La sez. I Roma del TAR Lazio, con la sentenza 15 novembre 2022, n. 14981, chiarisce i contorni del silenzio dell’Amministrazione, dove allo stesso non necessariamente si possa attribuire un inadempimento dall’esercizio del potere amministrativo, quando manca il destinatario.
Fatti
Si ricorre (da parte di due associazioni) avverso il silenzio asseritamente ritenuto illegittimo (inadempimento), a seguito di diffida, volto ad ottenere l’emanazione di un provvedimento (da parte del Ministero della giustizia) finalizzato alla determinazione dei parametri per la liquidazione, da parte di un organo giurisdizionale, dei compensi per la professione giornalistica, ai sensi dell’articolo 9, Disposizioni sulle professioni regolamentate, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, nonché per l’accertamento dell’obbligo di provvedere.
Natura del silenzio inadempimento
Il Tribunale dichiara il ricorso infondato, richiamandosi ai precedenti[1]:
- l’istituto del silenzio inadempimento non si applica allorquando si sia in presenza di atti a contenuto generale, rimessi alla scelta discrezionale dell’Amministrazione e rispetto alla quale non è configurabile un interesse qualificato del privato tale da poter rivendicare l’esistenza di un ‘obbligo’ per l’Amministrazione di procedere all’adozione di atti a contenuto regolamentare;
- in ordine agli atti regolamentari è esclusa l’ammissibilità dello speciale rimedio processuale avverso il silenzio inadempimento della PA, ciò in quanto tale rimedio va strettamente circoscritto alla sola attività amministrativa di natura provvedimentale, ossia finalizzata all’adozione di atti destinati a produrre effetti nei confronti di specifici destinatari.
In effetti, con riguardo alla questione dell’ammissibilità dello speciale rito sul silenzio in relazione all’adozione di atti amministrativi generali l’orientamento prevalente in giurisprudenza è negativo, argomentandosi in particolare dalla impossibilità di individuare specifici “destinatari” degli atti in questione in capo ai quali possa radicarsi una posizione giuridica qualificata e differenziata, definibile come di interesse legittimo[2].
In sostanza, l’azione avverso il silenzio è impraticabile solo laddove manchi uno specifico e individuato destinatario dell’azione amministrativa, con specifico riferimento agli atti normativi che, per la loro generalità e astrattezza vedono quali loro destinatari la collettività, ovvero, categorie di soggetti genericamente e astrattamente determinate[3].
Il Tribunale, in linea con quanto segnalato dalla difesa, aggiunge, altresì, sul merito della richiesta che non si possa ammettere un vuoto normativo, posto che i parametri di liquidazione possono essere desunti – in via analogica – sulla scorta del richiamo contenuto nell’art. 40, Altre professioni, del decreto del Ministro della giustizia del 20 luglio 2012, n 140.
Va annotato, inoltre, che nei giudizi proposti avverso il silenzio della PA è di norma precluso al Giudice Amministrativo di accertare la fondatezza della pretesa fatta valere dall’istante, sostituendosi in tal modo all’Amministrazione, esercitando una giurisdizione di merito di cui egli non è titolare in materia: può, infatti, dichiarare l’accoglibilità dell’istanza solo nei casi di manifesta fondatezza, quando cioè sono richiesti provvedimenti amministrativi dovuti o vincolati per i quali non c’è da compiere alcuna scelta discrezionale che potrebbe sfociare in diverse soluzioni[4].
Alla luce delle considerazioni esegetiche che precedono, si può lecitamente affermare che è inconfigurabile «il silenzio inadempimento in relazione ad un atto, quale il chiesto decreto ministeriale, a fronte del quale non siano in alcun modo ravvisabili posizioni di interesse legittimo».
L’obbligo di provvedere
Di converso, affinché si possa configurare il silenzio inadempimento, contestabile ai sensi del combinato disposto degli artt. 2 della legge n. 241/1990, 31 e 117 c.p.a., occorre, infatti, che sussista un obbligo di provvedere e che, decorso il termine di conclusione del procedimento, non sia stato assunto alcun provvedimento espresso, avendo tenuto l’Amministrazione procedente una condotta inerte.
Invero, anche rispetto ad atti generali, possano essere individuati interessi legittimi differenziati e qualificati, in particolare nelle ipotesi di procedimenti officiosi aventi ad oggetto attività di natura generale programmatoria e pianificatoria dovuta nell’an ma discrezionale nel quomodo e nel quid[5], rimarcando che, in mancanza di una puntuale previsione normativa, l’Amministrazione non può sospendere o interrompere sine die il procedimento di approvazione[6].
Dunque, ogniqualvolta la realizzazione della pretesa sostanziale vantata dal privato dipenda dall’intermediazione del pubblico potere, l’Amministrazione, in particolare, è tenuta ad assumere una decisione espressa, anche qualora si faccia questione di procedimenti ad istanza di parte e l’organo procedente ravvisi ragioni ostative alla valutazione, nel merito, della relativa domanda: l’attuale formulazione dell’art. 2 della legge n. 241/1990, pure in caso di «manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità … della domanda», imporrebbe l’adozione di un provvedimento espresso, consentendosi in tali ipotesi soltanto una sua redazione in forma semplificata, ma non giustificandosi una condotta meramente inerte[7].
(pubblicato, lentepubblica.it, 23 novembre 2022)
[1] Cons. Stato, sez. V, 9 marzo 2015, n. 1182 e sez. IV, 22 giugno 2011, n. 3798.
[2] Cons. Stato, sez. IV, 17 dicembre 2018, n. 7090; sez. IV, 27 dicembre 2017, n. 6096; sez. IV, 7 luglio 2009, n. 4351.
[3] Cons. Stato, sez. IV, 23 novembre 2020, n. 7316.
[4] Cons. Stato, sez. V, 4 agosto 2014, n. 4143.
[5] Cons. Stato, sez. V, 22 gennaio 2015, n. 273, nonché, da ultimo Cons. giust. amm., sentenza n. 905 del 2020.
[6] Cons. Stato, sez. V, 2 aprile 2020, n. 2212.
[7] Cons. Stato, sez. VI, 1° aprile 2022, n. 2420.