La prima sez. del T.A.R. Veneto, con la sentenza 19 novembre 2020, n. 1092, delinea i caratteri della concessione di beni appartenenti al demanio marittimo e i suoi limiti (trattasi di un bene infungibile di scarsa risorsa naturale, che non può che formare oggetto di un numero limitato di autorizzazioni, rientrante nell’ambito di applicabilità dell’art. 12 della direttiva 2006/123/CE (c.d. direttiva Bolkestein)[1].
La questione riguarda la concessione di un’area demaniale per un’attività di campeggio che, in sede di rinnovo, l’Amministrazione locale non operava una richiesta riduzione del canone in relazione alla diminuita disponibilità del perimetro del bene già in precedenza occupato (peraltro, senza alcuna dimostrazione del pregiudizio patito attuale, ipotetico e futuro); provvedimento che introduceva, diversamente, nuove prescrizioni:
- facoltà di accedere alle aree (ovvero, «lasciare libero accesso, sia di giorno che di notte, nei manufatti eretti sulla zona demaniale concessa»);
- riserva di adeguare la concessione «qualora risulti in contrasto con il piano particolareggiato dell’arenile», previsto dalla disciplina regionale (una disposizione ritenuta non operante in quanto impositiva di un obbligo futuro rispetto ad un atto già rilasciato, il rimando si potrebbe invocare al principio del tempus regit actum)[2].
Giova rammentare che in via generale il procedimento amministrativo è regolato dal principio tempus regit actum, secondo cui i provvedimenti dell’Amministrazione, in quanto espressione attuale dell’esercizio di poteri rivolti al soddisfacimento di pubblici interessi, devono uniformarsi, sia per quanto concerne i requisiti di forma e procedimento, sia per quanto riguarda il contenuto sostanziale delle statuizioni, alle norme giuridiche vigenti nel momento in cui vengono posti in essere, e ciò in applicazione del principio della immediata operatività delle norme di diritto pubblico[3].
Il principio tempus regit actum va specificato nel senso che attiene alle sequenze procedimentali che si compongano di atti dotati di singola autonomia funzionale, di modo che – fatte sempre salve eventuali apposite norme transitorie – ogni fase o atto del procedimento trova la sua disciplina nelle disposizioni di legge o di regolamento vigenti alla data in cui ha luogo la fase o viene adottato l’atto conclusivo dell’autonoma fase procedimentale in cui è inserito[4], con conseguente irrilevanza di provvedimenti successivi che non possono in alcun caso legittimare ex post precedenti atti amministrativi[5].
Il tutto per affermare che ove l’Amministrazione locale non proceda alla formazione del cit. Piano non può riservarsi successivamente la modifica delle concessioni già rilasciate una volta adottato lo strumento di pianificazione, con la revisione del canone e/o l’inserimento di prescrizioni.
Nel ricorso, afferente alla determinazione del nuovo canone, la parte invoca la recente disciplina dell’art. 100, commi 7 e ss., del decreto legge 14 agosto 2020, n. 104, Misure urgenti per il sostegno e il rilancio dell’economia, convertito con modifiche dalla legge 13 ottobre 2020, n. 126, di deflazione del contenzioso processuale in relazione alla sua conclusione in via amministrativa: rilievo non ritenuto applicabile atteso che il processo amministrativo, va contemperato con l’interesse pubblico alla sollecita definizione della controversia coinvolgente l’esercizio di pubblici poteri, procedendo a definire una parte del giudizio in relazione allo stato del gravame (fatta salva la possibilità della parte di presentare domanda per quanto non trattato)[6].
Il Tribunale nel ritenere il ricorso infondato delinea la natura della concessione in uso dei beni demaniali:
- si tratta di un provvedimento amministrativo, espressione di un potere pubblicistico ampiamente discrezionale con il quale l’Amministrazione sottrae un bene al godimento comune (c.d. uso collettivo o generale) e lo mette a disposizione di soggetti privati (c.d. uso particolare o eccezionale);
- il titolo concessorio (anche quale concessione-contratto) può essere rilasciato solo previo accertamento che lo stesso concorra a realizzare una funzione primaria o comprimaria del bene pubblico visto la natura intrinseca del bene che per definizione è destinato a soddisfare pubblici interessi e non per il conseguimento di interessi meramente privati;
- la concessione demaniale è atto di natura discrezionale per il cui rilascio l’Amministrazione deve valutare l’esistenza di un interesse pubblico all’uso in godimento esclusivo al privato di un bene demaniale nella prospettiva della fruizione da parte della collettività[7];
- la mancanza del titolo impone all’Amministrazione (nella sua attività di controllo) di rimuovere le opere non autorizzate, ben potendo anche sanzionare l’utilizzo dell’arenile in mancanza della concessione o in sua difformità.
Il precipitato delle premesse di inquadramento, autorizza il Comune sia all’attività di controllo sia a quella sul corretto uso delle aree demaniali marittime, siano queste utilizzate in forza di valida concessione ovvero sine titulo, ben potendo – una volta rilasciata la concessione – modulare attraverso il Piano le modalità specifiche di utilizzo del demanio marittimo[8].
