La sez. contr. Liguria della Corte Conti con la deliberazione del 30 marzo 2020, n. 38 interviene per definire i criteri di rimborso delle spese legali a favore di dipendenti coinvolti in un procedimento penale – per ragioni d’ufficio – assolti con la formula “perché il fatto non sussiste” (ex art. 530 c.p.p.), qualora l’Amministrazione si sia costituita “parte civile”.
I riferimenti normativi:
- l’art 530 «Sentenza di assoluzione» c.p.p. dispone «se il fatto non sussiste, se l’imputato non lo ha commesso, se il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato ovvero se il reato è stato commesso da persona non imputabile o non punibile per un’altra ragione, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione indicandone la causa nel dispositivo», dove – nella prima formula – il giudicato di assoluzione contiene un effettivo e specifico accertamento circa l’insussistenza del fatto addebitabile, espressione dell’irrilevanza di alcun addebito, mancando la fattispecie criminosa e l’imputabilità (espressione dell’assoluzione con formula piena);
- 74 «Legittimazione all’azione civile» c.p.p. dispone che «l’azione civile per le restituzioni e per il risarcimento del danno di cui all’articolo 185 del codice penale può essere esercitata nel processo penale dal soggetto al quale il reato ha recato danno ovvero dai suoi successori universali, nei confronti dell’imputato e del responsabile civile», con lo scopo di coltivare gli interessi della Comunità a tutela del bene giuridico protetto dalla norma e leso dalla condotta posta in essere dal dipendente.
La questione nella sua essenzialità è collegata alla presenza o meno di un conflitto di interessi che impedisce il rimborso delle spese legali, ai medesimi ai sensi dell’art. 28 CCNL 14 settembre 2000 s.m.i., quando la P.A. si è costituita parte civile nel procedimento penale, conclusosi con l’assoluzione dei dipendenti coinvolti, dovendo l’Amministrazione valutare con riferimento all’an ed al quantum[1].
In termini generali, la spettanza del beneficio del rimborso delle spese legali sostenute dal pubblico dipendente, è subordinato alle seguenti circostanze:
- l’esistenza di un giudizio, promosso nei confronti del (e non anche dal) dipendente, conclusosi con un provvedimento che abbia definitivamente escluso la sua responsabilità (anche nell’ipotesi del secondo comma dell’art. 530 c.p.p., escludendo nei casi di proscioglimento sia conseguenza di cause diverse, quali l’estinzione del reato, l’intervenuta prescrizione, oppure quando sia stato disposto per ragioni processuali, quali la mancanza delle condizioni di promovibilità o di procedibilità dell’azione)[2];
- la sussistenza di un nesso tra gli atti e i fatti ascritti al dipendente e l’espletamento del servizio e l’assolvimento degli obblighi istituzionali, solo in tal caso, infatti, è possibile ravvisare il nesso di immedesimazione organica in ordine ai fatti o agli atti oggetto del giudizio[3];
- al riguardo, di questo ultimo aspetto, è stato ulteriormente precisato che tale presupposto sussiste solo ove gli atti o i fatti compiuti dall’interessato siano riconducibili, in un rapporto di stretta dipendenza, con l’adempimento dei propri obblighi, ossia con l’esercizio diligente della funzione pubblica; occorrendo, altresì, che sia ravvisabile l’esistenza di un nesso di strumentalità tra il compimento dell’atto o del fatto e l’adempimento del dovere, non potendo il dipendente assolvere ai propri compiti, se non tenendo quella determinata condotta[4];
- lo specifico interesse che deve necessariamente sussistere affinché l’Amministrazione possa essere chiamata a tenere indenne dalle spese legali il proprio dipendente, imputato in un procedimento penale, consiste nella circostanza che l’attività sia riferibile all’Ente di appartenenza, ponendosi in un rapporto di stretta connessione con il fine pubblico[5];
- l’assenza di un conflitto con gli interessi dell’Amministrazione di appartenenza, cioè quando, pur in assenza di responsabilità penale, sussistano i presupposti per la configurazione di un illecito disciplinare e l’attivazione del relativo procedimento[6], costituendo violazione dei doveri d’ufficio[7].
