La mancata assegnazione dell’alloggio
La sez. II del TAR Piemonte, con la sentenza 4 aprile 2022 n. 316, accoglie la richiesta di risarcimento del danno derivante dal diniego (illegittimo) di assegnazione di un alloggio di edilizia sociale.
La questione prende l’avvio dalla mancata consegna (ripetuti dinieghi) di un alloggio di emergenza abitativa da parte di un Ente locale, giustificata dalla morosità pregressa (una precedente assegnazione), dal sovradimensionamento dell’immobile di proprietà rispetto al nucleo, dalla dichiarazione ISEE non veritiera, tutte condizioni che certificavano la mancanza dei requisiti richiesti dalla disciplina regolamentare, oltre (riferiva l’Ente civico) la mancata collaborazione partecipativa del richiedente.
Successivamente, a seguito di una sentenza favorevole alla parte ricorrente, l’Ente assegnava un’abitazione e sottoscriveva il relativo contratto.
La richiesta risarcitoria
Nella richiesta risarcitoria[1] si evidenziava che il ritardo dell’assegnazione aveva comportato da una parte, un aggravarsi delle condizioni fisiche del ricorrente (danno non patrimoniale nelle sue componenti biologica, morale ed esistenziale), dall’altro, l’esborso delle spese per recuperare temporaneamente altri alloggi (danno patrimoniale).
Il ricorrente fornisce un puntuale onere probatorio, visto che il risarcimento non costituisce una conseguenza automatica dell’annullamento giurisdizionale dell’atto amministrativo illegittimo.
Infatti, il principio generale dell’onere della prova, previsto dall’art. 2697 cod. civ., si applica anche all’azione di risarcimento per danni proposta dinanzi al Giudice amministrativo, con la conseguenza che spetta al ricorrente danneggiato fornire in giudizio la prova di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie risarcitoria, e quindi, in particolare, quella della presenza di un nesso causale che colleghi la condotta commissiva o omissiva della Pubblica Amministrazione all’evento dannoso, e quella dell’effettività del danno di cui si invoca il ristoro, con la conseguenza che, ove la domanda di risarcimento manchi della necessaria prova, la stessa deve essere respinta[2].
L’accoglimento del ricorso sull’illegittimità dell’atto di diniego
Il ricorso viene accolto in considerazione all’illegittimità dell’ultimo diniego (elemento oggettivo) in quanto, a seguito del riesame e della verifica della documentazione prodotta, si accertava la presenza dei requisiti per l’assegnazione, risultando del tutto inconferente le difese sulla mancata collaborazione della parte ricorrente, adottata anche per smentire la sussistenza dell’elemento soggettivo dell’illecito (e, dunque, volendo invocare l’errore scusabile) non avendo alcuna rifluenza causale sull’erroneità del giudizio dell’Amministrazione.
Le componenti della colpa e l’assenza dell’errore scusabile
Sotto il profilo soggettivo veniva rilevato che, al di là dell’onere probatorio del ricorrente, la colpa dell’apparato pubblico si poteva desumere da indici presuntivi, quali:
- l’acclarata illegittimità del provvedimento di diniego;
- il grado di chiarezza della normativa applicabile[3];
- la semplicità degli elementi di fatto e il carattere vincolato o discrezionale della statuizione amministrativa;
- la mancata dimostrazione, da parte della P.A. resistente, di essere incorsa in un errore scusabile[4].
Giova rammentare che la rimproverabilità dell’evento all’Amministrazione costituisce un presupposto indefettibile per poter ravvisare una sua responsabilità risarcitoria che deve essere negata laddove il pregiudizio sia stato cagionato da un’attività amministrativa ascrivibile ad errore scusabile per la sussistenza di contrasti giudiziari, per l’incertezza del quadro normativo di riferimento, o per la complessità della situazione di fatto[5].
Dunque, l’errore scusabile è ammesso solo in presenza di oggettive ragioni di incertezza su questioni di diritto o di gravi impedimenti di fatto[6].
In termini diversi, per la configurabilità della colpa dell’Amministrazione occorre avere riguardo al carattere della regola di azione violata:
- se la stessa è chiara, univoca e cogente, si dovrà riconoscere la sussistenza dell’elemento psicologico nella sua violazione;
- al contrario, se il canone della condotta amministrativa giudicata è ambiguo, equivoco o, comunque, costruito in modo tale da affidare all’Autorità amministrativa un elevato grado di discrezionalità, la colpa potrà essere accertata solo nelle ipotesi in cui il potere sia stato esercitato in palese spregio delle regole di correttezza e di proporzionalità (rectius mancata o difettosa istruttoria documentale)[7].
