La sez. giurisdizionale Piemonte della Corte dei conti, con la sentenza n. 217 del 17 ottobre 2022, interviene per condannare al danno d’immagine il responsabile (in concorso) di operazioni concorsuali (le prove) e di gara (l’ammissione) “pilotate”.
I fatti
Il giudizio di responsabilità amministrativa viene ascritto ad un responsabile (prof.) di un’azienda ospedaliera, a titolo di risarcimento del danno all’immagine, arrecato in relazione ai fatti sfociati in una sentenza di patteggiamento (ex art. 444, Applicazione della pena su richiesta, c.p.p.) divenuta irrevocabile, con la quale è stato condannato alla pena di un anno di reclusione per alcuni reati contro la P.A. (alias sentenza di condanna).
Nello specifico, la Procura espone che, dalla sentenza di patteggiamento, risultava la sussistenza di accordi relativi alla preparazione di alcuni concorsi «per favorire tre candidati anticipando loro i contenuti delle prove che si sarebbero svolte e così violando i doveri di imparzialità… Altrettanto è detto con riguardo ai falsi con cui veniva dapprima attestata la presenza dei requisiti in capo alla … per la partecipazione e l’aggiudicazione dell’appalto, inducendo poi di conseguenza in errore il direttore generale … che approvava con deliberazione … il verbale … e così aggiudicava la gara alla … offerente che avrebbe dovuto essere esclusa dalla gara per mancanza di un allegato».
La natura penale
Si profilava:
- l’abuso d’ufficio (ex 323 c.p.) con riferimento ai concorsi “pilotati”, essendo stati violati i doveri di imparzialità e buon andamento (ex art. 97 Cost.) che debbono governare la Pubblica Amministrazione ed essendosi procurati un profitto in capo al personale assunto ed un ingiusto vantaggio di natura patrimoniale;
- la turbata libertà degli incanti (ex 353 c.p.), posto che le condotte assunte risultano di natura collusive volte a turbare il regolare svolgimento di una gara per l’affidamento di un appalto pubblico, rilevando che il reato di falso costituisce reato-mezzo per la commissione dei reati contro la P.A.
La quantificazione del danno all’immagine
Viene quantificato il danno all’immagine in base ai seguenti parametri:
- la gravità degli illeciti commessi;
- il significativo ruolo ricoperto dall’infedele dipendente pubblico;
- il clamor fori originato dagli articoli di stampa pubblicati in relazione ai fatti oggetto di condanna.
La difesa
La difesa rileva:
- l’insussistenza di un pregiudizio qualificabile come danno all’immagine della P.A., poiché l’interessato non avrebbe percepito alcuna somma di denaro né altre utilità per i fatti oggetto della sentenza di condanna, escludendo l’ipotesi di danno da tangente;
- l’azienda ospedaliera non avrebbe mai lamentato alcun danno e non si sarebbe costituita parte civile nel procedimento penale, anzi avrebbe conferito al « … il titolo di primario emerito … motivando in relazione al costante impegno professionale e ai risultati eccellenti raggiunti», con allegazione probatorie dell’accrescimento dell’attrattività, con aumento del numero delle prestazioni, crescita del fatturato e miglioramento del risparmio di spesa;
- l’inefficacia della sentenza penale pronunciata, ai sensi dell’art. 444 c.p.p., di giudicato nel giudizio di responsabilità amministrativa, in relazione al disposto dell’art. 445 comma 1 bisp.p., potendo solo assumere nei giudizi risarcitori valore probatorio strettamente in ordine ai soli fatti contestati all’imputato, dovendo la gravità dei fatti essere valutata autonomamente (vengono riferite singole giustificazioni in relazione ai capi d’imputazione);
- la quantificazione del danno, mancando i presupposti ed evidenziando (diversamente) i significativi vantaggi conseguiti dall’azienda a seguito dell’attività svolta dal chiamato[1].
Il bene compromesso
La Corte premette che il principio della risarcibilità del danno da lesione del diritto d’immagine della P.A. si verifica allorquando vi sia un’alterazione del prestigio e della personalità della P.A., a seguito di un comportamento tenuto in violazione dell’art. 97 Cost. (bene giuridico leso: il buon andamento), ossia in dispregio delle funzioni e delle responsabilità dei funzionari pubblici[2], con evidenti ricadute sulla credibilità delle istituzioni e dei suoi addetti, «ingenerandosi la convinzione che tale comportamento patologico sia una caratteristica usuale dell’attività dell’Ente pubblico».
