Il nuovo Codice dei contratti pubblici (ex d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36) indica tra le chiavi di lettura (ex art. 4, Criterio interpretativo e applicativo) il «principio della fiducia», canonizzato all’art. 2, secondo il quale al primo comma si enuncia, in modo scultoreo, che «l’attribuzione e l’esercizio del potere nel settore dei contratti pubblici si fonda sul principio della reciproca fiducia nell’azione legittima, trasparente e corretta dell’amministrazione, dei suoi funzionari e degli operatori economici»: un sistema normativo che nell’etica pubblica (ex art. 54 Cost.) assegna agli operatori del diritto (istituzioni e suoi rappresentanti) e all’impresa (quell’iniziativa economica privata libera, ex art. 41 Cost.) un compito di reciproca parità e lealtà.
I principi del nuovo Codice
Da una parte, l’esercizio del potere amministrativo (la c.d. discrezionalità) con un “senso” (proiettato a) di autoresponsabilità e piena libertà di scelta del metodo di programmazione/progettazione e gara (c.d. semplificazione e accelerazione, in parte anticipata dalla disciplina speciale/derogatoria del PNRR) nel raggiungimento del risultato (ex art. 1 del Codice, ovvero, l’individuazione del contraente e l’esecuzione del contenuto negoziale, ossia, l’oggetto contrattuale in concorrenza e nel mercato, ex art. 3, Principio dell’accesso al mercato, in adesione diretta con l’art. 97 Cost. e la “trasparenza”, secondo la nozione di accountability), dall’altra parte, eliminare la cultura del sospetto nei confronti dell’operatore economico, il quale nell’evidente interesse (secondario rispetto a quello primario in capo alla PA) di perseguire l’utile d’impresa, persegue anche il fine pubblico nella realizzazione del contenuto negoziale, garantendo la qualità della prestazione, secondo i documenti di gara.
Nei successivi commi, l’art. 2, per contrastare la c.d. burocrazia difensiva (dai più sintetizzata, con una triste espressione, “paura della firma”) e incentivare il raggiungimento dello scopo finale del ciclo di vita dell’appalto «il principio della fiducia favorisce e valorizza l’iniziativa e l’autonomia decisionale dei funzionari pubblici, con particolare riferimento alle valutazioni e alle scelte per l’acquisizione e l’esecuzione delle prestazioni secondo il principio del risultato», dove il “tempo”, sia le fasi di gara che l’esecuzione contrattuale, deve sempre essere certo (la digitalizzazione dovrebbe aiutare).
I commi successivi (tre e quattro), esaltano il ruolo del RUP (responsabile unico di progetto) ponendo al centro l’attività istruttoria e di gestione dell’appalto («fasi di programmazione, progettazione, affidamento ed esecuzione dei contratti»), dove la formazione è ausiliaria alla professionalità del pubblico funzionario e le «regole di prudenza, perizia e diligenza e l’omissione delle cautele, verifiche ed informazioni preventive normalmente richieste nell’attività amministrativa» costituiscono l’humus esigibile, rientrando in quella “competenza” che deve (dovrebbe) possedere chi intende affrontare un lavoro al servizio della collettività (ex art. 98 Cost.), parametro invocato dall’art. 1 e 21 del d.lgs. n. 165/2001 (TUPI) per il raggiungimento degli obiettivi dell’indirizzo politico – amministrativo e l’attribuzione delle responsabilità e dall’art. 3 del DPR n. 62/2013 sui doveri di condotta, anche alla luce delle norme codicistiche degli artt. 2104, Diligenza del prestatore di lavoro, e 2105, Obbligo di fedeltà[1].
In effetti, senza volersi richiamare all’aspetto penalistico, ma alla “colpa grave” (aspetto affrontato dalla norma del cit. art. 2 del Codice, si concentra sulla sua determinazione, indicando una misura per la sua valutazione), si rileva che questa si fonda propriamente sul vulnus che potrebbero subire le Amministrazioni appaltanti tutte le volte in cui i soggetti preposti a curarne gli interessi (rectius i dipendenti, ossia i RUP), anziché garantire una negoziazione basata su un’effettiva ricerca delle migliori condizioni di mercato, nel rispetto dei principi di parità di trattamento, di non discriminazione, di proporzionalità e di trasparenza, finiscono, invece, per favorire l’aggiudicazione della gara con procedimenti elusivi quanto illegittimi, così da impedire all’ente pubblico di fruire dei prezzi più convenienti nel segmento di mercato in cui l’appalto si colloca[2].
