La sez. I L’Aquila, del TAR Abruzzo con la sentenza 17 marzo 2022 n. 92, interviene per confermare l’esercizio del potere autoritativo della P.A. prima della stipulazione del contratto, a seguito di gara pubblica (ossia, all’interno della fase pubblicistica), soffermandosi, altresì, sui caratteri del “controllo analogo”.
La questione verteva sull’accertamento dell’illegittimità dell’omessa stipula del contratto da parte della Stazione Appaltante (silenzio rigetto a seguito di diverse sollecitazioni, ai sensi del comma 8, dell’art. 32 del Codice dei Contratti e dell’art. 2 della legge n. 241 del 1990), con richiesta al G.A. di imporre la sottoscrizione (l’obbligo di provvedere), con l’eventuale nomina di un commissario ad acta, nell’ipotesi di perdurante inerzia oltre il termine assegnato.
Pare giusto rammentare che la giurisdizione amministrativa attiene alla fase dell’evidenza pubblica sino al momento della stipulazione, ricomprendendo lo spazio temporale compreso tra l’aggiudicazione e la stipula del contratto, in quanto siamo in presenza dell’esercizio di una potestà amministrativa sottoposto a norme di carattere pubblicistico: una volta stipulato il contratto la controversia passa al G.O. in quanto la posizione giuridica della parte negoziale (dopo la stipula) ha consistenza di diritto soggettivo.
La S.A. (società partecipata interamente da Enti locali) giustificava l’inerzia a seguito di un parere non favorevole espresso dall’Ente di riferimento che esercita il cd. “controllo analogo”[1], dovendo ritenere che tale controllo non possa prescindere dalla presenza di forme di coordinamento dell’agire, anche in presenza di numerosi soci che detengono la maggioranza[2]: nel controllo analogo siamo al cospetto di una «influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni significative della società controllata», ai sensi dell’art. 2, Definizioni, comma 1, lett. c) del d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175, Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica.
Per altri versi, una volta stipulato il contratto qualora la P.A. rinvenga sopravvenute ragioni di inopportunità della prosecuzione del rapporto negoziale, non può utilizzare lo strumento pubblicistico della revoca dell’aggiudicazione ma deve esercitare il diritto potestativo regolato dell’art. 109, Recesso, del d.lgs. n. 50/2016[3], mantenendo la sua declinazione privatistica tipica del rapporto contrattuale a dimensione ontologicamente paritetica, in cui la veste “esterna” dell’Amministrazione si declina come “contraente” e non come “Autorità”, rilevandosi come una facoltà generata all’interno di questo genere di rapporto (alla pari) scandito dal binomio diritto/obbligo e non già riconducibile all’adozione di provvedimento amministrativo autoritativo adottato nell’esercizio di una potestà pubblica[4].
Si deve dedurre che la questione del gravame si incentra sull’accertamento dell’obbligo della intimata Amministrazione di provvedere sulla diffida finalizzata ad ottenere la stipula del contratto, conseguente all’adozione del provvedimento di aggiudicazione in favore della ricorrente: il silenzio va sottoposto al vaglio di legittimità con il connesso atto vincolante non favorevole alla sottoscrizione del contratto, espressione compiuta del cd. controllo analogo.
Il Tribunale analizza la posizione del privato aggiudicatario in ordine alla stipulazione del contratto di appalto, qualificandola come di interesse legittimo, con la conseguenza che l’impresa può esperire l’azione avverso il silenzio, ai sensi degli artt. 31 e 117 c.p.a., al fine di ottenere la declaratoria dell’obbligo di provvedere per la stazione appaltante, conservando sempre la P.A. il potere di non procedere alla stipulazione del contratto a causa di valide e motivate ragioni di interesse pubblico (donde, i poteri autoritativi).
Giova rammentare che, in tema di appalti pubblici, ai fini della giurisdizione devono distinguersi – in relazione alle vicende che trovino collocazione tra l’aggiudicazione (definitiva ed efficace) e la stipula del contratto – tre diverse opzioni ove la P.A.:
- adotti misure intese alla rimozione, in prospettiva di autotutela, degli atti di gara, la relativa giurisdizione, trattandosi di “coda autoritativa” della fase pubblicistica, veicolata a determinazioni di secondo grado, in funzione di revisione o di riesame, spetterà, naturalmente, al G.A.: il privato vanta mere situazioni soggettive di interesse legittimo;
- “receda” dal rapporto negoziale anticipatamente costituito, in presenza di fatti di inadempimento ad attitudine risolutiva od anche in forza della facoltà di unilaterale sottrazione al vincolo, ex 109 del d.lgs. n. 50/2016 e 21 sexies della legge n. 241/1990, la giurisdizione spetterà al giudice del rapporto, ovvero al G.O., essendo indifferente il dato formale della avvenuta stipula del contratto[5];
- si determini – non già per l’inadempimento alle “prestazioni” oggetto di impegno negoziale (ex 1173 e 1218 c.c.), ma per l’inottemperanza ad obblighi di allegazione documentale preordinati, in forza della lex specialis di procedura o di vincolante precetto normativo, alla verifica di correttezza della aggiudicazione – la giurisdizione, trattandosi propriamente di misura decadenziale, che incide, con attitudine rimotiva, sulla efficacia dell’aggiudicazione, legittimando il “rifiuto di stipulare” il contratto, spetterà ancora al giudice amministrativo[6].
