La sez. I Palermo del T.A.R. Sicilia, con la sentenza 8 giugno 2020 n. 1144, interviene per dichiarare l’illegittimità della revoca in autotutela una volta sottoscritto il contratto: non è giustificato l’esercizio dello ius poenitendi.
Va premesso, in linea generale, che la facoltà di revocare od annullare una gara va esercitata quando vi siano preminenti esigenze pubbliche che lo impongano, fatta salva l’eventuale responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c., dovendo rilevare che una volta avvenuta l’aggiudicazione e la sottoscrizione del contratto il vincolo negoziale è perfezionato.
Questa osservazione conduce a chiarire che, in materia di procedure ad evidenza pubblica e contratti della Pubblica Amministrazione, l’esercizio del potere discrezionale dell’Amministrazione di non procedere affatto all’aggiudicazione della gara o al suo annullamento, disponendo la revoca deve trovare fondamento in specifiche ragioni di pubblico interesse che devono essere chiaramente indicate e non risultare manifestamente irragionevoli[1], esigendo una motivazione adeguata e convincente circa i contenuti e l’esito della necessaria valutazione dei contrapposti interessi, a tutela del legittimo affidamento ingenerato nell’impresa che ha partecipato alla gara, rispettandone le regole e organizzandosi in modo da vincerla, nonchè la insorgenza del vincolo che preclude un esercizio del potere svincolato dai parametri di natura autoritativa, ma fondato su posizioni di parità tra le parti.
Una volta sottoscritto il contratto, in termini diversi, l’esercizio del potere di autotutela risulta esaurito nella fase antecedente alla sottoscrizione, passando da posizione di interesse legittimo a posizioni di diritto soggettivo: la legge 21 luglio 2000, n. 205, artt. 6 e 7, e il cod. proc. amm., art. 133, hanno attribuito esclusivamente al giudice amministrativo il contenzioso sulla procedura di affidamento dell’appalto, restando devolute al giudice civile le vertenze afferenti al contratto e alla sua esecuzione, dato che esse ineriscono a diritti e obblighi scaturenti dal contratto stesso[2].
Detta introduzione consente di lumeggiare un’esegesi e un’applicazione della revoca coerente con i principi della tutela della buona fede, della lealtà nei rapporti tra privati e P.A. e del buon andamento dell’azione amministrativa (che ne implica, a sua volta, l’imparzialità e la proporzionalità) impongono la lettura e l’attuazione della misura di secondo grado secondo stringenti canoni, quali:
- la revisione dell’assetto di interessi recato dall’atto originario dev’essere preceduta da un confronto procedimentale con il destinatario dell’atto da revocare;
- non è sufficiente un ripensamento tardivo e generico circa la convenienza dell’emanazione dell’atto originario;
- le ragioni addotte a sostegno della revoca devono rivelare la consistenza e l’intensità dell’interesse pubblico che si intende perseguire;
- la motivazione dev’essere profonda e convincente, nell’esplicitare i contenuti della nuova valutazione dell’interesse pubblico e la sua prevalenza su quello del privato che aveva ricevuto vantaggi dal provvedimento originario a lui favorevole[3].
Per altri versi, l’annullamento in via di autotutela di atti qualificati come prodromici alla stipula di un contratto postula l’affermazione della giurisdizione amministrativa se, e soltanto se, si sia in presenza di atti realmente prodromici rispetto alla successiva contrattazione con il privato, e non anche quando esso non abbia la funzione di sindacare un atto di imperio appartenente alla sequenza procedimentale di carattere discrezionale, bensì quella di sottrarsi ex post ad un impegno contrattuale[4].
La declinazione dei presupposti, contenuti e finalità dell’istituto della revoca nell’ambito delle procedure di aggiudicazione degli appalti comporta che:
- l’aggiudicazione è pacificamente revocabile prima del perfezionamento del contratto[5];
- il ritiro di un’aggiudicazione legittima esige la sopravvenienza di ragioni di interesse pubblico (o una rinnovata valutazione di quelle originarie) particolarmente consistenti e preminenti sulle esigenze di tutela del legittimo affidamento ingenerato nell’impresa che ha diligentemente partecipato alla gara, rispettandone le regole e organizzandosi in modo da vincerla, e richiede, quindi, una motivazione particolarmente convincente circa i contenuti e l’esito della necessaria valutazione comparativa dei predetti interessi[6];
- la revoca resta impraticabile dopo la stipula del contratto d’appalto, dovendo utilizzarsi, in quella fase, il diverso strumento del recesso[7].
