Consigli (Giunte) comunali e obbligo videoconferenza? Il Viminale ci ripensa.
(Avv. Paolo Longhi e Avv. Maurizio LUCCA)
«Ah… mi dispiace. Ma io so’ io…».
Così un magistrale ALBERTO SORDI, nei panni del MARCHESE DEL GRILLO, canzonava i popolani arrestati.
Gli fa il verso, oggi, una circolare esplicativa prot. 14553 del 27 ottobre 2020 del Ministero dell’Interno, Dipartimento per gli Affari Interni e Territoriali, Direzione centrale per le Autonomie, «Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 18 ottobre 2020. Ulteriori Misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19. Riunioni in modalità a distanza. Applicabilità alle sedute di giunta e consiglio comunale», dal contenuto suggestivo nel delineare le soluzioni per le sedute degli organi elettivi nel periodo d’emergenza COVID-19.
Col ritorno del “semi – Lockdown”, a colpi di DPCM (già tre, in pochi giorni), si sono stabilite restrizioni sempre più rigide, quali le serrate del tardo pomeriggio (o le possibili chiusure di strade o piazze nei centri urbani, dove si possono creare situazioni di assembramento, dopo le ore 21,00) e il distanziamento spinto per una molteplicità di situazioni (tutte).
Per non considerare l’«obbligo nei locali pubblici e aperti al pubblico, nonché in tutti gli esercizi commerciali di esporre all’ingresso del locale un cartello che riporti il numero massimo di persone ammesse contemporaneamente nel locale» che non brilla per contenuto e sostanza, se non per un glaciale ricordo di epoche che avremo voluto dimenticare.
In particolare, col Decreto del 18 ottobre 2020 (quello citato nella circolare) è stato stabilito che anche «le riunioni» delle Pubbliche Amministrazioni debbano svolgersi «in modalità a distanza», con l’immancabile formula elastica di garanzia «salvo la sussistenza di motivate ragioni»[1].
Invero, l’art. 12, «Disposizioni finali», del DPCM 24 ottobre 2020, «Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 maggio 2020, n. 35, recante «Misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19», e del decreto-legge 16 maggio 2020, n. 33, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 luglio 2020, n. 74, recante «Ulteriori misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19»» dal – 26 ottobre 2020 – (la circolare è del 27 ottobre 2020) sostituisce le disposizioni del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 13 ottobre 2020, come modificato e integrato dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 18 ottobre 2020 (quello della circolare), ed è efficace fino al 24 novembre 2020.
Dunque, le disposizioni del DPCM 24 ottobre 2020 sostituiscono le precedenti che vengono ricalcate in toto all’art. 1, «Misure urgenti di contenimento del contagio sull’intero territorio nazionale», comma 9, lettera o), parte finale «nell’ambito delle pubbliche amministrazioni le riunioni si svolgono in modalità a distanza, salvo la sussistenza di motivate ragioni», auspicando che «è fortemente raccomandato svolgere anche le riunioni private in modalità a distanza» (nulla è cambiato, se non la data del DPCM).
Apriti cielo.
Vero che a marzo scorso, con il D.L. n. 18/20, all’art. 73, «Semplificazioni in materia di organi collegiali», comma 1, si erano autorizzate le riunioni dei consigli (giunte) comunali e provinciali in videoconferenza, misura prorogata col D.L. n. 83/2020 dello scorso ottobre e, ancora, fino al 31 gennaio 2021, a mezzo del D.L. 125 dello scorso 7 ottobre 2020.
Nello specifico si disponeva con una norma avente “forza di legge” (poi convertita in legge) che «al fine di contrastare e contenere la diffusione del virus COVID-19 e fino alla data di cessazione dello stato di emergenza deliberato dal Consiglio dei ministri il 31 gennaio 2020» (ratio della misura emergenziale), «i consigli dei comuni, delle province e delle città metropolitane e le giunte comunali, che non abbiano regolamentato modalità di svolgimento delle sedute in videoconferenza, possono riunirsi secondo tali modalità».
Tuttavia, con il citato DPCM si era passati dall’opportunità alla necessità della videoconferenza.
Tutto chiaro, anzi no, perché con la circolare cit., vergata in data 27 ottobre 2020 (dopo tre DPCM), si stabilisce, per i Consigli e, addirittura, per le giunte, un salvacondotto per la celebrazione dei consessi in presenza.