Il danno all’immagine
Ciò posto, il Giudice erariale passa ad analizzare il danno all’immagine:
- avente natura prevalentemente risarcitoria – recuperatoria, propria della responsabilità amministrativa, «trattandosi della lesione di un interesse appartenente alla P.A. e meritevole di tutela anche sotto l’aspetto patrimoniale»[3];
- riconducibile, nell’ambito dell’evoluzione giurisprudenziale, alla categoria del danno non patrimoniale[4];
- da provare nella sua effettiva sussistenza, rilevando, tuttavia, che non è necessaria la dimostrazione della spesa sostenuta per il ripristino dell’immagine violata né la verificazione di una deminutio patrimonii della P.A. danneggiata, in quanto «la risarcibilità di un simile pregiudizio non può rapportarsi, per la sua intrinseca lesione… al ristoro della spesa che abbia inciso sul bilancio dell’Ente, ma deve essere vista come lesione ideale, con valore da determinarsi secondo l’apprezzamento del Giudice, ai sensi dell’articolo 1226 c.c.»[5];
- opera su un duplice piano: all’esterno, per la diminuita considerazione nell’opinione pubblica o in quei settori in cui l’Amministrazione danneggiata principalmente opera, e all’interno, per l’incidenza negativa sull’agire delle persone fisiche che compongono i propri organi;
- non è neppure indispensabile la presenza del c.d. clamor fori, ovvero la divulgazione della notizia del fatto a mezzo della stampa o di un pubblico dibattimento, potendo questo essere rappresentato anche dalla divulgazione all’interno dell’Amministrazione e dal coinvolgimento di soggetti ad essa estranei, senza alcuna diffusione nei mass media[6].
Merito
La Corte, dopo aver inquadrato l’azione processuale e la disciplina applicabile, in relazione ai fatti della sentenza penale irrevocabile contro la Pubblica Amministrazione (in relazione all’abuso d’ufficio e turbata libertà degli incanti, posti in essere anche tramite il reato di falso, ex art. 479 c.p., in concorso con altri soggetti e anche con reato continuato), rileva che la sentenza che accoglie la richiesta di patteggiamento contiene in sé un accertamento implicito della responsabilità dell’imputato, posto che il Giudice, che può accogliere o rifiutare tale richiesta, ha comunque l’obbligo preventivo di escludere di essere in presenza di un’ipotesi di proscioglimento[7].
Inoltre, la sentenza di patteggiamento, pur non essendo oggetto di statuizione assistita dall’efficacia del giudicato, ben può essere utilizzato dal Giudice per sostenere la colpevolezza, in altro giudizio, laddove la parte convenuta non sia stata in grado di dedurre elementi univoci ed inoppugnabili a propria discolpa[8].
Dal quadro probatorio formatosi in sede penale (tra cui numerose intercettazioni telefoniche ed interrogatori) ed acquisito agli atti del giudizio, la difesa non ha dato elementi per una diversa lettura idonea a smentire la tenuta del quadro complessivo accusatorio penale, con inevitabile incidenza sul danno all’immagine dovuto alla condotta illecita di colui che ha agito (con un rapporto di servizio) all’interno della P.A., specie ove ricopra posizioni apicali e significative: elementi tutti rilevanti ai fini della configurabilità e della gravità del danno all’immagine e la sua configurabilità dell’elemento soggettivo della responsabilità amministrativa, in correlazione al dolo dei profili penali rilevati.
Viene, in definitiva, appurato il danno all’immagine (ex art. 1226, Valutazione equitativa del danno, c.c.):
- in relazione alla gravità dei fatti commessi;
- alla rilevanza della posizione apicale del convenuto;
- alla diffusione (nell’ambiente sociale di riferimento e con la stampa) dell’immagine negativa pubblica;
- alla continuazione dei reati;
- tenuto conto del concorso di altri soggetti nelle condotte delittuose, riducendo il danno proposto da euro 250.000,00 a euro 100.000,00, oltre interessi legali dal deposito della sentenza sino al saldo effettivo.
[1] Vedi, LUCCA, Condotte corruttive e tipologie di danno erariale, dirittodeiservizipubblici.it, 21 ottobre 2022.
[2] Corte Cost., sentenza n. 355/2010.
[3] Cfr. Corte dei conti, sez. II App., sentenza n. 178/2020 e sez. giur. Veneto, sentenza n. 65/2020; Corte Cost., sentenza n. 61/2020.
[4] Cfr. Corte dei conti, SS.RR., sentenza n. 10/2003 e Cass. civ., SS.UU., sentenza n. 12920/2007.
[5] Corte dei conti, SS.RR., n. 10/QM/2003.
[6] Cfr. Corte dei conti, sez. II App., sentenze nn. 183/2020, 178/2020, 271/2017, 662/2011.
[7] Cfr. Corte dei conti, sez. I App., sentenza n. 353/2018.
[8] Corte dei conti, sez. giurisdiz. Piemonte, sentenza n. 216/2021 e nn. 228/2021 e 1/2018.