Pare utile rammentare che nei rapporti tra giudizio penale e giudizio amministrativo la regola generale è costituita dall’autonomia e della separazione[8], mentre sotto il profilo:
- soggettivo, il giudicato è vincolante solo nei confronti dell’imputato, della parte civile e del responsabile civile che si sia costituito o che sia intervenuto nel processo penale; non, quindi, nei confronti di altri soggetti che siano rimasti estranei al processo penale, pur essendo in qualche misura collegati alla vicenda penale[9];
- oggettivo, il vincolo copre solo l’accertamento dei “fatti materiali” e non anche la loro qualificazione o valutazione giuridica, che rimane circoscritta al processo penale e non può condizionare l’autonoma valutazione da parte del giudice amministrativo o civile[10].
La necessità che la disposizione del rimborso delle spese legali sia oggetto di stretta interpretazione è del resto ricavabile dalla ratio che il legislatore ha inteso imprimere all’istituto del rimborso delle spese legali: lo scopo della norma è quello di sollevare i funzionari pubblici dal timore di eventuali conseguenze giudiziarie connesse all’espletamento del servizio, nell’intento di impedire che il dipendente tema di fare il proprio dovere[11], rilevando che il fine avuto di mira dal normatore consiste, quindi, nel tenere indenni i soggetti che abbiano agito in nome, per conto e nell’interesse dell’Amministrazione dalle spese legali sostenute per difendersi dalle accuse di responsabilità, poi rivelatesi infondate.
Va detto anche che l’obbligo delle Amministrazioni Pubbliche di farsi carico delle spese necessarie per assicurare la difesa legale al dipendente, pur se espressione della regola civilistica generale di cui all’art. 1720 c.c., comma 2, non è incondizionato e non sorge per il solo fatto che il procedimento di responsabilità civile o penale riguardi attività poste in essere nell’adempimento di compiti di ufficio, dovendo verificare le condizioni sopra poste, tra le quali l’assenza del conflitto di interessi: non vi è un automatismo.
In ragione poi della specificità e della diversità delle normative (quelle per i dipendenti statali e quelle per i dipendenti degli Enti locali) si deve escludere che nel settore del lavoro pubblico costituisca principio generale il diritto incondizionato ed assoluto al rimborso delle spese legali: non è, infatti, sufficiente che il dipendente sia stato sottoposto a procedimento per fatti commessi nell’esercizio delle sue funzioni e sia stata accertata l’assenza di responsabilità, dovendo essere – di volta in volta – verificata anche la ricorrenza delle ulteriori condizioni alle quali è stato subordinato dal legislatore o dalle parti collettive il diritto all’assistenza legale o al rimborso delle spese sostenute[12].
Inoltre, l’entità del rimborso deve essere determinata nei limiti dello strettamente necessario, trattandosi di erogazioni gravanti sulla finanza pubblica: non si deve cioè procedere ad un’applicazione pedissequa delle tariffe forensi che sia ancorata ai minimi tariffari, né mirare a tenere indenne da ogni costo l’interessato, ma, nel valutare le necessità difensive del funzionario in relazione alle accuse mosse ed ai rischi del processo penale, nonché la conformità della parcella del difensore alla tariffa professionale o ai parametri vigenti, deve considerare ogni elemento nel rispetto dei principi di affidamento, ragionevolezza e tutela effettiva dei diritti riconosciuti dalla Costituzione[13].
Sulla questione innanzi posta, la Corte giunge immediatamente alla conclusione riferendo che la costituzione di parte civile dell’Amministrazione è rappresentativa ex se del conflitto di interessi[14].