Ne consegue che tale “modo” (modus operandi) incongruo di affrontare il lavoro pubblico genera una responsabilità erariale che può validamente anteporsi all’evidente mancanza di diligenza e prudenza (peraltro, una della quattro virtù cardinali)[3], fonte possibile anche del danno all’immagine risarcibile – in concreto – con riferimento alla gravità della condotta, alla qualifica rivestita dall’autore del danno (livello gerarchico o qualifica), alla rilevanza nel settore di servizio delle istanze di legalità e di correttezza dell’agire dei dipendenti pubblici ed, infine, anche al c.d. clamor fori, i quali sono tutti utilizzabili per la stima delle somme necessarie a risarcire il danno e che conducono ugualmente a prospettare l’entità del danno all’immagine (quell’aspettativa di legalità) in una componente economica che confluisce nel valore risarcibile[4].
Si comprende che il “principio della fiducia” intende risolvere più aspetti ritenuti un impedimento all’esercizio dell’azione amministrativa, come meglio espressa nell’art. 1 della legge n. 241/1990 (nel comma 2 bis, I rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione sono improntati ai princìpi della collaborazione e della buona fede)[5], consentendo al RUP di agire senza timore nella volontà del legislatore emergenziale (quello degli investimenti post pandemia e ante guerra) di assicurare il “risultato” per il “bene” del Paese, generando “valore pubblico” dalla fiducia dell’ordinamento giuridico riposta sulle scelte compiute dalla PA, con l’affidamento ex lege del potere discrezionale (c.d. discrezionalità tecnica)[6]: un binomio fiducia – (aspettativa del) risultato.
Aspetti interpretativi concreti
Le sez. Unite Bari del TAR Puglia, con l’ordinanza 8 settembre 2023, n. 366, interviene per declinare il principio di fiducia sospendendo (in attesa della discussione sul merito) l’esclusione di un operatore economico per la mancata compilazione della domanda secondo le modalità “raccomandate” della Stazione appaltante.
Si ha modo di leggere che l’inosservanza di un’indicazione che non assume la forma cogente di condizione di partecipazione non può assimilarsi ad una clausola di esclusione, causa che il nuovo Codice ha codificato in modo puntuale.
Infatti, non può integrare una causa di esclusione dalla procedura competitiva, giacché la “fiducia” esige chiarezza e proporzionalità, correttezza nei rapporti di reciprocità, prima di operare l’espulsione (la massima sanzione), essendo in presenza sia:
- della violazione del principio di tassatività delle cause di esclusione, consacrato dall’art. 10, Principi di tassatività delle cause di esclusione e di massima partecipazione, del d.lgs. n. 36/2023;
- in virtù delle regole di collaborazione e buona fede nei rapporti tra cittadino e Pubblica Amministrazione, di cui all’art. 1, comma 2 bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, che avrebbero «dovuto suggerire una richiesta di chiarimenti da parte della stazione appaltante», ovvero il c.d. soccorso istruttorio, anticipando (forse, più probabile che non) l’esito del giudizio;
- stesse considerazioni, anche per la mancata indicazione delle quote di lavorazione che ognuna delle consorziate si impegna ad eseguire che non rileva ai fini dell’esclusione dalla procedura competitiva attesa l’autonomia giuridica del consorzio stabile e la regola, di cui all’art. 47 del d.lgs. 50/2016, in forza della quale il consorzio assume l’obbligo di eseguire le prestazioni che formano oggetto dell’appalto con la propria struttura.
Soccorso istruttorio e clausole di esclusione
Si può aggiungere che il “principio di fiducia” risulta coerente con l’istituto del “soccorso istruttorio” obbedendo, per vocazione generale (ex art. 6 della legge n. 241/1990), ad una regola che guida l’azione dei soggetti pubblici ed equiparati, dove alle procedure di evidenza pubblica, esso si fa carico di evitare, nei limiti del possibile, che le rigorose formalità, che accompagnano la partecipazione alla gara, prevaricano la sostanza, e, in definitiva, del “risultato” dell’attività amministrativa.