«Nell’espressione riunioni delle pubbliche amministrazioni» – si legge nella nota del Dipartimento – «non sembrano annoverabili quelle degli organi collegiali di promanazione elettiva» (secondo i dizionari on line, “Far ritenere vero o molto probabile”).
Segue un breve accenno al principio di separazione tra le funzioni di gestione e quelle di indirizzo politico amministrativo, quasi che la piaga del coronavirus abbia imparato a districarsi nella burocrazia italica.
In altri termini, il COVID-19 è in grado di effettuare una selettività soggettiva, oltre ovviamente ad operare ad orari prestabiliti, ad es. dopo le diciotto e prima delle cinque di mattina per le attività dei servizi di ristorazione (fra cui bar, pub, ristoranti, gelaterie, pasticcerie) con consumo al tavolo la serrata impedisce la diffusione che, nelle altre ore del giorno, opera con meno intensiva: di notte il virus vede (!).
In effetti, nella circolare si valorizza l’elemento soggettivo del contagio non quello oggettivo, richiamando il principio di cui all’art. 4, «Indirizzo politico-amministrativo. Funzioni e responsabilità» del d.lgs. n. 165/2001 (c.d. TUPI), dove «gli organi di governo esercitano le funzioni di indirizzo politico-amministrativo, definendo gli obiettivi ed i programmi da attuare ed adottando gli altri atti rientranti nello svolgimento di tali funzioni» mentre «ai dirigenti spetta l’adozione degli atti e provvedimenti amministrativi, compresi tutti gli atti che impegnano l’amministrazione verso l’esterno».
Per questi motivi la circolare precisa che «vanno tenuti presenti, ai fini della individuazione del perimetro applicativo della disposizione introdotta dal menzionato D.P.C.M. 18.10.2020, i principi di separazione tra le funzioni di indirizzo politico-amministrativo e quelle di gestione attraverso cui si svolge l’azione della pubblica amministrazione degli enti locali. Ai consigli e alle giunte di questi ultimi sono, evidentemente, attribuite esclusivamente funzioni deliberative nonché di indirizzo e di controllo».
Ora come sia possibile distinguere le riunioni degli organi elettivi da quelli gestionali ai fini del contenimento o del distanziamento risponde la circolare nei seguenti termini: «Conseguentemente, la disciplina emergenziale cui deve farsi riferimento al fine di stabilire le modalità con le quali possono svolgersi tali riunioni, resta quella recata nella disposizione delmenzionatoart.73, che dà facoltà agli enti locali di tenere le sedute con la modalità della videoconferenza, anche laddove ciò non sia previsto dal relativo regolamento di funzionamento dell’organo collegiale».
Ma se leggiamo il testo dell’art. 73 cit., secondo il noto brocardo in claris non fit interpretatio non è possibile non rilevare che il Legislatore utilizza il verbo «riunirsi» per definire le modalità con le quali si tengono i lavori degli organi elettivi da remoto (alias in videoconferenza): tali assemblee si riuniscono per deliberare.
Le sedute di Consiglio e Giunta comunale sono riunioni[2].
Se tali organi non esprimono una “soggettività pubblica”: espressione della Pubblica Amministrazione dovremo riscrivere non solo le leggi ma l’intera Costituzione visto che al vertice della P.A. è posto il Presidente del Consiglio (ex art. 95 Cost.): il Governo, con il Parlamento e la Magistratura, costituiscono, secondo l’insegnamento di CHARLES – LOUIS DE SECONDAT, barone di LA BRÈDE e di MONTESQUIEU, le tre funzioni pubbliche principali nell’ambito della sovranità dello Stato, che già in epoca classica (PLATONE, La Repubblica) esigevano un dovuto bilanciamento e indipendenza, pena – con la concentrazione o l’asservimento – la dittatura.
La lenzuolata di DPCM, e di tutta la disciplina COVID-19, è quello di limitare i contatti stretti, gli assembramenti, i movimenti per ridurre la diffusione del virus, le riunioni da remoto hanno questa funzione eclettica, così come per tutti gli apparati e gli organi dello Stato, è consentirne l’operatività «sino alla data di cessazione dello stato di emergenza», anche senza una norma regolamentare, risponde concretamente a queste evenienze e responsabilità individuali e collettive.