Stesse conclusioni si possono ricavare, dalle considerazioni che precedono, quando l’Amministrazione per i medesimi fatti abbia avviato un procedimento disciplinare nei confronti del proprio dipendente procedendo all’irrogazione di una sanzione, nonostante l’intervenuta assoluzione in sede penale.
Orbene, va osservato anche che la circostanza dell’assoluzione, così come la mancata instaurazione di un procedimento disciplinare non ha alcuna rilevanza in presenza di un conflitto d’interesse atteso che rileva ex se, indipendentemente dall’esito del giudizio penale[15].
Ne consegue che per ravvisare un conflitto con gli interessi dell’Amministrazione ed escludere la spettanza del beneficio è sufficiente che sussistano i presupposti per la configurazione dell’illecito disciplinare e per l’attivazione del relativo procedimento[16], compresa la costituzione di parte civile[17].
Dunque, non può essere riconosciuto il diritto del dipendente al rimborso delle spese legali sostenute, allorquando, per fatti non riferibili alla tutela dei diritti e degli interessi dell’Amministrazione, quest’ultima si sia costituita parte civile nei confronti del dipendente (e abbia assunto una iniziativa disciplinare) indipendentemente da ogni valutazione attinente l’esito del procedimento penale e l’accertamento della responsabilità disciplinare del dipendente, essendo del tutto evidente, in tale ipotesi, il conflitto di interessi tra l’ente e il dipendente[18].
Pertanto, se l’accusa rientra tra quelle di aver commesso un reato che vede l’Ente locale come parte offesa (e, quindi, in oggettiva situazione di conflitto di interessi), il diritto al rimborso non sorge e non può sorgere nel momento in cui il dipendente venisse, in ipotesi assolto dall’accusa[19].
In tale prospettiva, il rimborso da parte della P.A. delle spese di difesa sostenute dal proprio dipendente sottoposto a processo non può essere riconosciuto allorquando questa, come nel caso in esame, si sia costituita parte civile nei confronti del dipendente, indipendentemente da ogni valutazione attinente l’esito del procedimento penale[20].
L’Amministrazione nel valutare le liceità del rimborso delle spese legali non può esimersi dal verificare l’assenza di conflitto di interessi, ribadisce la Corte.
La questione può risultare dirimente già nella prima fase della chiamata in giudizio, quando l’Amministrazione non assuma a proprio carico la difesa del dipendente e non alla conclusione dello stesso, ovvero quando intenda procedere con la costituzione di parte civile che va adeguatamente motivata e rientra tra le questioni preliminari del processo, ex commi 1 e 5 dell’art. 491 c.p.p.
Fatte queste premesse, la Corte dei conti, allinea al precedente della Sezione Autonomie con la delibera n. 3/2014, che ha dichiarato non inammissibile il quesito sulla rimborsabilità delle spese legali sostenute da un amministratore assolto in sede penale “perché il fatto non sussiste” in quanto riferito a questione estranea alla materia di contabilità pubblica, di cui all’art. 7, comma 8, della legge n. 131/2003.
Questione che è assimilabile anche se riferita ad un dipendente pubblico, per espressa previsione dell’art. 86, comma 5, secondo periodo, d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 («Il rimborso delle spese legali per gli amministratori locali è ammissibile… nel caso di conclusione del procedimento con sentenza di assoluzione o di emanazione di un provvedimento di archiviazione, in presenza dei seguenti requisiti: a) assenza di conflitto di interessi con l’ente amministrato; b) presenza di nesso causale tra funzioni esercitate e fatti giuridicamente rilevanti; c) assenza di dolo o colpa grave»)[21], siccome sostituito dall’art. 7 bis della legge 6 agosto 2015 n. 125, la cui ratio il Collegio ritiene assimilabile a quella dell’art. 28 CCNL 14 settembre 2000.
In definitiva i profili contabili, se non marginali, non sono comunque preminenti rispetto ad altre problematiche di ordine giuridico che più propriamente devono essere risolte in diversa sede.
