La sez. I Bari del TAR Puglia, con la sentenza 30 marzo 2022, n. 460, interviene sulla nullità di un incarico dirigenziale inconferibile, negando la propria giurisdizione devoluta al giudice ordinario.
Nel caso di specie, il RPCT, dopo apposita attività istruttoria e previo contraddittorio con l’interessato[1], dichiarava la nullità dell’incarico dirigenziale, ai sensi dell’art. 17, Nullità degli incarichi conferiti in violazione delle disposizioni del presente decreto, del d.lgs. n. 39/2013, in presenza di un’ipotesi, di cui all’art. 3, comma 1, lett. c), del cit. d.lgs. (si tratta di una tipologia prevista tassativamente in un elenco), che vieta la nomina a dirigente «A coloro che siano stati condannati, anche con sentenza non passata in giudicato, per uno dei reati previsti dal capo I del titolo II del libro secondo del codice penale»[2].Il legislatore ha stabilito ex ante i requisiti di onorabilità e moralità richiesti per ricoprire incarichi dirigenziali e assimilati, fissando al cit. art. 3 del d.lgs. 39/2013 il divieto ad assumere incarichi in caso di sentenza di condanna, anche non definitiva, per reati contro la Pubblica Amministrazione (un fattore di natura oggettiva): la durata della inconferibilità può essere perpetua o temporanea, in relazione all’eventuale sussistenza della pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici e alla tipologia del reato.
La disciplina è governata dal principio di stretta legalità e, dunque, non ne è consentita una interpretazione estensiva o analogica in malam partem, tenuto conto che detta disposizione fa espressamente riferimento a fattispecie mono-soggettive[3].
Quanto agli effetti, le inconferibilità sopra indicate riguardano tutti i tipi di incarico dirigenziale e, quindi, ogni volta in cui si verifichino tutti gli elementi indicati dalla citata disposizione dell’art. 3, l’incarico dirigenziale non può essere conferito o, se già conferito, l’atto di conferimento deve essere dichiarato nullo; diversamente, i divieti dell’art. 35 bis del d.lgs. n. 165/2001 riguardano mansioni specifiche, indipendentemente dal fatto che esse attengano ad un incarico dirigenziale o meno: il dipendente che sia stato condannato, con sentenza non passata in giudicato, per uno dei reati previsti dal capo I del titolo II del libro II del codice penale, incorre nei divieti di cui all’art. 35 bis del d.lgs. n. 165/2001, anche laddove sia cessata la causa di inconferibilità, ai sensi dell’art. 3 del d.lgs. n. 39/2013, fino a quando non sia pronunciata per il medesimo reato sentenza anche non definitiva di proscioglimento[4].
Occorre rammentare che l’ANAC ha uno specifico potere di controllo e di accertamento sulle ipotesi di inconferibilità ed incompatibilità disciplinate dal d.lgs. n. 39/2013 ed, in generale, sulla corretta applicazione della suddetta normativa: l’art. 16, comma 1 del d.lgs. 39/2013 individua nell’ANAC l’Autorità competente a vigilare «sul rispetto, da parte delle amministrazioni pubbliche, degli enti pubblici e degli enti di diritto privato in controllo pubblico, delle disposizioni di cui al presente decreto, anche con l’esercizio di poteri ispettivi e di accertamento di singole fattispecie di conferimento degli incarichi»[5].
Il Tribunale, appurati i dati fattuali, dichiara il ricorso inammissibile per difetto di giurisdizione vertendo la materia degli atti di decadenza non già sull’esercizio di poteri autoritativi discrezionali da parte dell’Amministrazione, ma sull’esercizio di un potere basato sull’accertamento di specifici inadempimenti o di fatti specifici, rispetto ai quali la posizione dell’interessato non è certamente qualificabile come interesse legittimo, quanto piuttosto come un vero e proprio diritto soggettivo alla conservazione dell’incarico.
In effetti, non si tratta di una situazione riferita alla copertura del posto, ovvero attinente alla procedura amministrativa di individuazione del migliore tra i candidati possibili, espressione di poteri pubblicistici e correlata posizione di interesse legittimo da parte degli aspiranti, quanto di accertamento concreto dell’applicazione di norme di legge privo di alcuna discrezionalità amministrativa[6].
