La sez. II Napoli del TAR Campania, con la sentenza 7 dicembre 2022 n. 7631 (estensore Maddalena), interviene nel riaffermare i limiti dell’obbligo di provvedere, in presenza di richieste reiterate dove il potere di riesame – in chiave di autotutela – risulta nella disponibilità dell’Amministrazione nell’esercizio di un potere ampiamente discrezionale[1].
Simili e non dissimili considerazioni possono coincidere quando il privato richieda al Responsabile del procedimento di (re)verificare il proprio operato, o del suo sostituto, nel significato di accertare la correttezza/regolarità del procedimento (già) istruito fino al subentro di nuovo responsabile.
L’autotutela
Giova rammentare che i provvedimenti di autotutela sono manifestazione dell’esercizio di un potere tipicamente discrezionale che l’Amministrazione non ha alcun obbligo di attivare[2] e, qualora intenda farlo, deve valutare la sussistenza o meno di un interesse che lo giustifichi, valutazione della quale essa sola è titolare e che non può ritenersi dovuta nel caso di una situazione già definita con provvedimento inoppugnabile: di fronte ad un provvedimento inoppugnabile, o nel caso in cui l’Amministrazione si sia già espressa, a fronte di una nuova richiesta (anche di riesame) del privato tesa a sollecitare l’esercizio del potere da parte dell’Amministrazione, quest’ultima non ha alcun obbligo di rispondere[3].
Di converso, è escluso che la procedura per la constatazione del silenzio (rifiuto) possa essere utilizzata per ottenere la riapertura di procedimenti già definiti in sede amministrativa, ovvero per rimettere in discussione provvedimenti ormai divenuti inoppugnabili[4].
Più in generale, la giurisprudenza ha precisato che la richiesta avanzata dai privati nei confronti dell’Amministrazione al fine di ottenerne un intervento in autotutela è da considerarsi «una mera denuncia, con funzione sollecitatoria, che non fa sorgere in capo all’Amministrazione alcun obbligo di provvedere»[5]: i provvedimenti di autotutela sono manifestazione dell’esercizio di un potere tipicamente discrezionale dell’Amministrazione che non ha alcun obbligo di attivarlo e, qualora intenda farlo, deve valutare la sussistenza o meno di un interesse che giustifichi la rimozione dell’atto, valutazione della quale essa sola è titolare[6].
Fatti
Il privato ricorre avverso il (presunto) silenzio-inadempimento formatosi sulla richiesta di intervento ed esercizio del potere/dovere di vigilanza e controllo, nonché di sanzione per immissioni moleste da parte del vicino (ai sensi della legge n. 447/1994, Legge quadro sull’inquinamento acustico), trasmessa al protocollo comunale, essendo inutilmente decorso il termine di trenta giorni, nonché ex art. 117, comma 3, c.p.a. per la nomina di un commissario ad acta in caso di ulteriore inerzia.
Dai rilievi effettuati sulle immissioni risultavano superati i limiti del Piano di Zonizzazione Acustica, donde la richiesta di misure da parte dell’Amministrazione idonee a garantire il rispetto della normativa in materia di inquinamento acustico.
Il Comune resistente riferisce di aver già effettuato un intervento nei confronti dei responsabili; atto adottato in via precauzionale, disponendo l’adozione di insonorizzazioni e la predisposizione di accorgimenti tecnici, onde contingentare la rumorosità entro il limite della normale tolleranza: provvedimento eseguito e accertato dal Comando della Polizia locale dal quale emergeva «l’assenza del carattere di specialità nel settore della rumorosità, da porre a base di eventuale consequenziale attività provvedimentale», avendo comunque realizzato l’insonorizzazione e quanto richiesto dalla PA.
Merito
Il Tribunale dichiara il ricorso inammissibile.
Emerge dai dati probatori che l’Amministrazione ha provveduto a dare riscontro alle richieste del privato, esercitando il proprio potere e il privato ha provveduto ad adempiere; sicché le ulteriori richieste hanno ad oggetto le medesime circostanze di fatto (senza alcun elemento di novità).