L’insieme porta a ritenere, in tale prospettiva, che la “regola” traduce operativamente un canone di “leale cooperazione” e di “reciproco affidamento” tra le stazioni appaltanti o gli enti concedenti e gli operatori economici, riconosciuta ed accresciuta nella sua centralità di “principio ispiratore” nel nuovo Codice dei contratti pubblici: «il quale, per un verso, vi dedica (a differenza del Codice previgente… che lo disciplinava, in guisa alquanto incongrua, a margine dei criteri di selezione delle offerte: cfr. art. 83, comma 9 d. lgs. n. 50/2016) una autonoma e più articolata disposizione (art. 101) e, per altro verso, ne amplifica l’ambito, la portata e le funzioni, superando, altresì, talune incertezze diffusamente maturate nella prassi operativa»[7].
Il principio di fiducia porta a delineare in modo puntuale le clausole di esclusione e il connesso soccorso istruttorio (integrativo o completivo, comma 1, lettera a), dell’art. 101 d.lgs. n. 36 cit.; sanante, comma 1, lettera b); istruttorio, in senso stretto, comma 3); correttivo, comma 4), ampliandone la portata, e di converso, viene annotato, marcando «un possibile conflitto con il canone di autoresponsabilità (che in generale sollecita gli operatori economici, in virtù della postulata qualificazione professionale e del correlativo dovere di diligenza, al pieno e puntuale rispetto delle formalità procedimentali, evitando gli aggravi imposti dalla rimessione in termini: per i quali ben potrebbe prospettarsi, anche alla luce del criterio di buona fede, un forma di immeritevole abuso)»[8].
In ogni caso, anche nel nuovo Codice, deve affermarsi la non soccorribilità (sia in funzione integrativa, sia in funzione sanante) degli elementi integranti, anche documentalmente, del contenuto dell’offerta (tecnica od economica): ciò si porrebbe in contrasto con il superiore principio di parità dei concorrenti, ledendo la concorrenza, rimanendo ampiamente sanabili le carenze (per omissione e/o per irregolarità) della documentazione c.d. amministrativa[9].
[1] Doveri a carico del lavoratore subordinato che sono interpretati in modo più ampio rispetto alla disciplina, dovendo integrarsi con gli arti. 1175, Comportamento secondo correttezza, e 1375, Esecuzione di buona fede, cod. civ., che impongono correttezza e buona fede anche nei comportamenti extralavorativi, necessariamente tali da non danneggiare il datore di lavoro, Tribunale Trieste, sez. lavoro, sent., 29 marzo 2023.
[2] Corte conti, sez. giur. Toscana, 8 settembre 2023, n. 278.
[3] Va anche detto che la prova del “danno alla concorrenza” deve essere dimostrato, non potendosi considerare esistente in re ipsa sulla scorta della mera inosservanza delle regole sull’evidenza pubblica, Corte conti, sez. II d’appello, sentenza n. 1081/2015; sez. I d’appello, sentenza n. 263/2016; sez. II d’appello, sentenza n. 99/2019.
[4] Corte conti, sez. giur. Lombardia, sentenza n. 117/2019.
[5] I principi di collaborazione e buona fede esprimono un criterio cui devono improntarsi i rapporti tra cittadino e Amministrazione, il quale, impone a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio di agire nell’ottica di un bilanciamento degli interessi vicendevoli, a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali o di norme specifiche, Cons. Stato, sez. II, 19 maggio 2023, n. 5007.
[6] Vedi, sui confini della discrezionalità tecnica, TAR Campania, Napoli, sez. I, 7 settembre 2023, n. 5001.
[7] Cons. Stato, sez. V, 21 agosto 2023, n. 7870.
[8] Cons. Stato, sez. V, 21 agosto 2023, n. 7870.
[9] In questo senso, si ritiene che le clausole della lex specialis vanno interpretate con lo scopo di consentire la più ampia partecipazione degli operatori economici alla procedura concorrenziale, TAR Sicilia, Catania, sez. II, 30 agosto 2023, n. 2584.