Con riguardo al recesso, in tema di giurisdizione per le controversie in materia di appalti pubblici, ove l’Amministrazione “receda” dal rapporto negoziale anticipatamente costituito, in presenza di fatti di inadempimento ad attitudine risolutiva od anche in forza della facoltà di unilaterale sottrazione al vincolo, ex artt. 109 del d.lgs. n. 50/2016 e 21 sexies della n. 241/1990, la giurisdizione spetta al giudice del rapporto, cioè al giudice ordinario[8].
Fatte queste premesse ab externo, il Tribunale interviene sul provvedimento di revoca, ai sensi dell’art. 21 quinquies della legge n. 241/1990, dell’aggiudicazione di un accordo quadro per l’affidamento della fornitura in somministrazione di un farmaco, «attese le ritenute mutate le condizioni di mercato ed economiche, che hanno determinato una manifesta onerosità dell’accordo quadro in parola», e – allo stesso tempo – di indire una nuova procedura, ai sensi dell’art. 54, comma 4, lett. b) del d.lgs. 50/2016.
L’operatore economico ricorrente risultava aggiudicatario della procedura aperta.
Il Giudice di prime cure, si allinea all’orientamento espresso dal Consiglio di Stato, con la sentenza della Adunanza Plenaria n. 20 giugno 2014, n. 14[9], ove si precisava che «le pubbliche amministrazioni se, stipulato il contratto di appalto, rinvengano sopravvenute ragioni di inopportunità della prosecuzione del rapporto negoziale, non possono utilizzare lo strumento pubblicistico della revoca dell’aggiudicazione ma devono esercitare il diritto potestativo regolato dall’art. 134 del d.lgs. n. 163 del 2006» (rectius il recesso).
Tale principio trova riscontro normativo attuale nell’art. 109, «recesso», del d.lgs. 50/2016 dove si stabilisce che «… la stazione appaltante può recedere dal contratto in qualunque momento previo il pagamento dei lavori eseguiti o delle prestazioni relative ai servizi e alle forniture eseguiti nonché del valore dei materiali utili esistenti in cantiere nel caso di lavoro o in magazzino nel caso di servizi o forniture, oltre al decimo dell’importo delle opere, dei servizi o delle forniture non eseguite… L’esercizio del diritto di recesso è preceduto da una formale comunicazione all’appaltatore da darsi con un preavviso non inferiore a venti giorni, decorsi i quali la stazione appaltante prende in consegna i lavori, servizi o forniture ed effettua il collaudo definitivo e verifica la regolarità dei servizi e delle forniture».
Il precipitato dell’intera vicenda che intima la fondatezza del ricorso, con il conseguente annullamento dell’atto di revoca, postula che successivamente alla stipulazione del contratto, deve ritenersi insussistente il potere di revoca, poiché:
- presupposto di questo potere è la diversa valutazione dell’interesse pubblico a causa di sopravvenienze;
- il medesimo presupposto è alla base del recesso in quanto potere contrattuale basato su sopravvenuti motivi di opportunità;
- la specialità della previsione del recesso preclude, di conseguenza, l’esercizio della revoca.
In termini più espositivi, la situazione negoziale porta le parti del rapporto su piani equivalenti, dove l’esercizio del potere amministrativo sfugge dalle regole procedurali autoritative spostandosi sulla natura del rapporto sinallagmatico, dove è possibile ritrarsi dalle obbligazioni mediante le previsioni contrattuali che consentono il recesso sulla base delle condizioni previste direttamente nel contratto o definite espressamente dal Codice dei contratti pubblici.
