La sez. V del Consiglio di Stato, con la sentenza 17 aprile 2020 n. 2450 (estensore Grasso) affronta un tema importante e basilare per l’attività istruttoria finalizzata all’adozione dei provvedimenti degli organi elettivi: in modo specifico il parere, di cui all’art. 49 del d.lgs. n. 267/2000.
L’art. 49, «Pareri dei responsabili dei servizi», del TUEL impone al comma primo che «su ogni proposta di deliberazione sottoposta alla Giunta e al Consiglio che non sia mero atto di indirizzo deve essere richiesto il parere, in ordine alla sola regolarità tecnica, del responsabile del servizio interessato e, qualora comporti riflessi diretti o indiretti sulla situazione economico-finanziaria o sul patrimonio dell’ente, del responsabile di ragioneria in ordine alla regolarità contabile. I pareri sono inseriti nella deliberazione» (ne rispondono in via amministrativa e contabile dei pareri espressi)[1].
I pareri sono obbligatori[2] ma non vincolanti, confermando – in via generale – che quando l’Amministrazione in sede istruttoria abbia un parere ex lege o abbia richiesto e ottenuto un parere (quando risulta facoltativo), non può adottare decisioni in contrasto, senza esternare, mediante congrua motivazione, le ragioni che la inducono a disattendere le considerazioni e le conclusioni contenute nel parere medesimo (principio richiamato espressamente nel comma 4)[3].
Con funzione residuale, in assenza dei responsabili dei servizi (intesa come mancanza della funzione), il parere è espresso dal Segretario comunale, in relazione alle sue competenze[4], precisando che, partecipando alle sedute degli organi elettivi, svolge una funzione di garante del diritto, potendo porre in evidenza tutte le questioni che minano la validità degli atti deliberativi, con proprie osservazioni da riportare a verbale, specie in presenza di una sua opposizione[5].
La norma chiude nel suo carattere programmatico (c.d. “riserva di competenza”) disponendo che «ove la Giunta o il Consiglio non intendano conformarsi ai pareri… devono darne adeguata motivazione nel testo della deliberazione», con una riappropriazione di una presunta capacità decisionale rispetto alle indicazioni formulate dai responsabili degli uffici e una traslazione (propria) di responsabilità rispetto a quella assunta in sede istruttoria.
I fatti nella loro essenzialità sono riferiti all’adozione di una delibera di Giunta provinciale con la quale si provvedeva alla riorganizzazione delle risorse umane in dotazione, dotandosi di una macro-organizzazione basata solo su alcune posizioni dirigenziali, assegnabili con il criterio dell’anzianità di servizio, per il rimanente personale la messa in disponibilità.
Giova rammentare che l’adozione degli atti di macro-organizzazione pubblicistici, ai sensi dell’art. 4, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 165/2001, è rimessa agli organi di indirizzo politico – amministrativo (come la fissazione delle linee fondamentali di organizzazione, l’individuazione degli uffici di maggiore rilevanza, la determinazione delle dotazioni organiche), risultando atti presupposti alla successiva messa in disponibilità del personale, la cui accertata illegittimità è prospetticamente idonea ad incidere sui consequenziali atti gestionali[6].
Seguiva ricorso da parte di un dirigente di un settore soppresso, collocato in mobilità e assegnato ai ruoli di altra Amministrazione (statale).
In primo grado, il TAR accoglieva parzialmente il ricorso, sul duplice presupposto che:
- sotto il profilo formale, gli atti impugnati fossero viziati di incompetenza, in quanto non preceduti dalla preventiva e necessaria deliberazione programmatica del Consiglio;
- sotto il profilo sostanziale, il criterio selettivo prescelto per il collocamento del personale in mobilità non fosse supportato da idonea e congrua motivazione.
L’Amministrazione resistente adottava gli atti necessari per dare esecuzione al giudicato, cui seguiva altro ricorso, ove si evidenziava «una possibile ragione di incompatibilità dei due dirigenti controinteressati… nel rilascio dei pareri di regolarità tecnica e contabile».
