La quinta sez. del Consiglio di Stato, con la sentenza 17 gennaio 2020 n. 429, chiarisce i limiti (disapplicazione) di una norma del regolamento edilizio nel caso di sostituzione di alberi preesistenti con altri dello stesso tipo, statuendo l’illegittimità dell’ordine di abbattimento (anche per incompetenza funzionale).
In linea generale, l’istituto della disapplicazione di norme regolamentari si applica in virtù del principio della graduazione della forza delle diverse fonti normative, tutte astrattamente applicabili, e presuppone che il precetto contenuto in una norma si ponga in contrasto diretto con quello contenuto in altra fonte di grado superiore: un’effettiva antinomia tra fonti rispetto alla posizione della regola iuris che costituisce il parametro di valutazione della legittimità del provvedimento amministrativo[1].
Ne consegue che in sede di giudizio, la disapplicazione della norma secondaria di regolamento, ai fini della decisione sulla legittimità del provvedimento amministrativo impugnato di fronte al G.A., è uno strumento per la risoluzione delle antinomie tra fonti del diritto che trova fondamento nel cit. principio: in presenza di più fonti, tutte astrattamente applicabili, prevale quella gerarchicamente superiore[2].
Nel caso di specie, i giudici respingono un ricorso in appello di un Comune contro l’annullamento di un’ordinanza «di abbattimento di nove abeti rossi, messi a dimora nel 2007, all’interno della proprietà privata…, a confine con la strada comunale», sulla base di un asserito divieto del regolamento edilizio riferito:
- alla tipologia delle essenze resinose di alto fusto;
- all’assoggettamento a D.I.A. della piantumazione;
- all’acquisizione dell’autorizzazione paesaggistica regionale, necessaria anche per gli interventi relativi al piantamento, come al taglio, degli alberi in zona sottoposta a vincolo paesaggistico.
La sez. nel respingere il ricorso del Comune, prende atto della verifica istruttoria sull’irrilevanza dell’autorizzazione paesaggistica regionale, soffermandosi in punto di diritto non tanto sulla legittimità del contenuto regolamentare, quanto sull’interpretazione dello stesso.
Il processo ermeneutico interpretativo depone per un determinato senso da porre alla norma (c.d. effetto utile), ovvero l’acquisizione del titolo edilizio è necessaria «non già per la sostituzione (con piante della stessa specie) di piante esistenti e rimosse per perimento, ma unicamente per la messa a dimora di piante nuove inesistenti nel sedime di collocazione, ovvero di piante diverse da quelle ivi preesistenti».
In termini diversi, non si pone limiti al riempimento di vuoti urbani (seppure in sedimi privati, quando il cono visuale interessa un determinato paesaggio) con le medesime essenze arboree, non compromettendo l’esistente (soggetto funzionalmente a vincolo, ex art. 136, «Immobili ed aree di notevole interesse pubblico», del D.lgs. n. 42/2004, che riprende il dettato dell’art. 1 della Legge 29 giugno 1939, n. 1497)[3]; diversamente, il cambio dell’essenze, o l’inserimento di nuovi corpi arborei, può causare l’alterazione di quel tessuto ambientale che la norma precipuamente intende tutelare, ergo vietare.
Ciò, ammette il tribunale nella condivisibile considerazione che «la mera sostituzione di piante morte con altre vive della medesima specie non integra, infatti, una trasformazione urbanistica, ma, anzi, implica e comporta il permanere (ancorché sotto il profilo della ricostituzione) dell’originaria situazione, con conseguente non assoggettabilità di siffatto intervento a titolo abilitativo».
Medesime considerazioni possono ritrarsi sul significato delle essenze, le quali seppure diverse rispondono ad una medesima finalità, indipendentemente dalla loro collocazione all’interno o all’esterno dei nuclei abitati, senza rilevare alcuna disparità di forza delle norme regolamentari:
- abete rosso specie autoctona, dunque piantumabile (norma generale);
- in quanto albero (l’abete rosso) ad essenza resinosa ad alto fusto non piantumabile all’interno dei nuclei abitati (norma speciale).
La ratio della previsione speciale, argomenta l’appellante, sarebbe volta ad evitare la presenza di specie arboree che schermano, in ragione della loro conformazione, l’esposizione al sole, con conseguente effetto di permanenza del ghiaccio nella strada, donde deve ritenersi legittimo il divieto di piantagione di nuovi esemplari anche se collocati all’interno di un preesistente filare: sussisterebbe un rapporto sistematico tra le due norme.
