Il T.A.R. Lazio, Roma, sez. II quater, con la sentenza n. 4554 del 2 maggio 2020 definisce la giurisdizione del G.O. relativamente ad una controversia riferita allo sgombero di un alloggio di edilizia residenziale pubblica occupato abusivamente.
Il pronunciamento conferma (di converso) l’assenza di un potere autoritativo (tutela esecutoria) in presenza di occupazioni da terzi sine titulo quando la P.A. agisce su un bene appartenente al patrimonio disponibile, dovendo ricorrere alle azioni di natura civilistica[1]: non è possibile ricorrere al potere di autotutela demaniale, ai sensi dell’art. 378 della Legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato F).
Si deve affermare che a fronte di un provvedimento di sgombero emesso dall’Autorità amministrativa non siamo di fronte ad un provvedimento di autotutela demaniale, collegato al regime dominicale del bene pubblico concesso mediante un apposito provvedimento concessorio (di assegnazione), ma ad una comune azione che deve trovare tutela nella giurisdizione ordinaria.
Va aggiunto che quando il bene pubblico appartenga al patrimonio disponibile i mezzi di tutela apprestati al privato (l’occupante abusivo) trovano competenza nei mezzi ordinari di tutela previsti dal codice civile, vertendo sul diritto di poter esercitare l’azione esecutoria:
- il potere di autotutela esecutiva, ex 823, comma 2, c.c., presupponendone il previo accertamento della natura di bene patrimoniale indisponibile del compendio immobiliare oggetto di tutela recuperatoria pubblicistica;
- diversamente, quando il bene pubblico viene ricompreso nel patrimonio disponibile dell’Ente non è affatto recuperabile autoritativamente sebbene mediante l’esercizio della tutela privatistica, a mezzo delle azioni possessorie o della rei vindicatio
Pare giusto osservare che i beni patrimoniali indisponibili, come quelli demaniali, assolvendo la comune destinazione alla soddisfazione di interessi pubblici, possono essere attribuiti in godimento a privati soltanto nella forma della concessione amministrativa, la quale, anche quando si configuri come concessione-contratto, implica sempre l’attribuzione dal privato di un diritto condizionato, che può essere unilateralmente soppresso dall’Amministrazione stessa con la revoca dell’atto di concessione, in caso di contrasto con il prevalente interesse pubblico, con la conseguenza che, emesso il relativo provvedimento amministrativo, con l’intimazione della restituzione del bene, la posizione del privato stesso degrada ad interesse legittimo ed è suscettibile di tutela davanti al giudice amministrativo e non in sede di giurisdizione ordinaria[2]; diversamente, quando il bene viene occupato senza alcun atto amministrativo – senza titolo – la giurisdizione verte sulla consistenza del diritto devolvendo la controversia al giudice ordinario, con le precisazioni che seguono.
Si può sostenere da questo primo quadro prospettico che, in tema di riparto di giurisdizione nelle controversie concernenti gli alloggi di edilizia economica, sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo quando si controverta dell’annullamento dell’assegnazione per vizi incidenti sulla fase del procedimento amministrativo di assegnazione del bene, fase che è strumentale all’assegnazione medesima ed è caratterizzata dall’assenza di diritti soggettivi in capo all’aspirante al provvedimento (il legittimo assegnatario), mentre sussiste la giurisdizione del giudice ordinario per tutte le controversie attinenti alla fase successiva al provvedimento di assegnazione, ovvero in assenza di una qualche assegnazione (come nel caso di occupazione sine titulo), nella quale la P.A. non esercita alcun potere autoritativo, ma agisce quale parte di un rapporto paritario (privatistico), ed in tale ambito va ricondotta la controversia quando manca l’esercizio del potere discrezionale della P.A.[3].