Seguivano decreti del Presidente della provincia con esito confermativo del contenuto degli atti giuntali organizzativi, subito impugnati al TAR, deducendo tra l’altro la violazione:
- dell’art. 6 bis della legge n. 241/1990, sul conflitto di interessi;
- del D.P.R. n. 62/2013, codice di comportamento;
- del vigente Piano Nazionale Anticorruzione (PNA).
Il Consiglio di Stato rammenta che la sentenza appellata aveva accolto il ricorso proposto sul plurimo e concorrente assunto che «i due dirigenti, nominati per le due strutture conservate in sede di riorganizzazione delle funzioni, avrebbero dovuto astenersi dal rendere i pareri di regolarità tecnica e contabile nei procedimenti contestati, trovandosi in posizione di obiettivo conflitto di interessi, con conseguente illegittimità degli atti adottati» (oltre a censurare le scelte sulle modalità di individuazione dei settori, dei dirigenti, dei criteri di riparto delle funzioni fondamentali, dei contenuti professionali).
Ciò posto, i motivi di appello degli atti deliberativi della giunta provinciale vertono sul fatto che non sussisterebbe la presenza del conflitto di interessi poiché «trattandosi di attività di macro-organizzazione, di carattere generale e programmatico, il conflitto di interessi non avrebbe avuto, in tesi, i necessari caratteri della attualità e della immediatezza, idonei ad attivare, in concreto, l’obbligo di astensione» dei dirigenti che avevano formulato i pareri.
I giudici di Palazzo Spada ritenendo il motivo non fondato passano ad analizzare l’attività del rilascio del parere, le relative conseguenze e attinenze.
Si evidenza che l’art. 49 del d.lgs. n. 267/2000 impone che ogni deliberazione della Giunta e del Consiglio comunale (non concretante atto di indirizzo) sia corredata – già in sede di elaborazione della proposta – del parere di “regolarità tecnica” ed eventualmente, in caso di incidenza diretta o riflessa su profili economico-finanziari o patrimoniali, del parere di “regolarità contabile” del responsabile del servizio di ragioneria.
Ne consegue che gli atti devono avere necessariamente il parere di regolarità tecnica, mentre quello di regolarità contabile solo in relazione all’incidenza sul bilancio, ossia sugli aspetti economici – finanziari.
L’importanza di tale apporto tecnico è fatta palese, annota il Consiglio di Stato:
- dal carattere obbligatorio del parere (che “deve essere richiesto”, ai sensi del comma 1 del cit. art. 49, comma 1);
- dalla rilevanza ai fini dei “controlli interni” (ai sensi dell’art. 147 bis del d.lgs. n. 267/2000);
- dalla autonoma responsabilizzazione, sul piano amministrativo e contabile, dei soggetti chiamati a formularli (ai sensi del comma 3 dell’art. 49);
- dalla loro attitudine condizionante (che impone, ove la Giunta e il Consiglio abbiano inteso discostarsene, un obbligo di qualificata e specifica motivazione (ultimo comma dell’art. 49);
- dalla rilevanza delle situazioni di “conflitto di interessi”, di cui all’art. 6 bis della legge n. 241/1990, che strutturano il duplice obbligo di preventiva “segnalazione”, in caso di conflitto anche solo “potenziale”, e di “astensione”.
Il perimetro normativo porta alla conclusione che seppure la delibera di organizzazione a contenuto programmatico non direttamente incidente sulle singole posizioni, di fatto, anche solo potenzialmente, il conflitto non poteva che essere presente: «emergeva con obiettiva chiarezza, posto che la consistenza numerica dei dirigenti locali interessati dalle misure organizzative in fieri era di tale esiguità da lasciar intuitivamente presumere che il potenziale vantaggio dell’uno, anche in termini di prefigurazione dei criteri di selezione, si risolvesse in automatico o prevedibile svantaggio dell’altro».
In termini diversi, la valutazione va fatta nel concreto, caso per caso, e in un contesto di macro – organizzazione inteso alla riduzione dei settori delle competenze, correlati alla riduzione delle funzioni assegnate alle Province dalla (contestata) riforma c.d. Delrio (di cui alla legge 7 aprile 2014, n. 56), non poteva sfuggire che il riassetto copriva l’intera struttura dirigenziale dell’Ente, senza esclusione.
