La sez. V Napoli del T.A.R. Campania, con la sentenza 1° giugno 2020, n. 2087, conferma l’obbligo motivazionale, e prima istruttorio, al fine di procedere legittimamente con il potere di ordinanza, non potendo imporre obblighi di facere senza un adeguato riscontro della pericolosità acclamata e del connesso potere extra ordinem di disporre limiti puntuali agli interessati (i destinatari dell’ordinanza) in ragione del primario interesse all’incolumità pubblica.
È noto che in presenza di una situazione di pericolo il sindaco può esercitare il potere di ordinanza – contingibile e urgente – per apprestare una risposta pronta e immediata, non trovando altri rimedi o strumenti posti dall’ordinamento per assolvere un compito di tutela della popolazione (ex art. 50 e 54 del d.lgs. n. 267/2000): le ordinanze a tutela della salute pubblica, ad es., devono individuare gli elementi in grado di rappresentare un’effettiva situazione offensiva di grave pericolo[1].
Più in generale, il ricorso al potere di ordinanza esige la necessità di fronteggiare una situazione di pericolo imminente ed imprevisto, non contenibile con i rimedi tipici predisposti dall’ordinamento[2].
Un tanto per affermare che il potere di ordinanza contingibile e urgente presuppone necessariamente situazioni non tipizzate dalla legge di pericolo effettivo, la cui sussistenza deve essere suffragata da una istruttoria adeguata e da una congrua motivazione, e in ragione delle quali si giustifica la deviazione dal principio di tipicità degli atti amministrativi e la possibilità di derogare alla disciplina vigente, stante la configurazione residuale, quasi di chiusura, di tale tipologia provvedimentale[3]:
- la situazione di contingibilità deve essere intesa come impossibilità di fronteggiare l’emergenza con i rimedi ordinari, in ragione dell’accidentalità, imprescindibilità ed eccezionalità della situazione verificatasi;
- l’urgenza come l’assoluta necessità di porre in essere un intervento non rinviabile;
- il potere sindacale deve essere puntualmente sostenuto da un apparato istruttorio idoneo a dimostrare il duplice profilo dell’evento e del pericolo, le cui peculiarità concrete tali da giustificare l’adozione di misure straordinarie[4], specie quando l’intento intende risolvere una posizione che esige accurati ed efficaci controlli da parte delle altre Autorità preposte.
Dopo queste premesse ed entrare nel merito del pronunciamento, il ricorso è stato proposto avverso un’ordinanza sindacale con la quale si imponeva ad un proprietario di togliere dal tetto, di alcuni capannoni con destinazione produttiva, la copertura realizzata in “eternit” (materiale contenente amianto): il provvedimento, tuttavia, non riportava alcun riscontro sui dati analitici riferiti alla aerodispersione delle fibre di amianto, in quanto mancava un apposito accertamento (dirimente).
In termini diversi, l’ordinanza sindacale rispondeva ad una misura concreta di rimozione della copertura in “eternit” per scongiurare (fatto) il pericolo di diffusione nell’aria delle fibre in amianto (causa), seppure tale previsione fosse priva di alcuna analisi sulla sua effettiva evenienza.
La mancanza di tale riscontro probatoria (non riportato nel testo dell’ordinanza) ha reso il ricorso fondato e accogliibile.
Invero, se l’art. 50, commi 4 e 5, del TUEL consente al sindaco di intervenire, è altrettanto indispensabile un riscontro istruttorio in ordine al pericolo di pregiudizio prospettato in ragione del mancato accertamento di immissioni di polveri d’amianto, suscettibili di arrecare nocumento alla pubblica incolumità:
- manca la prova, anche solo in termini meramente probabilistici;
- manca un pur minimo accertamento del rischio di dispersione delle fibre di amianto nell’ambiente (rischio eziologicamente riconducibile ad un riscontrato stato di degrado della contestata copertura);
- manca la concreta possibilità di aggravamento della situazione anche a causa dell’azione di agenti atmosferici, tale da indurre a ritenere sussistenti i requisiti di imprevedibilità, eccezionalità, nonché di urgenza richiesti dalla legge nel preminente interesse di salvaguardia della salute pubblica[5].