Infatti, si osserva (in commento alla sentenza) integra la contravvenzione, di cui all’art. 1161, Abusiva occupazione di spazio demaniale e inosservanza di limiti alla proprietà privata, cod. nav., la realizzazione di innovazioni non autorizzate, per tali intendendosi tutte quelle opere che, indipendentemente dai materiali utilizzati e dal loro stabile ancoraggio al suolo, sono idonee a modificare i beni del demanio marittimo ovvero ad incidere sul loro uso, con il correlato potere dell’Amministrazione di vigilare su, corretto utilizzo della concessione demaniale[9].
Pare giusto rammentare che eventuali modifiche della destinazione dei beni o la realizzazione di opere non autorizzate va sanzionato, dovendo sempre essere rilasciato il competente titolo edilizio per tutte le opere poste in essere dai privati sulle aree demaniali (ex art. 8 del d.P.R. n. 380 del 2001), a cui corrisponde la correlativa vigilanza da parte dell’Amministrazione comunale sulle attività urbanistico – edilizie esercitate nell’intero territorio competenza: il che presuppone, pertanto, anche il riconoscimento in capo all’Amministrazione dei conseguenti poteri sanzionatori in caso di abusi.
Allo stesso tempo, peraltro, l’ordinamento conserva in capo all’Ente locale anche la possibilità di esercizio dei concomitanti poteri di vigilanza e di sanzione contemplati dai diversi ordinamenti “settoriali” che attengono alla cura degli ulteriori e diversi interessi pubblici da parte delle altre Amministrazioni proprietarie delle aree su cui eventualmente insistono le opere abusive (riferite alle funzioni di polizia demaniale, ex art. 54, Occupazioni e innovazioni abusive, cod. nav.)[10].
Le previsioni eventualmente inserite nell’erigendo Piano, comprese le nuove prescrizioni rispetto al precedente titolo concessorio, trattandosi di previsioni funzionali all’esercizio del potere di vigilanza attinente all’uso collettivo del bene demaniale fa si che l’Amministrazione mantenga sempre un penetrante potere sull’uso che il privato concessionario fa del bene stesso, correlato all’inesauribile potere pubblico di controllo e vigilanza[11].
Il Giudice di prime cure, a rafforzare il pronunciamento conclude affermando che la disciplina regionale autorizza l’Amministrazione locale ad adeguare i singoli Piani al Piano regionale di utilizzazione del demanio marittimo per finalità turistico ricreativa, con la possibilità di revocare motivatamente, in tutto o in parte, le concessioni rilasciate «per motivi di interesse pubblico non riconducibili a fatto del concessionario o per contrasto sopravvenuto con il piano regionale di utilizzazione»: nel caso di specie, la prescrizione avversata è funzionale ad evitare il contrasto sopravvenuto del titolo concessorio con la nuova disciplina pianificatoria, confermando il potere dell’Amministrazione sull’uso dei beni demaniali a garanzia dell’interesse pubblico che deve pur sempre essere (e permanere) presente.
[1] Vedi, Corte Giustizia UE, sentenza 14 Luglio 2016, N.C-458/14, ove si chiarisce che l’articolo 12, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2006/123 deve essere interpretato nel senso che una misura nazionale non può prevedere che le concessioni per l’esercizio delle attività turistico-ricreative nelle aree demaniali marittime e lacustri siano prorogate in modo automatico, in assenza di qualsiasi procedura di selezione volta a scegliere in modo imparziale e trasparente i potenziali candidati. Cfr. l’articolo 24, comma 3 septies, del decreto legge 24 giugno 2016, n. 113, convertito con la legge 7 agosto 2016, n. 160, ove si stabilizza gli effetti della disciplina delle proroghe delle concessioni ex lege in contrasto con il diritto eurounitario, Cons. Stato, sez. VI, 12 febbraio 2018, n. 873. Tale disciplina deve essere disapplicata in quanto stabilizzando gli effetti della proroga automatica delle concessioni demaniali marittime, prevista dall’art. 1, comma 18, D.L. 30 dicembre 2009, n. 194, conv. in legge 26 febbraio 2010, n. 25, contrasta la disciplina comunitaria e, comunque, con l’art. 49 TFUE, Cass. pen., sez. II, 11 dicembre 2019, n. 18200.
[2] Il provvedimento deve reggersi sulla base della normativa vigente alla data di sua adozione, in base al principio tempus regit actum, cui sono connesse ineliminabili esigenze di certezza del diritto, T.A.R. Liguria, sez. I, 27 ottobre 2020, n. 735; T.A.R. Lazio, sez. II, 30 aprile 2020, n. 4529.
[3] Cons. Stato, sez. V, 31 marzo 2017, n. 1499.
[4] Cfr. Cass., sez. I, 17 marzo 2005, n. 5820, Cons. Stato, IV, 13 dicembre 2017, n. 5887.
[5] Cons. Stato, sez. IV, 6 dicembre 2013, n. 5822.
[6] T.A.R. Lazio, Roma, sez. II bis, 30 giugno 2020, n. 7318
[7] T.A.R. Veneto, sez. I, 17 maggio 2018, n. 538; T.A.R. Emilia Romagna, sez. I, 12 ottobre 2018, n. 758.
[8] T.A.R. Veneto, sez. I, 30 maggio 2016, n. 573.
[9] Cass., sez. III, 27 maggio 2020, n. 15950.
[10] Cass. pen., sez. III, 7 novembre 2002, n. 8110, nonché Cons. Stato, sez. II, 8 maggio 2020, n. 2906 e sez. VI, 21 settembre 2006, n. 5547.
[11] Cass. civ., sez. un., 3 luglio 2008, n. 18192.