La sez. II quater Roma del T.A.R. Lazio, con la sentenza 9 dicembre 2020, n. 13188 interviene per limitare il diritto di accesso del confinante, ove non sia dimostrato un interesse giuridicamente rilevante alla documentazione amministrativa autorizzativa del titolo edilizio: il mero interesse alla generica tutela individuale (del proprio nucleo familiare) o alla vigilanza sul corretto sviluppo urbano non sostanzia una posizione qualificata.
È noto che il diritto di accesso non è meramente strumentale alla proposizione di un’azione giudiziale, ma assume un carattere autonomo rispetto ad essa (essendo la situazione legittimante all’accesso autonoma e distinta da quella legittimante all’impugnativa giudiziale e dall’esito stesso di questa impugnativa)[1], con la conseguenza pratica che il rimedio speciale, previsto a tutela del diritto di accesso, deve ritenersi consentito anche se l’interessato non può più agire, o non possa ancora agire, in sede giurisdizionale, in quanto l’autonomia della domanda di accesso comporta che il giudice, chiamato a decidere su tale domanda, deve verificare solo i presupposti legittimanti la richiesta di accesso e non anche la possibilità di utilizzare gli atti richiesti in un giudizio[2].
Giova rammentare in materia edilizia che, in via generale, il criterio della vicinitas radica in capo ai proprietari di fondi finitimi, rispetto a quello dove sia in corso la realizzazione di un opus novum, una posizione qualificata e differenziata e non meramente emulativa o preordinata ad un controllo generalizzato dell’azione amministrativa, con la piena legittimità all’accesso, ai sensi dell’art. 22 della legge n. 241 del 1990[3].
Il criterio dello stabile collegamento sintetizza ellitticamente l’interesse qualificato e differenziato rispetto a terzi, in forza del quale il proprietario confinante ad un’area in cui è stato rilasciato un permesso di costruire, potendo subire un pregiudizio, è titolare del diritto di ottenere la ostensione degli atti dell’intero procedimento, al punto da poter evitare la realizzazione dell’opera, nonché l’esecuzione di interventi edilizi abusivi[4].
Si potrebbe anche affermare che, essendo i titoli edilizi atti pubblici, chi esegue le opere non può opporre un diritto di riservatezza[5], né l’Amministrazione, intimata mediante apposita richiesta, possa valutare la posizione antagonista del soggetto impiegato nella realizzazione dell’intervento edilizio[6].
Invero, l’Amministrazione dovrà valutare i contrapposti interessi al fine di individuare quello prevalente, rilevando che nemmeno l’esistenza di un’indagine penale non implica, di per sé, la non ostensibilità di tutti gli atti o provvedimenti che in qualsiasi modo possano risultare connessi con i fatti oggetto di indagine: solo gli atti per i quali è stato disposto il sequestro e quelli coperti da segreto possono risultare sottratti al diritto di accesso[7]: diversamente, gli atti sono accessibili.
Fatte queste premesse di perimetro, la sentenza affronta il silenzio – rigetto formatosi su un’istanza di accesso documentale («titoli abilitativi edilizi sotto qualsiasi forma ed in qualsiasi forma conseguiti, anche per silentium in base a dichiarazione, comunicazione o segnalazione») di un proprietario di un immobile ad uso residenziale posto in prossimità di un intervento edilizio su fabbricati produttivi.
La motivazione della richiesta ostensiva:
- l’interesse ad avere conoscenza di ogni profilo concernente la trasformazione del territorio, dell’ambiente, del paesaggio e dell’assetto idrogeologico conseguente alla localizzazione ed all’esercizio delle attività produttive;
- al fine di tutelare la propria salute e quella dei propri familiari;
- vigilare sul corretto sviluppo urbanistico/edilizio/ambientale dell’area di insistenza degli impianti produttivi.