In presenza della reiterazione di una medesima istanza non sussiste pertanto alcun ulteriore obbligo di provvedere, «dovendosi configurare la reiterazione della richiesta di un intervento come una richiesta di esercizio di autotutela, la quale, come è noto, si esercita discrezionalmente d’ufficio, essendo rimesso alla più ampia valutazione di merito dell’Amministrazione, e, pertanto, sulle eventuali istanze di parte, aventi valore di mera sollecitazione, non vi è alcun obbligo giuridico di provvedere»[7].
La reiterazione e l’obbligo di provvedere
Si comprende che a fronte dell’esercizio del potere di autotutela, ovvero di verifica delle misure adottate, ovvero di controllo dell’attività e del potere già esercitato (anche in sede di controlli, ad esempio in materia urbanistica/edilizia), ossia in presenza di una reiterata richiesta dal medesimo contenuto, l’obbligo di provvedere rivolto all’Amministrazione non è coercibile, nel senso che rimane affidato alla stessa, senza possibilità per il GA di sostituirsi o di accertare (dichiarare) il silenzio – inadempimento.
Quando l’Amministrazione, o il Responsabile del procedimento, ha effettuato il dovuto riscontro, ovvero l’attività di controllo e verifica di una segnalazione (si pensi ad esempio agli abusi edilizi), ossia l’istruttoria, anche attraverso l’adozione di un apposito provvedimento, in presenza di discrezionalità amministrativa pura il sindacato del giudice amministrativo è di tipo estrinseco e deve arrestarsi non solo dinanzi alle scelte equivalenti, ma anche dinanzi a quelle meno attendibili, purché non irragionevoli[8].
In presenza di una reiterata richiesta sulla medesima questione, l’eventuale ulteriore istruttoria di un procedimento già concluso, ove il potere risulta esercitato, rimane incensurabile: nessuna inerzia può essere imputata alla PA.
Dal quadro descrittivo, il “silenzio-inadempimento” riguarda le sole ipotesi in cui, di fronte alla formale richiesta di un provvedimento da parte di un privato, costituente atto iniziale di una procedura amministrativa normativamente prevista per l’emanazione di una determinazione autoritativa su istanza di parte, da far rientrare le segnalazioni di impulso di un’attività di controllo o ispettiva, l’Amministrazione, titolare della relativa competenza, omette di provvedere entro i termini stabiliti dalla legge.
Di converso, quando l’Amministrazione ha provveduto, come nel caso di specie, il silenzio a fronte di una ripetizione della richiesta di uguale contenuto, la condotta non può assumere il valore di silenzio-inadempimento (o rifiuto) non sussistendo un obbligo giuridico di provvedere, cioè di esercitare una pubblica funzione attribuita normativamente alla competenza dell’organo amministrativo destinatario della richiesta, attivando un procedimento amministrativo in funzione dell’adozione di un atto tipizzato nella sfera autoritativa del diritto pubblico, rimanendo una mera facoltà che rientra nella piena discrezionalità amministrativa.
Il presupposto per l’azione avverso il silenzio è l’esistenza di uno specifico obbligo (e non di una generica facoltà o di una mera potestà) in capo all’Amministrazione di adottare un provvedimento amministrativo esplicito, volto ad incidere, positivamente o negativamente, sulla posizione giuridica e differenziata del ricorrente[9].
L’obbligo di provvedere, dunque, esige sia l’esistenza di uno specifico obbligo di provvedere in capo all’Amministrazione, sia la natura provvedimentale dell’attività oggetto della sollecitazione: il rito previsto dagli artt. 31 e 117 del codice del processo amministrativo rappresenta, infatti, sul piano processuale lo strumento rimediale per la violazione della regola dell’obbligo di agire in via provvedimentale sancita dall’art. 2 della legge n. 241 del 1990[10].
Da questo percorso esegetico e interpretativo, in presenza di un atto di riscontro, ovvero in presenza di un’attività espletata (si pensa ad una sanatoria di un abuso segnalato, ovvero al subentro di un nuovo responsabile del procedimento), l’Amministrazione è libera di procedere ad un’ulteriore facere quando ha già concluso l’attività ad istanza di parte (rectus soddisfatto la richiesta originaria)[11] e, dunque, non si può affermare alcun genere di inerzia e neppure che il segnalante possa vantare alcun diritto di riscontro, avendo già esaurito (la PA) l’attività istruttoria (cioè l’obbligo di agire sulla pretesa), da ricomprendere, quindi, le attività del procedimento già affrontate[12].