Donde, si rileva che nell’ambito del c.d. pubblico impiego privatizzato, una volta esaurita la selezione concorsuale prodromica all’assunzione attraverso l’approvazione della graduatoria finale, si esaurisce l’ambito riservato al procedimento amministrativo e all’attività autoritativa dell’Amministrazione, subentrando una fase in cui i comportamenti di quest’ultima sono riconducibili al potere privatistico del datore di lavoro, da valutarsi conseguentemente alla stregua dei principi civilistici in ordine all’inadempimento delle obbligazioni, tra i quali i canoni generali della correttezza e della buona fede, specie ove siano riferiti all’accertamento dell’assenza di cause di inconferibilità[7].
Inoltre, il G.A. evidenzia l’assimilazione tra gli atti di decadenza e quelli di revoca (od anche conferimento) degli incarichi dirigenziali, per i quali l’Amministrazione non esercita potestà pubblicistiche in posizione di supremazia speciale, ma attua poteri datoriali di gestione paritetica del rapporto di lavoro, rientranti nella giurisdizione del G.O., in quanto per essi non sussiste, ai sensi dell’art. 63 d.lgs. n. 165/2001, la speciale (e residuale) ipotesi di giurisdizione amministrativa[8], con inevitabile giurisdizione in favore di quello ordinario, dinanzi al quale il ricorso andrà riassunto nei termini di legge.
[1] Cfr. ANAC, Determinazione n. 833 del 3 agosto 2016, Linee guida in materia di accertamento delle inconferibilità e delle incompatibilità degli incarichi amministrativi da parte del responsabile della prevenzione della corruzione. Attività di vigilanza e poteri di accertamento dell’A.N.AC. in caso di incarichi inconferibili e incompatibili.
[2] La condanna a tre anni di reclusione, con interdizione temporanea dai pubblici uffici per cinque anni, era riferita al reato di associazione per delinquere di cui all’art. 416 c.p. finalizzato alla commissione di più delitti contro la P.A. e, in particolare, delitti di cui agli artt. 353, 353 bis, 318, 319, 321 c.p.
[3] ANAC, Delibera n. 720 del 27 ottobre 2021. Richiesta di parere in merito alla sussistenza dell’ipotesi di inconferibilità di cui all’art. 3 del d.lgs. 39/2013 di un incarico dirigenziale presso il Comune di omissis ad un soggetto condannato per il reato di associazione per delinquere di cui all’art. 416 c.p. finalizzato alla commissione di più delitti contro la pubblica amministrazione.
[4] ANAC, Delibera n. 1201 del 18 dicembre 2019, Indicazioni per l’applicazione della disciplina delle inconferibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico in caso di condanna per reati contro la pubblica amministrazione – art. 3 d.lgs. n. 39/2013 e art. 35 bis d.lgs. n. 165/2001.
[5] Il potere di ANAC, secondo l’orientamento del Cons. Stato (sentenza n. 126/2018), possiede carattere costitutivo – provvedimentale, escludendo la natura meramente ricognitiva, trattandosi di un potere di accertamento attribuito direttamente dalla legge, sostanziandosi in un provvedimento di accertamento costitutivo di effetti giuridici e come tale impugnabile davanti al giudice amministrativo, potere in cui è compresa la potestà di dichiarare la eventuale nullità dell’incarico, ANAC, 12 giugno 2019, n. 450, Potere accertamento delle ipotesi di inconferibilità ed incompatibilità disciplinate dal d.lgs. 39/2013.
[6] Cass. civ., SS.UU., sentenza n. 1869/2020.
[7] TAR Sardegna, sez. I, 8 settembre 2020, n. 483.
[8] L’art. 63, comma 1, del d.lgs. n. 165 del 2001 ha attribuito alla giurisdizione del giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, tutte le controversie aventi ad oggetto i rapporti di lavoro alle dipendenze delle Pubbliche Amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, dello stesso decreto, ivi comprese quelle relative al conferimento ed alla revoca degli incarichi dirigenziali, e ha contestualmente disposto che il giudice ordinario possa, qualora vengano in questione “atti amministrativi presupposti”, procedere alla disapplicazione degli stessi, se illegittimi. In tale contesto normativo, deve ritenersi che in tema di lavoro pubblico la giurisdizione del giudice ordinario costituisca ormai la regola e quella del giudice amministrativo l’eccezione, Cass. civ., SS.UU., ord. 15 gennaio 2021, n. 618.