Tuttavia, se tale gerarchia possa anche ammettersi, soggiunge la sez. V del Cons. Stato, la mera sostituzione di poche piante morte non dà luogo «a piantumazione in senso tecnico, intesa, secondo la botanica, quale messa a dimora di piante arboree, in viali e giardini, secondo un progetto coerente di sistemazione dell’area, operazione che, proprio in quanto tale, costituisce il minimum che consente di postulare una trasformazione urbanistica richiedente il titolo abilitativo».
La questione affrontata appare alquanto suggestiva, se da una parte potrebbe considerarsi legittimo un intervento tutorio su un terreno privato finalizzato alla messa in sicurezza, mediante potatura degli alberi, con lo scopo di garantire la pubblica e privata incolumità, a seguito di apposito accertamento della reale situazione di pericolo per la circolazione stradale e per la pubblica e privata incolumità, determinata dalla caduta di rami sulla sede stradale[4]; dall’altra parte, pensare che “l’ombra” delle piante consenta la permanenza del ghiaccio sull’asfalto pubblico, quando nell’area privata già sono esistenti filari di alberi e si provvede solo alla sostituzione di quelli morti, appare una questione controversa.
Se poi si tratta di ripristinare l’esistente e, quindi, un paesaggio urbano già consistente per la presenza di molti esemplari di alberi vivi, si dovrebbe optare – se effettivamente vi fosse un pericolo concreto – all’abbattimento di tutte le piante, estirpando anche quelle sane, alterando – così facendo – il paesaggio (dichiarato in prima istanza soggetto a vincolo).
Coesiste, in questa vicenda, un bilanciamento tra la volontà del privato di ripristinare il paesaggio arboreo compromesso e l’Autorità pubblica ad assicurare un interesse (meramente formale), all’acquisizione di un titolo edilizio idoneo, e contrastare un pericolo presunto su un singolo tratto di strada, rispetto a tutti gli alberi presenti.
È noto che nel bilanciamento di interessi, anche contrapposti, è necessaria una verifica puntuale e l’adozione di misure idonee (si trattava di poche piante) correlate al principio di proporzionalità dell’azione amministrativa, facendo riferimento ad una situazione di potenziale pericolo per la pubblica incolumità prima di procedere con l’abbattimento di alberi posti nell’originaria dimora[5].
In tal caso, infatti, la situazione rilevata dall’Amministrazione risulta rappresentata dal rischio di impedire al sole di far luce, con riflessi diretti sulla pubblica via (rectius sulla formazione del ghiaccio; senza considerare che il Comune è in zona montana), non rilevando un altro interesse pubblico degno di tutela, quello di ripristinare un bene di valore ambientale e paesaggistico importante per un territorio turistico[6], senza considerare (ancora) che il taglio delle piante, in zona di pregio vincolata, potrebbe dar luogo a danno ambientale[7].
La questione non sembra tenere conto che il legislatore, in via generale e alla luce dell’individuazione dei beni paesaggistici contenuta negli artt. 136 e segg. D.lgs. n. 42 del 2004, ha inteso designare una determinata parte del territorio che, per le sue caratteristiche naturali e/o indotte dalla presenza dell’uomo, è ritenuta meritevole di particolare tutela non potendo considerare una «trasformazione urbana» la “pretesa” di garantire l’assetto del territorio – senza l’esecuzione di nuova opera o nuovo volume – ma sostituendo le essenze arboree morte con altre identiche in vita[8].
[1] Cons. Stato, sez. VI, 5 gennaio 2015, n. 1.
[2] Cons. Stato, sez. II, 9 gennaio 2020, n. 219.
[3] Il potere dell’Autorità competente alla tutela del vincolo paesistico di esprimere il giudizio in ordine alla compatibilità di un intervento rispetto al vincolo medesimo, è connotato da un’ampia discrezionalità tecnico-valutativa, poiché implica l’applicazione di cognizioni tecnico-scientifiche specialistiche caratterizzate da ampi margini di opinabilità, T.A.R. Lombardia, Brescia, sez. I, 24 giugno 2019, n. 594.
[4] T.A.R. Emilia Romagna, Parma, sez. I, 29 gennaio 2015, n. 23.
[5] Cfr. T.A.R. Valle D’Aosta, Asta, 2 maggio 2019, n. 24.
[6] L’imposizione del vincolo non è subordinata all’esistenza di punti di vista dai quali si possa godere di una visione estetico-panoramica perché la legge tutela il paesaggio di per sé come valore autonomo, sintesi e somma del rilievo naturalistico, ambientale, archeologico, culturale ed umano, del territorio, T.A.R. Lazio, Roma, sez. II quater, 30 ottobre 2018, n. 10466.
[7] Cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, sez. IV, 29 luglio 2014, n. 2138.
[8] Cfr. Cons. Stato, sez. VI, 26 novembre 2018, n. 6671.