(pubblicato, lentepubblica.it, 14 dicembre 2022)
[1] È noto che l’“autotutela decisoria” consiste «nel potere di riesaminare i propri atti e/o gli effetti prodotti dai medesimi, sul piano della legittimità e/o dell’opportunità, al fine di confermarli, modificarli, revocarli od annullarli», DURANTE, L’autotutela doverosa, giustizia-amministrativa.it, 2022. Il potere di autotutela decisoria è, invero, un potere amministrativo di secondo grado, che si esercita su un precedente provvedimento amministrativo, vale a dire su una manifestazione di volontà già responsabilmente espressa dall’Amministrazione e in sé costitutiva di affidamenti nei destinatari e che, in base all’art. 21 nonies della legge n. 241/1990, per esigenze di sicurezza giuridica e certezza dei rapporti immanenti all’ordinamento, deve essere inderogabilmente esercitato entro un termine ragionevole e, comunque, entro diciotto mesi «dal momento dell’adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici», Cons. Stato, sez. VI, 15 marzo 2021, n. 2207.
[2] Non v’è dubbio che la scelta di agire in autotutela è rimessa alla discrezionalità dell’Amministrazione e non costituisce atto dovuto: non è imposto all’Amministrazione, ad esempio, la revoca in autotutela dell’aggiudicazione anche per fatto imputabile all’aggiudicatario, TAR Lazio, Latina, sez. I, 4 novembre 2021, n. 599.
[3] Cons. Stato, sez. VI, 18 aprile 2013, n. 2141. Vedi, LUCCA, Sollecito di autotutela in ambito edilizio, mauriziolucca.com, 26 maggio 2022, a commento alla sentenza 25 maggio 2020, n. 3277, della sez. VI del Consiglio di Stato, ove si conferma un orientamento consolidato sull’insussistenza di un dovere generalizzato dell’Amministrazione di provvedere sulle istanze di autotutela, anche in campo edilizio, rilevando che il ricorso all’autotutela (mediante annullamento d’ufficio) può avvenire solamente ricorrendo alle condizioni di cui all’art. 21 nonies della legge n. 241/1990, ovvero sussistendo le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati.
[4] Cons. Stato, sez. IV, 20 novembre 2000, n. 6181; 6 ottobre 2001, n. 5307; 9 agosto 2005, n. 4227.
[5] Cons. Stat, sez. VI, sentenze n. 2774/2012 e n. 767/2013.
[6] Cons. Stato, sez. VI, 21 aprile 2020, n. 2540.
[7] Cons. Stato, sez. III, 30 agosto 2022, n. 7561.
[8] Cfr. Cons. Stato, sez. III, 29 maggio 2017, n. 2539.
[9] Cons. Stato, sez. V, 31 luglio 2019, n. 5417; sez. IV, 22 luglio 2019, n. 5125 e 3 novembre 2015, n. 5015.
[10] Cons. Stato, sez. III, 1° luglio 2020, n. 4204.
[11] L’inerzia dell’Amministrazione può integrare la fattispecie del silenzio-inadempimento solo qualora sussista l’obbligo di provvedere, il quale, nondimeno, manca laddove l’istanza del privato sia volta a sollecitare il riesame di un atto divenuto inoppugnabile, Cons. Stato, sez. VI, sentenza n. 4504/2005.
[12] Cfr. TAR Umbria, sez. I, 7 dicembre 2020, n. 577, dove si chiarisce che la mera reiterazione di una richiesta ad esempio di accesso agli atti già rigettata dalla destinataria, che non sia basata su elementi nuovi rispetto alla richiesta originaria o su una diversa prospettazione dell’interesse a base della posizione legittimante l’accesso, non vincola l’Amministrazione ad un riesame della stessa e rende legittimo e non autonomamente impugnabile il provvedimento meramente confermativo del precedente rigetto.