Il parere, nella sua essenzialità, indica comunque i limiti della rimborsabilità negandoli in presenza della costituzione di parte civile dell’Amministrazione, espressione compiuta del conflitto di interessi: in materia di spese legali sostenute dal dipendente di un Ente pubblico territoriale per la propria difesa in un processo penale, il diritto al rimborso delle stesse presuppone che non vi sia un conflitto d’interessi, e quindi che la condotta addebitata non sia stata il frutto di iniziative autonome, contrarie ai doveri funzionali o in contrasto con la volontà del datore di lavoro, secondo una valutazione ex ante che prescinde dall’esito del giudizio penale e dalla formula di eventuale assoluzione, escludendo peraltro che l’Amministrazione possa condividere un legale comune o di gradimento con il dipendente.
[1] Cons. Stato, sez. IV, 28 novembre 2019, n. 8137.
[2] Cons. Stato, sez. IV, 28 novembre 2019, n. 8128. In presenza di una assoluzione perché il fatto non sussiste, anche se la sentenza fa riferimento all’insufficienza delle prove, ai sensi del comma 2 dell’art. 530 c.p.p., allo stesso pubblico dipendente vanno riconosciute le spese affrontate per il giudizio penale, giacché anche se l’assoluzione viene argomentata sull’insufficienza delle prove, ciò non può essere inteso come non esclusa la responsabilità dell’imputato, in quanto ciò determinerebbe una surrettizia reintroduzione in via amministrativa dell’assoluzione “dubitativa” già rimossa dal nostro ordinamento, in contrasto con il principio di presunzione di non colpevolezza sancito dall’articolo 27, secondo comma, della Costituzione e con le previsioni dei Trattati internazionali cui l’Italia aderisce, Cons. Stato, sez. III, 25 marzo 2019, n. 1975.
[3] Cons. Stato, sez. IV, 28 novembre 2019, n. 8137.
[4] . Cons. Stato, sez. IV, 26 febbraio 2013, n. 1190.
[5] Cass., 29 gennaio 2019, n. 2475 e 6 agosto 2018, n. 20561; Cass. lav., 6 luglio 2018, n. 17874; Cass., 5 febbraio 2016, n. 2366; Cass. lav., 3 febbraio 2014, n. 2297.
[6] Cons. Stato, sez. IV, 13 gennaio 2020, n. 280.
[7] Cons. Stato, sez. IV, 7 giugno 2018, n. 3427.
[8] Cons. Stato, sez. II, 24 ottobre 2019, n. 7245.
[9] Cons. Stato, sez. VI, 2 dicembre 2016, n. 5069; 31 gennaio 2017, n. 407.
[10] Cons. Stato, sez. VI, 11 gennaio 2018, n. 145; 16 luglio 2015, n. 3556.
[11] Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 28 novembre 2019, n. 8137.
[12] Cass. civ., sez. lav., 31 ottobre 2017, n. 25976.
[13] Cons. Stato, sez. IV, 7 ottobre 2019, n. 6736.
[14] Cass. civ., sez. I, Ord. 31 gennaio 2019, n. 3026; Cass. civ., 10 marzo 2011, n. 5718; Cons. Giust. Amm. Sicilia, 15 febbraio 2019, n. 127.
[15] Cass. civ., sez. lav., 3 febbraio 2014, n. 2297.
[16] Cons. Stato, sez. IV, 13 gennaio 2020, n. 281.
[17] Cass. civ, 17 settembre 2002, n. 13624.
[18] Cass. civ., sez. lav., 10 marzo 2011, n. 5718.
[19] Cass. civ., sez. unite, 4 giugno 2007, n. 13048; Cass., 11 luglio 2018, n. 18256.
[20] Cass. civ., sez. I, ordinanza 31 gennaio 2019, n. 3026.
[21] Cfr. Corte Conti, sez. contr. Calabria, deliberazione 23 marzo 2017, n. 35.