Ciò posto, il giudice di prime cure dichiara il ricorso inammissibile, oltre che infondato con le seguenti motivazioni:
- il soggetto resistente è una società sottoposta al “controllo analogo” da parte di un ente regionale, il quale (per legge regionale) lo manifesta «attraverso un parere obbligatorio sugli atti fondamentali del soggetto gestore in house»;
- la Corte di giustizia dell’Unione europea nel cd. “controllo analogo” prevede che l’Autorità pubblica possa influenzare le decisioni sul soggetto sottoposto (il concessionario), ossia di una possibilità di influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti[7];
- tale facoltà di controllo non significa che siano annullati tutti i poteri gestionali dell’affidatario in house, ma che la «possibilità di influenza determinante» è incompatibile con il rispetto dell’autonomia gestionale, senza distinguere tra decisioni importanti e ordinaria amministrazione;
- il condizionamento trova il proprio riscontro nella capacità di vincolare il destinatario, specie «sugli atti fondamentali del soggetto gestore in house».
Dal quadro delineato, la mancata impugnazione nei termini del parere vincolante non favorevole espresso dell’ente di riferimento rende l’inammissibilità il gravame: il cit. parere esprime quell’“influenza determinante” (rectius controllo analogo) sulle scelte gestionali della S.A., precludendo (con effetto immediatamente impugnabile di arresto procedimentale) la sottoscrizione del contratto.
In questo senso, la richiesta di riesame del parere reso, annota il giudice, può inserirsi in una forma “debole” di controllo analogo, in distonia con i principi eurounitari in materia, e comunque idoneo ad interrompere la sequenza procedimentale tesa alla stipulazione del contratto ed a cui pertanto non deve seguire alcuna ulteriore attività amministrativa, nemmeno in autotutela, della stazione appaltante.
Il parere[8], sebbene rientrante tra gli atti endoprocedimentali, di regola non autonomamente impugnabili, esso deve invece costituire oggetto di tempestiva impugnativa allorché sia suscettibile di creare, in danno del destinatario, un arresto procedimentale[9].
In termini più esplicativi, l’atto endoprocedimentale non è autonomamente impugnabile (la lesione della sfera giuridica del soggetto destinatario dello stesso, essendo normalmente imputabile all’atto che conclude il procedimento) incontra un’eccezione nel caso di atti di natura vincolata (pareri o proposte), idonei come tali ad imprimere un indirizzo ineluttabile alla determinazione conclusiva, di atti interlocutori, idonei, altresì, a cagionare un arresto procedimentale capace di frustrare l’aspirazione dell’istante ad un celere soddisfacimento dell’interesse pretensivo prospettato, e di atti soprassessori che, rinviando ad un avvenimento futuro ed incerto nell’an e nel quando il soddisfacimento dell’interesse pretensivo fatto valere dal privato, determinano un arresto a tempo indeterminato del procedimento che lo stesso privato ha attivato a sua istanza: si tratta di atti idonei, come tali, ad imprimere un indirizzo ineludibile alla determinazione conclusiva[10].
Ne consegue che il parere espresso, in sede di controllo analogo, ha una indubbia rilevanza esterna, caratterizzandosi per la sua vincolatività ed obbligatorietà, interrompendo l’iter procedimentale con efficacia lesiva degli interessi della ricorrente, con l’onere di impugnarlo (non averlo impugnato) nei termini di decadenza.
Nel merito, il parere negativo, pur dopo i chiarimenti proposti per superare le criticità, in forza del vincolo derivante dal rapporto di controllo analogo, sotto il profilo normativo costituisce “giusta causa”, ovvero “valida e motivata ragione di interesse pubblico”, ostativa alla stipulazione del contratto: il processo decisionale viene interrotto mediante l’apporto esterno di un controllo stretto ed inibitorio, incidente sulla successiva fase di stipulazione, esprimendo una condizione ostativa alla costituzione del rapporto del vincolo negoziale.
Il controllo analogo operato prima della stipulazione del contratto e dopo l’aggiudicazione postula da una parte, l’affermazione della giurisdizione amministrativa, dall’altra, la posizione del privato non ancora piena (ma di interesse legittimo), confermando di essere all’interno di una fase pubblicistica appartenente alla sequenza procedimentale di carattere discrezionale, manifestazione del pubblico potere con la facoltà di sottrarsi legittimamente all’impegno contrattuale.
