L’art. 2, comma 1, lettera c), del d.lgs. n. 175/2016, Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica (TUSP), definisce il «controllo analogo» come quella situazione in cui l’Amministrazione «esercita su una società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi, esercitando un’influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni significative della società controllata. Tale controllo può anche essere esercitato da una persona giuridica diversa, a sua volta controllata allo stesso modo dall’amministrazione partecipante»[1].
Il “controllo analogo” (anche congiunto)[2] consente di ricevere direttamente servizi «solo se non vi sia partecipazione di capitali privati, ad eccezione di quella prescritta da norme di legge e che avvenga in forme che non comportino controllo o potere di veto, né l’esercizio di un’influenza determinante sulla società controllata», ex comma 1, dell’art. 16, Società in house, del cit. TUSP, rilevando la natura particolare di questo genere di società in controllo pubblico, che pur dotate di autonoma personalità giuridica, sono equiparate ad un “ufficio interno” dell’Ente pubblico che l’ha costituita (il comma 3 del cit. art., impone agli statuti di queste società di «prevedere che oltre l’ottanta per cento del loro fatturato sia effettuato nello svolgimento dei compiti a esse affidati dall’ente pubblico o dagli enti pubblici soci»).
La società in house si confonde con l’Amministrazione di riferimento in una sorta di longa manus, non sussistendo tra l’Ente pubblico e la società un rapporto di alterità sostanziale, ma solo formale (si postula un effettivo intervento sulle attività del soggetto in house), tale per cui si giustifica l’affidamento diretto, senza previa gara, ben potendo evitare l’avvio di una procedura di evidenza pubblica proprio in ragione della natura “interna” della società pubblica: non si tratta di un effettivo ricorso al mercato (outsourcing), ma di una forma di autoproduzione o, comunque, di erogazione di servizi pubblici direttamente ad opera dell’Amministrazione, attraverso strumenti propri (in house providing), con piena legittimità di dare esecuzione a interi comparti di servizi e/o prestazioni (anche con riferimento all’organizzazione interna degli uffici).
Questo ultimo aspetto è correlato al perseguimento delle finalità istituzionali dei singoli Enti pubblici, a tutela sia della concorrenza che della sostenibilità della finanza pubblica, ove in mancanza di tale finalità primaria (e di altri requisiti) si dovrà procedere alla razionalizzazione, accentuando, così facendo, il profilo del c.d. vincolo di scopo, vietando di costituire società e di mantenerne la partecipazione, ove non strettamente necessario: il d.lgs. n. 175 del 2016 è intervenuto in modo organico anche allo scopo di limitare l’espansione del proliferare di società partecipate (c.d. razionalizzazione), prevedendo una prima revisione straordinaria delle società partecipate nell’art. 24, che costituisce un aggiornamento dell’analogo “Piano di razionalizzazione” richiesto dall’art. 1, commi 611 e seguenti, della legge n. 190 del 2014, e una razionalizzazione periodica annuale nell’art. 20[3].
Si comprende la piena liceità di utilizzare questo modulo organizzativo per gestire determinati servizi, senza ricorrere al mercato aperto, rispondendo ad un’esigenza di economicità ed efficientamento dell’azione amministrativa; in questo senso, il terzo comma dell’art. 192, Regime speciale degli affidamenti in house, del d.lgs. n. 50/2016, descrive il procedimento dell’affidamento in house: «le stazioni appaltanti effettuano preventivamente la valutazione sulla congruità economica dell’offerta dei soggetti in house, avuto riguardo all’oggetto e al valore della prestazione, dando conto nella motivazione del provvedimento di affidamento delle ragioni del mancato ricorso al mercato, nonché dei benefici per la collettività della forma di gestione prescelta, anche con riferimento agli obiettivi di universalità e socialità, di efficienza, di economicità e di qualità del servizio, nonché di ottimale impiego delle risorse pubbliche»[4].
In termini più divulgativi, non s’impone alcuna gara, neppure informale, fra operatori del mercato, con la conseguenza che la valutazione delle congruità delle offerte dei soggetti in house, prevista dal Codice dei contratti pubblici, non può essere confusa con una sorta di gara[5], alla quale l’Ente affidante dovrebbe invitare le imprese del settore, ben potendo agire direttamente con una motivazione articolata[6] al fine dell’adozione del modello in house, indicando inevitabilmente le ragioni, che potranno essere successivamente vagliate dal giudice amministrativo[7], della preferenza del modello scelto rispetto al ricorso al mercato, nonché dei benefici conseguibili dalla collettività attraverso tale modello, non quale mero conseguimento di un profitto, bensì come minimizzazione dei costi o massimizzazione della differenza tra i costi e i ricavi[8].