È emerso, nel caso di specie, la colpa dell’Amministrazione, tenuto conto del carattere vincolato del provvedimento e della sua illegittimità, derivante dall’erronea interpretazione di una norma di chiara formulazione (in claris non fit interpretatio).
Appare evidente che, la condotta della P.A., nel diniego dell’alloggio presenta aspetti di violazione dei canoni di imparzialità, correttezza e buona amministrazione (ex artt. 97 Cost. e 1 della legge n. 241/1990), che trovano riscontro in un’istruttoria carente (ex art. 3 della legge 241/1990), soprattutto ove il Tribunale evidenzia la presenza di un quadro normativo di facile comprensione, mancando ogni riferimento all’errore scusabile.
Dalla sentenza si evince che il danno si presenta come una diretta conseguenza di negligenza nell’omissione di una compiuta attività istruttoria, non potendo addebitarsi ad errori interpretativi di norme (viene in via diretta esclusa tale circostanza) quanto a comportamenti inescusabili, annoverati in quelle posizioni di analisi procedimentale superficiali e/o sbrigative nel compiere operazioni di agevole e semplice esecuzione, quale la verifica dell’esistenza dei presupposti di assegnazione del bene, di quei requisiti richiesti dalla norma facili da verificare e non comportanti sottili e complicate indagini (in un procedimento del tutto vincolato alla presenza di presupposti definiti: i criteri di assegnazione)[8].
In breve, è mancato un corretto sviluppo dell’iter procedimentale, secondo non solo le regole generali di diligenza, prudenza e perizia (attività ordinariamente richiesta per la redazione degli atti amministrativi), ma anche e soprattutto di quelle specifiche del procedimento amministrativo, sulla base delle quali avviene la legittima emanazione del provvedimento finale, ove – qualora negativo – richiede un apparato motivazionale rafforzato, il quale, a sua volta, certifica una compiuta istruttoria ancorata ai «presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione, in relazione alle risultanze dell’istruttoria», ai sensi del comma 1, secondo periodo, dell’art. 3 della legge n. 241/1990.
Non aver dimostrato l’esimente dell’errore scusabile, dando in tal senso rilevanza giustificativa all’oggettiva incertezza della situazione di fatto o di diritto paventata, dovuta a complessità della situazione documentale presentata (ritenuta insufficiente), o a difficoltà interpretative della norma da applicare o all’esistenza di contrasti giurisprudenziali, del tutto esclusi in punto di diritto e merito, consolidano la riferibilità della violazione alla mancanza di diligenza dell’Amministrazione convenuta (donde, l’imputazione della colpa)[9].
La quantificazione del danno
Viene di conseguenza quantificato il danno:
- patrimoniale, parametrato all’allegazione delle prove sulle spese abitative sostenute in attesa dell’assegnazione, detratte quelle che avrebbe dovuto pagare il ricorrente/assegnatario sui canoni dell’alloggio che avrebbe dovuto essere tempestivamente assegnato, onde evitare un indebito arricchimento;
- non patrimoniale[10], facendo riferimento al principio di tipicità espresso dall’art. 2059 cod. civ., discendente dalle lesioni di interessi costituzionalmente garantiti, purché dotato di un certo grado di serietà, il quale deve assicurare adeguata tutela risarcitoria alla lesione di qualsiasi diritto costituzionalmente protetto, e omnicomprensivo, dovendo liquidarsi tutte le conseguenze pregiudizievoli – biologiche, morali ed esistenziali – che si trovino in rapporto di omogeneità con la lesione inferta, purché adeguatamente comprovate (come dimostrato in atti, ovvero dall’alterazione peggiorativa della propria condizione di vita (componente cd. esistenziale) e della propria dignità (componente cd. morale); liquidato, stante l’insussistenza di parametri liquidatori obiettivi, in via equitativa, ex 1226 cod. civ.)[11].
Su tale importo devono essere riconosciuti, quali ulteriori componenti del risarcimento, gli interessi compensativi del danno derivante dal mancato tempestivo godimento dell’equivalente pecuniario del bene perduto, decorrenti dalla produzione dell’evento di danno sino al tempo della liquidazione sulla somma via via rivalutata nell’arco di tempo suddetto[12].