Ne deriva che quando il privato si opponga ad un provvedimento dell’Amministrazione di rilascio di immobili ad uso abitativo che occupa senza titolo la giurisdizione rientra in quella del giudice ordinario, essendo contestato il diritto di agire esecutivamente e configurandosi l’ordine di rilascio come un atto imposto dalla legge e non come esercizio di un potere discrezionale dell’Amministrazione, la cui concreta applicazione richieda, di volta in volta, una valutazione del pubblico interesse; tale principio va affermato anche qualora sia dedotta l’illegittimità di provvedimenti amministrativi (diffida a rilasciare l’alloggio e successivo ordine di sgombero), dei quali è eventualmente possibile la disapplicazione da parte del giudice, chiamato a statuire sull’esistenza delle condizioni richieste dalla legge per dare corso forzato al rilascio del bene[4].
In questi termini va ricondotta la sentenza n. 4554 del 2 maggio 2020 della sez. II quater Roma del T.A.R. Lazio, al cui ricorso si verte contro una determinazione dirigenziale che disponeva (intimava) l’accesso e lo sgombero di un alloggio di proprietà comunale[5], nonchè revocava la regolarizzazione dell’occupazione sine titulo disposta con precedente determinazione (datata nel tempo).
Il Tribunale dichiara il ricorso, in parte, irricevibile ed in parte inammissibile:
- irricevibile per tardività dell’azione di annullamento avente ad oggetto la determina di revoca del provvedimento di regolarizzazione, per effetto della quale il ricorrente ha acquisito lo status di occupante senza titolo, divenendo così destinataria del successivo ordine di sgombero;
- la mancata regolarizzazione, presupposto per l’atto di sgombero, doveva essere immediatamente impugnata entro l’ordinario termine decadenziale, di cui all’art. 41 c.p.a., trattandosi di un atto immediatamente lesivo della sua sfera giuridica[6];
- l’inammissibilità (rectius di competenza del giudice ordinario) è riferita alla natura dell’atto stesso con riferimento alla proprietà pubblica dell’alloggio e alla natura dell’azione, oltre ai pretesi “vizi propri” che affliggerebbero la determina di sgombero, non soltanto in termini di invalidità della sottoscrizione, deficit istruttorio e motivazionale.
In effetti, la questione verte proprio sul rapporto dell’azione intercorrente con il bene da parte della P.A., essendo lo stesso rientrante non tra il patrimonio demaniale: questa situazione determina il riparto della giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo.
Occorre, quindi, avere riguardo:
- non già ai vizi dei vari atti amministrativi adottati dall’Amministrazione, bensì in relazione al carattere paritario, ovvero autoritativo del rapporto intercorrente tra privato e P.A. che è di diritto soggettivo allorché a quest’ultima non è attribuito dalla legge alcun potere autoritativo nè alcuna discrezionalità proprio per la natura del bene[7];
- al c.d. petitum sostanziale, che va identificato soprattutto in funzione della “causa petendi”, ossia dell’intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio a fronte dell’esercizio del potere amministrativo, individuata all’esito del compiuto esame dei fatti, così come allegati dall’istante ed indipendentemente dalla concreta pronuncia che si chiede al giudice[8].
Ciò posto, l’intervenuto consolidamento, in capo al ricorrente, della posizione di occupante sine titulo – derivante dall’intempestiva impugnazione della revoca – il thema decidendum sotteso all’azione di annullamento della successiva determina coincide con lo scrutinio circa la legittimità o meno della richiesta di restituzione di un bene da altri detenuto sine titulo, non implicante l’esercizio di poteri autoritativi da parte della P.A.[9].
Dunque, le vertenze aventi ad oggetto il rilascio di alloggi di ERP occupati senza titolo rientrano nella giurisdizione ordinaria[10], in quanto non afferiscono alla disciplina della concessione di beni pubblici ed implicano la decisione su contrapposte posizioni di diritto soggettivo: il diritto dell’ente proprietario di utilizzare il bene in conformità al proprio potere dominicale e quello eventualmente vantato sul medesimo bene dall’occupante[11].