La sez. IV del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 184 del 7 gennaio 2021 (estensore D’Angelo), interviene su tale aspetto operativo, ovvero sulla possibilità di ricorrere al mercato dei servizi rivolgendosi esclusivamente all’interno del comparto dell’in house (ossia delle società partecipate pubbliche).
Il caso affrontato è riferito al ricorso di una società pubblica che esercita il servizio di raccolta, trasporto e trattamento dei rifiuti avverso una delibera di un’Unione di Comuni, UTI[9] (che si sarebbe sostituita all’Autorità d’Ambito, ex art. 200, Organizzazione territoriale del servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani, del d.lgs. 152/2006) avente ad oggetto «la presa d’atto di un’indagine esplorativa indetta fra le società interamente pubbliche operanti nel settore dei rifiuti urbani all’interno dell’ambito territoriale dei Comuni costituenti l’assemblea locale “Centrale” della stessa Unione» (lo scopo sarebbe stato di una preliminare verifica di individuazione di un potenziale unico soggetto erogatore del servizio scelto tra quelli presenti e in controllo dei Comuni di quel territorio).
Si lamenta che tale call pubblica, «pur se finalizzata a fornire un supporto informativo ai Comuni in vista delle determinazioni relative al futuro affidamento in house del servizio di raccolta dei rifiuti, si sarebbe trasformata in una vera e propria gara per l’individuazione di un nuovo gestore», in violazione ad una precisa opzione legislativa volta alla sottrazione del procedimento di scelta del gestore dalla competenza dei singoli Comuni.
La risposta al gravame ha il suo fuoco sulla possibilità che l’affidamento di un servizio ad una società in house non contemplerebbe una previa gara tra società in house esistenti.
Al di là della disciplina regionale di riferimento (che disponeva la naturale scadenza delle gestioni in attesa che la nuova Autorità d’Ambito operasse l’affidamento), si giunge nel rigettare l’appello alle seguenti conclusioni:
- in origine i Comuni, con convenzione, avevano delegato all’allora esistente Comunità Montana la gestione amministrativa del servizio di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti urbani ed assimilabili;
- la Comunità aveva provveduto ad affidare in appalto le varie tipologie dei servizi a diverse imprese del settore (tutte società pubbliche);
- al subentro ex lege dell’UTI si continuava a gestire le attività con gli affidatari dei servizi, mentre i Comuni rimborsavano all’UTI i costi sostenuti per gli stessi;
- l’indagine veniva, quindi, rivolta a tali soggetti affidatari per una gestione integrata dei servizi, ossia individuare un unico gestore interamente pubblico per l’intero ambito dei Comuni aderenti l’UTI (in termini diversi, dalla documentazione, emerge che l’intento era quello di trovare – tra le tre società partecipate pubbliche – quella dalla quale conseguire quote partecipative, ossia una razionalizzazione, così da permettere all’Autorità d’Ambito di procedere all’affidamento del Servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani);
- l’indagine conoscitiva non si configura, pertanto, come una gara ma quale supporto istruttorio ai fini «di supportare l’autonoma scelta dei Comuni in ordine alla società pubblica verso cui assumere la partecipazione azionaria», peraltro non è seguito alcun affidamento del servizio e si è imposto alcun obbligo di adeguamento da parte dei Comuni associati.
La sentenza porta alle seguenti costatazioni e considerazioni prospettiche, in relazione alla normativa di settore:
- l’Autorità d’Ambito aveva individuato – in via preventiva – i soggetti potenzialmente idonei per la gestione in house del ciclo integrato dei rifiuti, che corrispondevano alle tre società pubbliche;
- i singoli Comuni dovevano – in relazione alle loro valutazioni (alias indagine di mercato tra i tre soggetti) procedere, «facendo residuare così un margine di scelta in capo ai Comuni, che avrebbero dovuto necessariamente concretizzare tale affidamento e rivolgersi ad un singolo operatore».
La sentenza, in relazione alle coordinate esegetiche e al quadro normativo sull’in house, conferma la capacità di operare di questo modello societario[10]: si potrà, dunque, operare all’interno di tutte le società partecipate pubbliche, ove i Comuni potranno acquisire le quote societarie (con il controllo analogo plurisoggettivo) e affidare – senza gara – il servizio del ciclo integrato dei rifiuti, senza cioè ricorrere al mercato concorrenziale, in presenza di tutti i requisiti di legge, atteso che la società individuata svolgerà un compito istituzionale per l’ente e ne costituisce una derivazione operativa, sotto il dominio dei singoli Comuni, in base alla governance del controllo analogo: una reale ed effettiva razionalizzazione all’interno di un specifico ambito territoriale, assolvendo la voluntas legis generale e settoriale.