Nell’esecuzione del contratto il diritto al recesso è previsto a fronte di determinate condizioni, attribuendo alla parte un potere potestativo proprio che non trova riscontri su un possibile esercizio del potere autoritativo mediante la revoca (a monte) dell’aggiudicazione, effetto utile precluso dal vincolo negoziale, diversamente privo di un qualche valore giuridico: «una norma che attribuisce il diritto di recesso, non si può ritenere che sul medesimo rapporto negoziale si possa incidere con la revoca, basata su presupposti comuni a quelli del recesso (la rinnovata valutazione dell’interesse pubblico per sopravvenienze) e avente effetto analogo sul piano giuridico (la cessazione ex nunc del rapporto negoziale)».
La norma sul recesso, di cui all’art. 109 cit. (o quella dell’art. 21 sexies, «Recesso dai contratti» della legge 241/1990 a fronte della quale «Il recesso unilaterale dai contratti della pubblica amministrazione è ammesso nei casi previsti dalla legge o dal contratto») reca un sistema di regole destinate a operare una volta sottoscritto il contratto codificando una precisa sequenza decisionale che risulterebbe priva di portata pratica, dal momento che si ammettesse che l’Amministrazione possa sempre ricorrere alla meno costosa revoca, ovvero decidere di esercitare il diritto di recesso secondo il proprio esclusivo giudizio, conservando in tale modo nel rapporto una posizione comunque privilegiata nell’ambito di un rapporto negoziale già instaurato ed in cui vengono in rilievo posizioni sostanzialmente paritarie, in evidente contraddizione con il vincolo negoziale e lo spirato potere autoritativo.
L’istituto della revoca va ricompreso nell’esercizio dell’azione amministrativa, ovvero nei moduli consensuali dell’art. 11, comma 4 della legge n. 241/1990, dove l’Amministrazione deve sempre verificare la permanenza dell’interesse pubblico, così come delineato dall’art. 21 quinques della legge n. 241/1990, tipicamente operante per gli atti discrezionali finalizzato a consentire un ripensamento in ordine ad una decisione già assunta, in ragione di un quid novi originariamente non esaminato[10].
Nel caso di esecuzione negoziale siamo al di fuori dell’esercizio di un potere amministrativo, confermando che le controversie che attengono alla fase esecutiva del contratto non rientrano nella giurisdizione del Giudice Amministrativo[11], definendo illegittimo il provvedimento di revoca dell’aggiudicazione adottato allorché sia già stato stipulato il contratto di appalto, atteso che in tal caso la revoca è stata adottata in assenza del suo essenziale presupposto, e cioè di un oggetto costituito da un provvedimento che continua ancora a spiegare effetti, non essendo tale l’aggiudicazione della gara in seguito alla stipulazione del contratto: in tal caso, per sciogliersi dal vincolo discendente da quest’ultimo, l’Amministrazione deve ricorrere all’istituto del recesso[12].
[1] Cons. Stato, sez. V, 25 settembre 2019, n. 6432; sez. III, 15 maggio 2012, n. 2805 e 16 febbraio 2012, n. 833.
[2] Cass. civ., sez. unite, 29 maggio 2017, n. 13454; 27 febbraio 2007, n. 4425 e 4 febbraio 2009, n. 2634, nelle procedure ad evidenza pubblica, aventi ad oggetto l’affidamento di servizi pubblici, la cognizione di comportamenti ed atti assunti prima dell’aggiudicazione e nella successiva fase compresa tra l’aggiudicazione e la stipula dei singoli contratti, spetta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, mentre nella successiva fase contrattuale riguardante l’esecuzione del rapporto la giurisdizione è attribuita al giudice ordinario.
[3] T.A.R. Campania, Salerno, sez. I, 11 luglio 2017, n. 1271.
[4] Cass. civ., sez. unite, 09 ottobre 2017, n. 23600.
[5] Cons. Stato, sez. III, 13 aprile 2011, n. 2291.
[6] Cfr. Cons. Stato, sez. V, 19 maggio 2016, n. 2095.
[7] Cons. Stato, Ad. plen., 29 giugno 2014, n. 14.
[8] Cons. Stato, sez. V, 2 agosto 2019, n. 5498.
[9] Orientamento confermato dal Cons. Stato, sez. V, 29 maggio 2019, n. 3576.
[10] Cons. Stato, sez. VI, 14 aprile 2020, n. 2415.
[11] T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. III, 14 aprile 2020, n. 712.
[12] Cons. Stato, sez. V, 22 marzo 2016, n. 1174.