La sez. V del Consiglio di Stato, con la sentenza 29 aprile 2020, n. 2731, interviene per definire l’ambito di applicazione dei marchi di qualità e la loro valutazione.
La questione, al di là dell’oggetto del giudizio, risulta significativa poiché entra nel merito dell’inquadramento della clausola di equivalenza, di cui all’art. 69, «Etichettature», comma 2, del d.lgs. n. 50 del 2016: «Se le amministrazioni aggiudicatrici non richiedono che i lavori, le forniture o i servizi soddisfino tutti i requisiti per l’etichettatura, indicano a quali requisiti per l’etichettatura fanno riferimento. Le amministrazioni aggiudicatrici che esigono un’etichettatura specifica accettano tutte le etichettature che confermano che i lavori, le forniture o i servizi soddisfano i requisiti equivalenti».
Giova rammentare che il principio di equivalenza permea l’intera disciplina dell’evidenza pubblica, rispondendo al principio del favor partecipationis (ampliamento della platea dei concorrenti) ai fini della massima concorrenzialità nel settore dei pubblici contratti e della conseguente individuazione della migliore offerta, secondo i principi di libera iniziativa economica e di imparzialità e buon andamento dell’Amministrazione nel perseguimento delle proprie funzioni d’interesse pubblico e nell’impiego delle risorse finanziarie pubbliche, sanciti dagli articoli 41 e 97 della Costituzione[1].
In effetti, il legislatore – allorchè le offerte tecniche devono recare per la loro idoneità elementi corrispondenti a specifiche tecniche – ha inteso introdurre, ai fini della valutazione del prodotto offerto dal soggetto concorrente, il criterio dell’equivalenza, nel senso cioè che non vi deve essere una conformità formale, ma sostanziale con le specifiche tecniche nella misura in cui esse vengono in pratica comunque soddisfatte, proprio ai fini della completa attuazione del principio comunitario della massima concorrenza, finalizzata a che la ponderata e fruttuosa scelta del miglior contraente non debba comportare ostacoli non giustificati da reali esigenze tecniche[2].
Il precetto di equivalenza delle specifiche tecniche è un presidio del canone comunitario dell’effettiva concorrenza (come tale vincolante per l’Amministrazione e per il giudice) ed impone che i concorrenti possano sempre dimostrare che la loro proposta ottemperi in maniera equivalente allo standard prestazionale richiesto: il principio di equivalenza presuppone la corrispondenza delle prestazioni del prodotto offerto, ancorché difforme dalle specifiche tecniche indicate dalla stazione appaltante[3].
Vi è sempre la possibilità per l’Amministrazione di ammettere prodotti equivalenti[4], rilevando che tale scelta, della stazione appaltante di ammettere prodotti equivalenti, costituisce espressione del legittimo esercizio della sua discrezionalità tecnica, in quanto tale sindacabile solo se manifestamente irragionevole[5]; di converso, nell’offerta tecnica il concorrente deve fornire prova, in modo ritenuto soddisfacente dalle stazioni appaltanti, con qualsiasi mezzo considerato appropriato, che le soluzioni da lui proposte ottemperino in maniera equivalente ai requisiti definiti dalle specifiche tecniche[6].
A ben vedere, il principio di equivalenza ha lo scopo di evitare che, attraverso la previsione di specifiche tecniche eccessivamente dettagliate – in alcuni casi addirittura “nominative”, con indicazione ad esempio di un singolo brevetto, marchio o provenienza – risulti irragionevolmente limitato il confronto competitivo fra gli operatori economici, e in particolare vengano precluse offerte aventi oggetto sostanzialmente corrispondente a quello richiesto e tuttavia formalmente privo della specifica prescritta[7].
In ragione di ciò, proprio alla luce della ratio sottesa al principio di equivalenza, presupposto essenziale perché detto principio possa essere richiamato e trovare applicazione è che, sul piano qualitativo, si sia in presenza di una specifica in senso propriamente tecnico, e cioè di uno standard – espresso in termini di certificazione, omologazione, attestazione, o in altro modo – capace di individuare e sintetizzare alcune caratteristiche proprie del bene o del servizio, caratteristiche che possono, tuttavia, essere possedute anche da altro bene o servizio pur formalmente privo della specifica indicata[8].