Si tratta di una misura, tra le tante (vedi, smart working), che se non adottata può concorrere a rappresentare una violazione alle regole di cautela e prudenza da giustificare motivatamente, senza considerare le responsabilità colpose (anche di natura penale, nei suoi estremi) in caso di concorso alla diffusione dell’epidemia, evitandone la causa.
A tal proposito si raccomanda (nei DPCM) «Tenuto conto della stringente necessità di prevenire la diffusione del virus, che può essere agevolata da contatti occasionali anche tra familiari non conviventi, e pertanto di adeguare i propri comportamenti, anche nella sfera privata, a un principio di massima cautela», al punto, appunto, da raccomandare «che nelle abitazioni private si eviti di ricevere persone diverse dai conviventi, salvo che per esigenze lavorative o situazioni di necessità e urgenza»[3].
È noto, altresì, che – in generale – le circolari recano le istruzioni in una determinata materia, vincolando gli uffici di riferimento, mentre le circolari interpretative ordinariamente sono prive di efficacia vincolante nei confronti degli organi periferici i quali possono, infatti, disattenderne l’interpretazione senza che ciò comporti l’illegittimità dei loro atti per violazione di legge.
Distinguere le riunioni degli organi elettivi da quelli tecnici, in questo contesto normativo e di provvedimenti emergenziali, con una sorta di “discriminazione” a contrario, fa sorgere più di qualche perplessità, sia di natura sistematica che di inquadramento giuridico: (id est) sì alle riunioni di consiglio e giunta, mentre tutte le altre no.
Forse, se nei DPCM si definiva tale distinzione non sarebbe stato del tutto inutile, ma si sarebbe acclarata l’evidente contraddittorietà di sistema dove al ristorante «il consumo al tavolo è consentito per un massimo di quattro persone per tavolo, salvo che siano tutti conviventi», mentre se viene celebrato un consiglio o una giunta si può essere distanziati nei banchi d’aula come al ristorante ma in numero nettamente superiore[4].
La morale della circolare: ancora oggi le sedute di consigli e giunte possono celebrarsi in presenza, restando la modalità in videoconferenza una mera facoltà organizzativa, anche in carenza di uno specifico regolamento.
Chiaramente le valutazioni circa l’opportunità della scelta, anche in considerazione delle misure anti-contagio da assumere per dibattere alla vecchia maniera, sono rimesse agli Enti locali, che potranno invocare la circolare ministeriale per legittimare una condotta che “non sembra” in linea con tutti i DPCM, oltre, ovviamente, con tutte quelle sedute di consiglio e giunta già effettuate nei momenti di una emergenza senza soluzione di continuità[5].
[1] Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 18 ottobre 2020, «Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 maggio 2020, n. 35, recante «Misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19», e del decreto-legge 16 maggio 2020, n. 33, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 luglio 2020, n. 74, recante «Ulteriori misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19»», all’art. 1, comma 1, lettera d), numero 5), parte finale recita «… nell’ambito delle pubbliche amministrazioni le riunioni si svolgono in modalità a distanza, salvo la sussistenza di motivate ragioni».
[2] Vedi, OLIVERI, Cos’è una riunione se non una riunione? Le assurde e speciose interpretazioni su consigli e giunte comunali, luigioliveri.blogspot.com, 20 ottobre 2020.
[3] Ministero Interno, nota prot. n. 15350/117(2)/1 Uff III-Prot.Civ, «Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 24 ottobre 2020. Ulteriori misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19».
[4] Si dovrebbe, allora, affermare che tale soluzione – per le sedute in aula – risponde a requisiti di proporzionalità e ragionevolezza, comportando un giudizio di adeguatezza del mezzo adoperato rispetto all’obiettivo da perseguire, scartando, quindi, ogni valutazione di portata restrittiva delle “misure emergenziali”, si rinvia LUCCA, L’arido latrato del nuovo dpcm: la “di(e)ttatura” COVID-19. Riflessioni minime sul senso della misura, mauriziolucca.com, 17 ottobre 2020.
[5] Al presente scritto ha contribuito: avv. PAOLO LONGHI e avv. MAURIZIO LUCCA.