Manca, quindi, la situazione abilitante del potere sindacale: la sussistenza di un pericolo concreto, che imponga di provvedere in via d’urgenza, con strumenti extra ordinem, per fronteggiare emergenze sanitarie o porre rimedio a situazioni di natura eccezionale ed imprevedibile di pericolo attuale e imminente per l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana, non fronteggiabili con gli strumenti ordinari apprestati dall’ordinamento[6].
In definitiva, la presenza di cemento-amianto, quale componente dei materiali costruttivi della copertura dei capannoni, non è sufficiente per dar corso ad un facere senza dare ragione alle possibili conseguenze della mancata rimozione, conseguenze che devono essere suffragate da verifiche e/o accertamenti onde comprovare l’esistenza di un rischio concreto di dispersione dell’amianto nell’aria.
Sotto il profilo redazionale (nelle premesse) non vi è traccia:
- di alcuna operazione di verifica prevista dal D.M. 6 settembre 1994, «Normative e metodologie tecniche di applicazione dell’art. 6, comma 3, e dell’art. 12, comma 2, della legge 27 marzo 1992, n. 257, relativa alla cessazione dell’impiego dell’amianto», contenente le normative e metodologie tecniche per la valutazione del rischio, il controllo, la manutenzione e la bonifica di materiali contenenti amianto presenti nelle strutture edilizie;
- degli effetti conseguibili dalla rimozione tali da dimostrare concretamente l’idoneità ad eliminare ovvero a prevenire il pericolo alla salute.
Dunque, il provvedimento è, pertanto, illegittimo, sotto anche gli ulteriori profili della vigilanza sui manufatti in amianto o contenenti amianto che va svolta di continuo, non potendosi mai escludere del tutto che nel corso del tempo i fenomeni atmosferici e naturali rendano pericolosi per la salute pubblica manufatti che fino a quel momento potevano definirsi sicuri, ai sensi della legge n. 257/1992, «Norme relative alla cessazione dell’impiego dell’amianto»[7].
Il quadro giurisprudenziale conferma un consolidato orientamento che postula, nell’esercizio del potere di ordinanza, la sussistenza di un riscontro effettivo del pericolo rinvenibile da un’attività istruttoria e motivazionale rafforzata e riprodotta nel testo provvedimentale, dal quale deve conseguire:
- un’enunciazione dei fatti (considerato che …);
- un accertamento del pericolo (accertato che …);
- un’indicazione delle misure congrue (appurato che attraverso …);
- la risoluzione degli eventi contingenti (ritenuto di …);
- la giustificazione dell’esercizio del potere in mancanza di strumenti giuridici diversi per rispondere al pericolo reale (diversamente, l’obbligo di utilizzare provvedimenti tipici e ordinari).
[1] T.A.R. Sicilia, Catania, sez. I, 21 febbraio 2019, n. 315.
[2] T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, 30 maggio 2019, n. 905.
[3] T.A.R. Veneto, sez. III, 15 luglio 2015, n. 801.
[4] L’Amministrazione deve verificare in concreto la paventata situazione di pericolo, T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. I, 7 settembre 2015, n. 1370.
[5] Non si è in presenza di una situazione imprevedibile, tale da richiedere con assoluta necessità di porre in essere un intervento non rinviabile, a tutela della pubblica incolumità, Cons. Stato, sez. V, 21 febbraio 2017, n. 774 e 26 luglio 2016, n. 3369.
[6] Cfr. T.A.R. Liguria, sez. I, 8 luglio 2019, n. 603; T.A.R. Friuli Venezia Giulia, sez. I, 5 novembre 2018, n. 339; T.A.R. Piemonte, sez. II, 26 luglio 2018, n. 903.
[7] Cons. Stato, sez. IV, 19 marzo 2020, n. 1961; T.A.R. Piemonte, sez. I, 6 marzo 2014, n. 480.