferimento particolare al nominativo del responsabile del procedimento o dell’ufficio in cui prendere visione degli atti, rappresentando tale ipotesi una mera irregolarità[7].
La novità della sentenza si presta ad acclarare una questione pratica quanto logica, la quale consente al richiedente (non sempre avvezzo alla rigidità del diritto) di formulare la propria istanza ostensiva motivata da presupposti giuridici e fattuali diversi rispetto alle specifiche forme di accesso.
Ne consegue che la coesistenza di tre diverse specie di accesso agli atti, ciascuna distintamente regolata nei suoi presupposti, induce a ritenere che non esista, nel nostro ordinamento, un unico e generale diritto del privato ad accedere agli atti amministrativi che possa farsi valere a titolo diverso, obbligando la P.A. ad accogliere la richiesta nei limiti e modi del singolo accesso.
Non è, quindi, onere del richiedente (se non in sede processuale)[8] individuare quale sia la sua situazione legittimante, ovvero quale tipologia di accesso azionare, ben potendo proporre un’unica istanza cumulativa[9].
Segue, al termine del giudizio, l’accoglimento del ricorso, con l’effetto di ordinare alla P.A.:
- di consentire l’accesso agli atti e ai dati richiesti dal ricorrente;
- di pagare a favore del ricorrente le spese di giudizio.
[1] Cons. Stato, sez. V, 2 agosto 2019, n. 5503.
[2] T.A.R. Veneto, sez. I, 31 dicembre 2019, n. 1417; idem Cons. Stato, sez. VI, 9 aprile 2018, n. 2158.
[3] Cons. Stato, sez. V, 27 giugno 2018, n. 3953.
[4] L’accesso documentale consente una possibilità ampia per la tutela della posizione giuridica del richiedente, senza alcuna restrizione alla sola dimensione processuale, T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 16 aprile 2019, n. 4945, che richiama Cons. Stato, sez. V, 17 giugno 2014, n. 3079.
[5] Cons. Stato, sez. VI, 29 aprile 2019, n. 2737.
[6] Ai sensi dell’art. 8 «Modalità e contenuti della comunicazione di avvio del procedimento» della Legge n. 241/1990, «l’Amministrazione provvede a dare notizia dell’avvio del procedimento mediante comunicazione personale» e al comma 2, lettera c) si specifica che nella comunicazione debbono essere indicati «l’ufficio e la persona responsabile del procedimento». La ratio degli artt. 7 e 8 della cit. legge, in tema di partecipazione nel corso del procedimento, è quella di evitare che un provvedimento (lesivo) sia emanato a sorpresa del suo destinatario, T.A.R. Campania, Salerno, sez. I, 8 novembre 2019, n. 1947.
[7] T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. II, 30 maggio 2019, n. 1106.
[8] Cfr. Cons. Stato, sez. III, 16 dicembre 2019, n. 8501, sulla rimessione all’esame dell’Adunanza Plenaria della questione «se, in presenza di un’istanza di accesso ai documenti espressamente motivata con esclusivo riferimento alla disciplina generale di cui alla legge n. 241/1990, o ai suoi elementi sostanziali, l’amministrazione, una volta accertata la carenza del necessario presupposto legittimante della titolarità di un interesse differenziato in capo al richiedente, ai sensi dell’art. 22 della legge n. 241/1990, sia comunque tenuta ad accogliere la richiesta, qualora sussistano le condizioni dell’accesso civico generalizzato di cui al decreto legislativo n. 33/2013».
[9] T.A.R. Toscana, 20 dicembre 2019, n. 1748.