Nella difesa del Comune evidenzia che la richiesta ostensiva non sarebbe assentibile in quanto:
- generica, ovvero ad oggetto una pluralità indeterminata ed indeterminabile di documenti amministrativi;
- mancata individuazione degli atti (pur in presenza di una richiesta, da parte del Responsabile del procedimento, di individuazione);
- istanza meramente esplorativa che sottoporrebbe l’Amministrazione a ricerche incompatibili sia con la funzionalità (ex 97 Cost.), sia con l’economicità e la tempestività dell’azione amministrativa stessa (ex art. 1 della legge n. 241/1990);
- assenza di un interesse diretto, concreto ed attuale, corrispondente ad una specifica situazione giuridicamente tutelata ricollegabile ai documenti da ostendere, non potendo addurre la sola vicinitas, senza null’altro aggiungere;
- mancata dimostrazione o giustificazione del pregiudizio collegato all’assetto edilizio (il complesso edilizio e l’attività ivi collocata risulta presente da oltre 36 anni).
Il controinteressato (il titolare del permesso) contestata la fondatezza della domanda di accesso in quanto:
- generica;
- mancanza del requisito della vicinitas in considerazione della distanza (almeno 500 metri in linea d’aria) esistente tra l’abitazione e la sede dell’attività produttiva;
- meramente esplorativa dell’agere pubblico;
- afferente anche all’organizzazione aziendale (il c.d. know how) correlato ad un interesse imprenditoriale della ricorrente (in concorrenza con la controinteressata).
Il Tribunale di prime cure si pronuncia sull’infondatezza del ricorso con una prima valutazione sull’impossibilità di riconvertire l’azione in sede di giudizio (peraltro, non sollecitata dalla parte):
- il giudizio è volto ad accertare la sussistenza o meno del diritto di accesso del ricorrente ai documenti amministrativi di cui ha chiesto l’ostensione, indipendentemente dalla maggiore o minore correttezza delle ragioni addotte dall’Amministrazione per giustificarne il diniego, ovvero dal silenzio da questa mantenuto sull’istanza[8];
- l’Amministrazione appurata l’assenza dei presupposti legittimante della titolarità di un interesse differenziato in capo al richiedente, ai sensi dell’art. 22, comma 1, lett. b), della legge n. 241 del 1990, non può esaminare la richiesta di «accesso civico generalizzato», a meno che non sia accertato che l’interessato abbia inteso richiedere, al di là del mero riferimento alla legge n. 241, anche l’«accesso civico generalizzato» e non abbia inteso limitare il proprio interesse ostensivo al solo accesso documentale, uti singulus (in termini diversi, la P.A. non può esaminare una richiesta mai proposta, nemmeno per implicito, ossia quella ex 5, comma 2 del d.lgs. n. 33/2013);
- la conseguenza diretta risiede una preclusione del giudice di accertare la sussistenza del diritto del richiedente secondo i più ampi parametri di legittimazione attiva stabiliti dalla disciplina dell’«accesso civico generalizzato», stante l’impossibilità di convertire, in sede di ricorso giurisdizionale, il titolo dell’accesso eventualmente rappresentato all’Amministrazione sotto l’uno o l’altro profilo: «non potendo il giudice pronunciarsi su un potere non ancora esercitato, stante il divieto dell’art. 34, comma 2, c.p.a.»[9].
Inquadrata la richiesta nei termini dell’accesso documentale, viene ribadita la sua infondatezza sia con riferimento alla posizione legittimante del richiedente che all’oggetto dell’istanza ostensiva:
- il diritto di accesso è esercitabile soltanto dai c.d. “interessati“, ossia non già dal quisque de populo bensì, esclusivamente, da chi vanti un «interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso» (è necessario l’onere motivazionale, ex 22 e 25 comma 2 della legge n. 241/90), dovendo dimostrare la documentazione cui si chiede di accedere sia ricollegabile a quella specifica posizione sostanziale, impedendone ovvero ostacolandone il soddisfacimento (diversamente coinciderebbe con una finalità emulativa vietata[10], perché preordinata ad un non consentito controllo generalizzato sull’attività, pubblicistica o privatistica, delle Pubbliche Amministrazioni, ex art. 24, comma 4, della legge n. 241/1990)[11];
- manca nella richiesta una qualche dimostrazione del pregiudizio arrecato dall’intervento «sotto quale profilo ed in che ordine di grandezza», oltre ad essere generica senza indicazioni precise e circostanziate che consentano di individuare, con certezza, gli atti richiesti a prescindere dal compimento di defaticanti attività di ricerca ed elaborazione degli stessi[12];
- il requisito della vicinitas da solo non è idoneo, rebus sic stantibus, a legittimare l’accesso in quanto l’istanza difetta dell’allegazione di ulteriori e più precise circostanze di fatto che consentano di ricollegarla, in termini di c.d. strumentalità necessaria, a documenti amministrativi che l’espongano a pericolo, ovvero ne impediscano ovvero ne ostacolino il soddisfacimento (manca l’interesse)[13];
- la particolare posizione del ricorrente potrebbe disvelare la natura meramente esplorativa della richiesta ostensiva, avendo taciuto all’Amministrazione – ed al Collegio – la sua contestuale ed incontestata veste “concorrente” della controinteressata, con una potenziale «interesse anticoncorrenziale, immeritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico, volto a carpire notizie ed informazioni in ordine all’assetto organizzativo ed alla localizzazione dell’attività di queste ultime sul territorio».