La sentenza esprime un certo rigore nel richiamare la P.A. ad un’accurata attività istruttoria, dove la complessità potrebbe portare anche all’errore scusabile se dimostrato; tuttavia, in questa controversia è emersa la colpa addebitabile in presenza di regole chiare e semplici del procedimento di assegnazione dell’alloggio (dove la discrezionalità è vincolata).
[1] L’art. 103 Cost. attribuisce al G.A. la giurisdizione per la tutela nei confronti della P.A. in materia di interessi legittimi e, in particolari materie indicate dalla legge, anche di diritti soggettivi. In entrambi i casi (interessi legittimi o diritti soggettivi nelle materie previste) la tutela avanti al Giudice amministrativo concerne unicamente i giudizi proposti nei confronti della P.A., non anche quelli rivolti a soggetti non appartenenti a quest’ultima, Cass. civ., sez. Un., ordinanza 21 dicembre 2020, n. 29175.
[2] C.G.A., 7 aprile 2021, n. 295.
[3] In effetti, la colpa può essere invocata quando siamo in una condizione di effettiva incertezza sul procedimento, che può essere generato sia dalla sovrapposizione normativa, sia dalla condotta della parte, visto che la oggettiva confusione del quadro normativo o fattuale può escludere, almeno in parte la responsabilità, quantitativamente e qualitativamente, della P.A., Cons. Stato, sez. V, 14 febbraio 2020, n. 1181.
[4] Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 12 aprile 2018, n. 2197; sez. VI, 19 marzo 2019, n. 1815; sez. III, 18 giugno 2020, n. 3903; sez. VI, 8 gennaio 2021, n. 287.
[5] Cons. Stato, sez. IV, 18 ottobre 2019, n. 7082; sez. IV, 7 gennaio 2013, n. 23; sez. V, 31 luglio 2012, n. 4337; sez. III, 11 settembre 2019, n. 6138.
[6] Cons. Stato, sez. V, 3 febbraio 2016, n. 408, idem TAR Lazio, Roma, sez. II quater, 25 settembre 2015, n. 11406.
[7] La responsabilità dell’Amministrazione potrà essere affermata nei soli casi in cui l’azione amministrativa ha disatteso, in maniera macroscopica ed evidente, i criteri del buon andamento e dell’imparzialità, restando ogni altra violazione assorbita nel perimetro dell’errore scusabile, Cons. Stato, sez. III; 11 settembre 2019, n. 6138; sez. III, 4 marzo 2019, n. 1500; sez. IV, 31 marzo 2015, n. 1683; sez. IV, 28 luglio 2015, n. 3707.
[8] Cons. Stato, sez. IV, 12 marzo 2010, n. 1467.
[9] Cons. Stato, sez. III, 10 luglio 2014, n. 3526; sez. III, 6 maggio 2013, n. 2452; sez. V, 17 febbraio 2013, n. 798.
[10] Vengono, richiamati gli orientamenti, Cass. civ., sez. Un., 11 novembre 2008, nn. 26972, 26973, 26974, 26975, dove «il danno non patrimoniale derivante dalla lesione di diritti inviolabili della persona, come tali costituzionalmente garantiti, è risarcibile – sulla base di una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c. – anche quando non sussiste un fatto-reato, né ricorre alcuna delle altre ipotesi in cui la legge consente espressamente il ristoro dei pregiudizi non patrimoniali, a tre condizioni: (a) che l’interesse leso – e non il pregiudizio sofferto – abbia rilevanza costituzionale (altrimenti si perverrebbe ad una abrogazione per via interpretativa dell’art. 2059 c.c., giacché qualsiasi danno non patrimoniale, per il fatto stesso di essere tale, e cioè di toccare interessi della persona, sarebbe sempre risarcibile); (b) che la lesione dell’interesse sia grave, nel senso che l’offesa superi una soglia minima di tollerabilità (in quanto il dovere di solidarietà, di cui all’art. 2 Cost., impone a ciascuno di tollerare le minime intrusioni nella propria sfera personale inevitabilmente scaturenti dalla convivenza); (c) che il danno non sia futile, vale a dire che non consista in meri disagi o fastidi, ovvero nella lesione di diritti del tutto immaginari, come quello alla qualità della vita od alla felicità».
[11] Cass. civ., sez. III, 17 gennaio 2018, n. 901.
[12] Cass. civ., sez. Un., 17 febbraio 1995, n. 1712.