Nel caso del ricorso si premiava l’offerta di prodotti con marchio Ecolabel – UE ed equivalenti, ossia quei concorrenti in grado di eseguire le lavorazioni oggetto dell’appalto con prodotti eco – compatibili, con l’attribuzione del relativo punteggio (oggetto di contestazione).
Il giudice di seconde cure, si sofferma sul significato da dare alla clausola del bando che prescriveva un apposito marchio di qualità ecologica («il possesso di un marchio di qualità ecologia dell’Unione europea»).
La clausola, da una interpretazione letterale[9], intendeva esprimere una tipologia di etichettatura piuttosto che uno specifico marchio, nel senso che «l’etichetta Ecolabel – UE sia stata citata in parentesi a soli fini esemplificativi dei marchi attestanti la compatibilità del prodotto con l’ambiente apprezzati dalla commissione».
In termini diversi, le indicazioni del bando non si riferivano ad un marchio preciso quanto ad una tipologia di marchio, con una evidente semplificazione ai fini di aumentare le possibilità di offrire un marchio con caratteristiche equipollenti, in piena adesione con l’interpretazione comunitariamente orientata all’esigenza di par condicio tra i concorrenti, condizione ed espressione rinvenibile dalla clausola di equivalenza prevista dall’art. 69, comma 2, seconda parte, del Codice dei contratti.
In questi termini, viene data coerenza e piena legittimità della condizione prevista nel bando direttamente derivante dalle direttive comunitarie, consentendo una diversa valutazione dei concorrenti che si servano di prodotti del tutto equivalenti quanto alla compatibilità ambientale.
Dunque, in presenza di un’offerta di un prodotto con il marchio di qualità ecologica dell’Unione europea, pur non avendo rintracciato in commercio «prodotti certificati Ecolabel equivalenti per caratteristiche a quanto richiesto dal Bando stesso» la stazione appaltante, ergo la commissione di gara, ben può attribuire il relativo punteggio quando il prodotto presenta le medesime caratteristiche e prestazioni qualitative sotto il profilo ambientale ed energetico.
La sentenza, al di là del suo contenuto di risoluzione specifica al caso affrontato, assume una valenza generale in quanto riafferma il principio di equivalenza, dando la possibilità di ammettere, a seguito di valutazione della stazione appaltante, prodotti aventi specifiche tecniche equivalenti a quelle richieste nella lex specialis in adesione con il principio del favor partecipationis, espressione del legittimo esercizio della discrezionalità tecnica da parte dell’Amministrazione, trovando applicazione indipendentemente da espressi richiami negli atti di gara o da parte dei concorrenti, in tutte le fasi della procedura di evidenza pubblica: l’effetto utile consente di neutralizzare la difformità facendo valere l’equivalenza funzionale del prodotto offerto a quello richiesto[10].
[1] Cons. Stato, sez. III, 14 maggio 2020, n. 3081.
[2] Cons. Stato, sez. III, 31 ottobre 2019, n. 7450.
[3] Cons. Stato, sez. III, 22 novembre 2017, n. 5426.
[4] Cons. Stato, sez. IV, 26 agosto 2016, n. 3701; sez. III, 3 dicembre 2015, n. 5494.
[5] Cons. Stato, sez. III, 2 settembre 2013, n. 4364.
[6] T.A.R. Puglia, Bari, sez. I, 25 marzo 2020, n. 450.
[7] T.A.R. Lazio, Roma, sez. III quater, 20 marzo 2020, n. 3496.
[8] Cons. Stato, sez. V, 25 luglio 2019, n. 5258.
[9] Per la preferenza di un’interpretazione strettamente letterale del bando di gara, cfr. Cons. Stato, sez. III, 9 marzo 2020, n. 1711; sez. VI, 3 marzo 2020, n. 1537; sez. V, 2 dicembre 2019, n. 8237. È noto che l’interpretazione della lex specialis soggiace, come per tutti gli atti amministrativi, alle stesse regole stabilite per i contratti dagli artt. 1362 e ss., c.c., tra le quali assume carattere preminente quella collegata all’interpretazione letterale, Cons. Stato, sez. III, 18 settembre 2019 n. 6212.
[10] T.A.R. Emilia Romagna, Parma, sez. I, 17 gennaio 2020, n. 9.