Il T.A.R. Lazio, Roma, sez. II quater, con la sentenza 9 dicembre 2020, n. 13188, espone in chiaro la dimensione e lo spazio del diritto di accesso documentale (anche del confinante), dove la “trasparenza” non può debordare in curiosità, distogliendo risorse pubbliche per rispondere ad esigenze emulative, prive di una tutela dall’ordinamento poiché non funzionali ad alcun interesse finalizzato al buon andamento della P.A. che deve sempre essere perseguito anche attraverso l’attività partecipativa del privato.
[1] T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. I, 15 gennaio 2016, n. 125. Cfr. Cons. Stato, parere n. 515 del 24 febbraio 2016, che si sofferma sul bisogno di conoscenza, c.d. need to know.
[2] Cons. Stato, Ad. plen., 2 aprile 2020, n. 10, il giudizio non ha sostanzialmente natura impugnatoria, ma è rivolto all’accertamento della sussistenza o meno del diritto dell’istante all’accesso medesimo: un “giudizio sul rapporto”, ex art. 116, comma 4, del d.lgs. n. 104 del 2010, secondo cui il giudice, sussistendone i presupposti, «ordina l’esibizione dei documenti richiesti», idem Cons. Stato, sez. VI, 9 maggio 2002, n. 2542 e sez. V, 19 giugno 2018, n. 3956.
[3] Cons. Stato, sez. V, 14 maggio 2010, n. 2966; T.A.R. Toscana, sez. III, 7 dicembre 2012, n. 1993; Cons. Stato, sez. IV, 21 novembre 2006, n. 6790.
[4] Cons, Stato, sez. VI, 28 marso 2019, n. 2063.
[5] T.A.R. Sardegna, sez. I, 26 aprile 2018, n. 376.
[6] T.A.R. Sicilia, Catania, sez. IV, 3 giugno 2019, n. 1362.
[7] T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. II, 26 marzo 2018, n. 757.
[8] T.A.R. Lazio, Roma, sez. I, 20 luglio 2020, n. 8369.
[9] È preclusa la possibilità di immutare, anche in corso di causa, il titolo della formalizzata actio ad exhibendum, pena la violazione del divieto di mutatio libelli e di introduzione di ius novorum, Cons. Stato, sez. IV, 28 marzo 2017, n. 1406; sez. V, 20 marzo 2019, n. 1817 e 2 agosto 2019, n. 5503.
[10] Il diritto di accesso ai documenti non si atteggia come una sorta di azione popolare diretta a consentire un controllo generalizzato sull’Amministrazione, giacché, da un lato, l’interesse che legittima ciascun soggetto all’istanza, da accertare caso per caso, deve essere personale e concreto e ricollegabile al soggetto stesso da uno specifico nesso, dall’altro, la documentazione richiesta deve essere direttamente riferibile a tale interesse oltre che individuata o ben individuabile, T.A.R. Lazio, Roma, sez. III, 22 luglio 2020, n. 8580; Cons. Stato, sez. V, 11 giugno 2012, n. 3398.
[11] Cons. Stato, Ad. plen., 24 aprile 2012, n. 7.
[12] L’accesso non può costringere l’Amministrazione ad attività di ricerca ed elaborazione dati, di guisa che la relativa istanza non può essere generica, eccessivamente estesa o riferita ad atti non specificamente individuati, Cons. Stato, sez. IV, 12 gennaio 2016, n. 68; idem T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 10 marzo 2020, n. 3100.
[13] Cons. Stato, sez. V, 21 maggio 2020, n. 3212.