(pubblicato, dirittodeiservizipubblici.it, 11 aprile 2022 e segretaricomunalivighenzi.it, 12 aprile 2022)
[1] Sin dal pronunciamento della Corte di Giustizia delle Comunità europee 18 novembre 1999 nella causa C-107/98 Teckal è possibile esercitare il controllo analogo in forma congiunta (sentenza 13 novembre 2008 nella causa C-324/07 Coditel Brabant SA), dotando i soci di appositi strumenti che ne consentano l’interferenza in maniera penetrante nella gestione della società, Cons. Stato, sez. V, 15 dicembre 2020, n. 8028. La nozione si è recentemente estesa, ritenendo non condivisibile una nozione di “controllo analogo” esercitata dall’Ente pubblico sulla società in house, tale da declassare la società di capitali a mera articolazione interna dell’Ente, del tutto priva di autonomia e sottoposta all’identico potere gerarchico esercitato dall’Amministrazione sugli uffici dipendenti. Ad ostare a tale interpretazione il dato letterale della norma che, qualificando il controllo esercitato come “analogo”, non uguale ma semplicemente simile a quello esercitato dall’Ente pubblico sui propri servizi gestiti direttamente: una interpretazione di “controllo analogo” tale per cui la società in house risulti assoggettata ad un potere di direzione gerarchica indistinguibile da quello esercitato dall’Ente pubblico sulle proprie articolazioni interne, appare incompatibile con i principi di autonomia patrimoniale e attribuzione della personalità giuridica che il codice civile riconosce alla società di capitali, Cass. civ., sez. Un., ord. 13 settembre 2018, n. 22410. Vedi, anche, ANAC deliberazione 25 settembre 2019, n. 859, che si sofferma sulla configurabilità del controllo pubblico, anche congiunto, nelle società in house, richiamando la propria delibera n. 1134/2017.
[2] Tale coordinamento non può essere integrato tramite la mera previsione di un comitato consultivo tra i soci pubblici, TAR Marche, Ancona, 6 dicembre 2021, n. 840.
[3] L’esercizio della facoltà di recesso da parte del committente privato (ex art. 1671, c.c.), traslata nell’ambito delle commesse pubbliche e riferita al committente pubblico, non cambia la natura del presupposto alla base del recesso, che si sostanzia, in entrambi i casi, in una rinnovata valutazione di opportunità a cui il legislatore connette la facoltà di sciogliersi unilateralmente dal vincolo contrattuale, Cons. Stato, Ad. Plen., 20 giugno 2014, n. 14.
[4] Cons. Stato, sez. III, 28 marzo 2022, n. 2274. Di contro quando l’attività della Pubblica Amministrazione si presenta espressiva del suo potere di supremazia attraverso atti autoritativi e nelle forme tipiche del procedimento amministrativo, ai fini del riparto di giurisdizione, si dovrà ricorrere al giudice amministrativo, compresi anche gli affidamenti diretti di contratti di lavori, servizi e forniture ad un ente in house, Cons. Stato, sez. I, 30 marzo 2022, n. 1592.
[5] Cons. Stato, sez. V, 2 agosto 2019, n. 5498.
[6] TAR Campania, Napoli, sez. VIII, 14 giugno 2021, n. 4021.
[7] Corte di giustizia UE, sentenza 13 ottobre 2005, in causa C-458/03, Parking Brixen.
[8] I pareri sono atti non provvedimentali, come tali valutativi e strumentali alla emanazione di un determinato provvedimento, con il corollario che non sono direttamente impugnabili, perché come tali insuscettibili di produrre effetti lesivi nelle situazioni giuridiche facenti capo a terzi, fanno eccezione gli atti endoprocedimentali allorquando assumono carattere di immediata lesività, come nel caso di pareri vincolanti negativi, che non lasciano all’interessato alcun dubbio sul contenuto e sull’esito della decisione finale, Cons. Stato, sez. IV, 10 giugno 2013, n. 3184.
[9] In via ordinaria, l’atto endoprocedimentale assume il carattere di atto non immediatamente lesivo delle situazioni giuridiche dei soggetti privati, ma può essere suscettibile di determinare un arresto procedimentale con onere di tempestiva impugnativa, TAR Lazio, Latina, sez. I, sentenza n. 19/2009. Inoltre, nelle gare d’appalto l’onere di immediata impugnazione del bando di gara sorge anche in relazione a clausole che si lamenti essere fonte d’incertezza e di imprevedibili effetti distorsivi sul contenuto dell’offerta, TAR Umbria, Perugia, sez. I, 5 giugno 2018, n. 380.
[10] Cons. Stato, sez. IV, 4 febbraio 2008, n. 296.