In definitiva, la posizione dell’occupante chi si opponga al rilascio sostenendo, per qualsiasi motivo, l’illegittimità del titolo esecutivo in base al quale l’Amministrazione pretende di conseguire la disponibilità dell’alloggio sembra perciò assumere la consistenza di diritto soggettivo: il diritto di resistere ad una attività esecutiva illegittimamente posta in essere da altri nei suoi confronti, non diverso da quello da cui è connotata la situazione di chiunque proponga opposizione ad un titolo esecutivo (o agli atti esecutivi in base ad esso compiuti), manca cioè quel legame afferente al titolo concessorio di occupazione.
Né a ciò pare potersi fondatamente contrapporre la circostanza che, in questo caso, il titolo esecutivo è apprestato unilateralmente dalla Pubblica Amministrazione (quasi ad assimilarlo ad una tutela esecutoria), volta che quel che viene contestato è pur sempre il diritto di agire esecutivamente, nella specifica situazione, in un contesto nel quale gli eventuali vizi di legittimità dell’atto rilevano solo al fine di pretenderne la disapplicazione da parte del giudice chiamato a statuire sull’esistenza delle condizioni richieste dalla legge per dare corso forzato al rilascio del bene[12].
[1] Cons. Stato, sez. VI, 29 agosto 2019, n. 5934.
[2] Cass. civ., sez. unite, 23 giugno 1993, n. 6950.
[3] Cfr. Cass. civ., sez. unite, ordinanza 20 aprile 2018, n. 9918.
[4] Cass. civ., sez. unite, ordinanza 25 settembre 2017, n. 22254.
[5] L’attività di sgombero di proprietà comunale non ha il minimo contenuto “politico” trattandosi di attività di mera gestione, la competenza è propria del dirigente, T.A.R. Abruzzo, sez. I, 14 agosto 2019, n. 434.
[6] Cons. Stato, sez. III, 23 dicembre 2019, n. 8701.
[7] Cfr. Cass. civ., sez. unite, 9 settembre 2013, n. 20596; 6 giugno 1997, n. 5089; 11 aprile 1995, n. 4146; Cons. Stato, sez. VI, 8 luglio 2011, n. 4110; Cass. civ., sez. unite, sentenze nn. 10817/2009; 6343/2007; 13691/2006.
[8] Cfr. Cass. civ., sez, unite,7 settembre 2018, n. 21928; 31 luglio 2018, n. 20350; 2 marzo 2018, n. 4997; Cons. Stato, sez. VI, 19 marzo 2018, n. 1710.
[9] T.A.R. Lazio, Roma, sez. II quater, 18 febbraio 2020, n. 2143; Cass. civ., sez. unite, 24 maggio 2019, n. 14267; T.A.R. Campania, Salerno, sez. I, 9 dicembre 2019, n. 2174; T.A.R. Campania, Napoli, sez. V, 3 dicembre 2018, n. 6943; T.A.R. Lazio, Roma, sez. III quater, 23 marzo 2016, n. 3592; 24 febbraio 2016, n. 2560; 29 novembre 2013, n. 10232; 31 ottobre 2013, n. 9333; 24 aprile 2018 n. 4480; sez. II, 31 ottobre 2018, n. 10537.
[10] cfr. Cass. civ., sez. unite, n. 3389 del 2002 e n. 24764 del 2009.
[11] Cass. civ., sez. unite, 7 luglio 2011, n. 14956.
[12] Cass. civ., sez. unite, 13 ottobre 2017, n. 24148; Cons. Stato, sez. V, 13 aprile 2017, n. 1765; C.G.A., Adunanza delle sezioni riunite del 14 marzo 2017, parere n. 578/2017; Adunanza delle sezioni riunite del 14 gennaio 2014, parere n. 84/2014; T.A.R. Sicilia, sez. I, 10 aprile 2018, n. 847; 6 aprile 2018, n. 784.