Donde, ragioni di trasparenza e imparzialità avrebbero imposto, in difetto di altre figure di responsabili dei servizi, la «regola “residuale” posta dall’art. 49, comma 2 per l’ipotesi di “mancanza” dei responsabili dei servizi (applicabile, per analogia, alla ipotesi di “astensione generalizzata”), con investitura, a fini ausiliari, del Segretario generale dell’Ente».
La sentenza conferma l’obbligo di astensione per conflitto di interessi (reale) in presenza di un provvedimento che incida direttamente sulla sfera dell’interessato (colui che ne cura l’istruttoria, caso di specie), minando inevitabilmente la sorte (travolgendola) dell’intero procedimento (riorganizzativo), non essendo rilevante il suo contenuto ai fini di un’eventuale bontà dispositiva (ossia, il migliore perseguimento dell’interesse pubblico): il conflitto di interesse richiede un arresto procedimentale e la sostituzione del responsabile (esteso a tutti coloro che operano nell’ufficio).
[1] Il parere di ragioneria, il c.d. “controllo contabile”, riferisce unicamente agli aspetti contabili e finanziari finalizzati ad assicurare la tutela degli equilibri di bilancio dell’ente, che dovrà tenere conto, in particolare, delle conseguenze rilevanti in termini di mantenimento nel tempo degli equilibri finanziari ed economico-patrimoniali, valutando: a) la verifica della sussistenza del parere di regolarità tecnica rilasciato dal soggetto competente; b) il corretto riferimento (effettuato dall’organo proponente) della spesa alla previsione di bilancio annuale, ai programmi e progetti del bilancio pluriennale e, ove adottato, al piano esecutivo di gestione, Corte conti, sez. giur. Calabria, 27 maggio 2019, n. 185. Altro aspetto risulta «il visto di regolarità contabile», ai sensi dell’art. 183, comma 7, del d.lgs. n. 267/2000, che, attestando la copertura finanziaria, attiene alla fase di esecuzione della spesa e determina l’esecutività dei provvedimenti dei responsabili dei servizi, differendo dal parere di regolarità contabile, ex art. 49 cit., che investe la legittimità delle deliberazioni, Corte conti, sez. giur. Trentino –Alto Adige, 25 marzo 2010, n. 114.
[2] Corte conti, sez. contr. Emilia – Romagna, 11 aprile 2017, n. 62.
[3] T.A.R. Marche, sez. I, 13 dicembre 2005, n. 1646. In effetti, quando la P.A. ha volontariamente acquisito un parere non obbligatorio, essa ha autonomamente vincolato la formazione della propria volontà alla acquisizione di chiarimenti o conoscenze non in suo possesso e dunque non può, successivamente, non tenerne conto, Cons. giust. amm. Sicilia, sez. giur., 21 novembre 2007, n. 1049.
[4] Non si tratta del soppresso parere di legittimità, quanto semmai all’attività di assistenza degli organi, di cui in via generale prevista all’art. 97 del d.lgs. n. 267/2000, non escludendo che permangano in capo al Segretario comunale tutta una serie di compiti ed adempimenti che «lungi dal determinare un’area di deresponsabilizzazione del medesimo, lo impegnano, invece, ad un corretto svolgimento degli stessi, pena la sua soggezione, in ragione del rapporto di servizio instaurato con l’Ente locale, all’azione di responsabilità amministrativa, ove di questa ricorrano gli specifici presupposti», Corte Conti, sez. giur. Toscana, sentenza n. 217/2012.
[5] Cfr. Corte Conti, sez. giur. Calabria, 27 maggio 2019, n. 185; sez. I giur. Centrale d’Appello, 11 febbraio 2019, n. 27; sez. giur. Piemonte, 14 ottobre 2015, n. 188.
[6] Cfr. Cass. civ., sez. unite, 27 febbraio 2017, n. 4881; Cons. Stato, sez. VI, 17 marzo 2017, n. 1220.