[1] Alle società in house providing si applica la disciplina civilistica per tutto quanto non specificamente derogato dal TUSP: la società in house è, quindi, una variante della società a controllo pubblico, cui sono destinate disposizioni peculiari concernenti l’attività, e non già di natura tipologica, Tribunale Avezzano, sez. fall., decreto 13 febbraio 2020.
[2] La Corte di Giustizia ammette che, in caso di società partecipata da più Enti pubblici, il controllo analogo – indispensabile per la qualificazione come società in house (sin da Corte di Giustizia delle Comunità europee 18 novembre 1999 nella causa C-107/98 Teckal) – possa essere esercitato in forma congiunta (sentenza 13 novembre 2008 nella causa C-324/07 Coditel Brabant SA) e che, inadeguati a tal fine i poteri a disposizione dei soci secondo il diritto comune, sia necessario dotare i soci di appositi strumenti che ne consentano l’interferenza in maniera penetrante nella gestione della società, Cons. Stato, sez. V, 15 dicembre 2020, n. 8028.
[3] Cfr. C.G.A.S., sez. giur., 30 novembre 2020, n. 1121.
[4] Il ricorso all’in house è in posizione subalterna all’affidamento del servizio stesso mediante gara pubblica, dovendo rafforzare l’onere motivazionale consistente nell’esporre le ragioni di preferenza per l’affidamento in house rispetto al ricorso all’evidenza pubblica in punto di convenienza economica, di efficienza e qualità del servizio, così esplicitando le ragioni dell’esclusione del ricorso al mercato, e, di seguito, i benefici per la collettività, di modo che ne sia possibile, Cons. Stato, sez. V, 26 ottobre 2020, n. 6459.
[5] Va chiarito che i soggetti in house providing sono tenuti ad osservare, per i propri affidamenti a valle, i principi e le norme dell’evidenza pubblica, T.A.R. Veneto, sez. I, 4 novembre 2019, n.1186.
[6] T.A.R. Lombardia, Milano, sez. IV, 22 marzo 2017, n. 694.
[7] Non potrà procedersi con un “sindacato sostitutivo” ma soltanto con un sindacato di “attendibilità tecnica”, Cons. Stato, sez. V, 8 gennaio 2019, n. 173.
[8] Cfr. T.A.R. Liguria, sez. I, 8 ottobre 2020, n. 684. Vedi, Corte Cost., 27 maggio 2020, n. 100 e Corte di giustizia UE (sez. IX), ordinanza datata 6 febbraio 2020, C-89/19, C-90/19, C-91/19, ove si esclude che le norme dell’art. 192, comma 2, del d.lgs. n. 50 del 2016 e del Testo Unico sulle società partecipate, ex art. 4, comma 1, laddove individuano i requisiti per l’affidamento diretto in favore delle società in house pluripartecipate siano in contrasto con le norme di cui alla direttiva n. 2014/24/UE, le quali riconoscono la libertà degli Stati membri di organizzare l’esecuzione dei propri lavori o la prestazione dei propri servizi in conformità del diritto nazionale e dell’Unione.
[9] Caso di specie, Unione Territoriale Intercomunali (UTI), subentrata alla precedente Comunità Montana, la quale può esercitare in forma associata le funzioni e competenze di ambito sovracomunale a favore dei Comuni associati, ivi compreso il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti urbani.
[10] Per una disamina, si rinvia, GLINIANSKI – VENTURINI, Il ricorso alla società in house: oneri motivazionali “rinforzati” e ruolo degli organi di revisione, LexItalia.it, 29 gennaio 2021, ove si chiarisce che l’articolo 192, comma 2 del Codice dei contratti pubblici richiede un onere di motivazione aggravata «palesando la preferenza per l’in house providing un indirizzo politico amministrativo diretto ad un più pregnante ed invasivo controllo pubblico della governance della società rispetto ad una mera esternalizzazione del servizio o ad una partecipazione societaria anche di controllo ai sensi dell’articolo 2359 c.c., la stessa sarà sicuramente non censurabile da alcun potere giudiziario, ove il provvedimento di affidamento espliciti le ragioni del mancato ricorso al mercato, previa comparazione con i costi ed i benefici per la collettività amministrata e per la stessa amministrazione».