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Articolo Pubblicato il 1 Gennaio, 2024

La diligenza dell’operatore economico

La diligenza dell’operatore economico

Il primo comma dell’art. 5, Principi di buona fede e di tutela dell’affidamento, del d.l.gs. n. 36 del 31 marzo 2023, postula nella sua vividezza che «Nella procedura di gara le stazioni appaltanti, gli enti concedenti e gli operatori economici si comportano reciprocamente nel rispetto dei principi di buona fede e di tutela dell’affidamento», esprimendo un concetto di natura estesa che grava su ogni procedimento amministrativo dove «I rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione sono improntati ai princìpi della collaborazione e della buona fede», ai sensi del comma 2 bis dell’art. 1, Principi generali dell’attività amministrativa, della legge 7 agosto 1990, n. 241.

La buona fede nel Codice dei contratti pubblici

In dipendenza di ciò, si dimostra che il principio di buona fede assume un carattere generale rispetto all’agire pubblicistico, traendo fondamento nei principi costituzionali di imparzialità e buon andamento, ex art. 97 Cost., ontologicamente connaturato a una concezione del procedimento amministrativo inteso quale luogo di composizione del conflitto tra l’interesse pubblico primario e gli altri interessi, pubblici e privati, coinvolti nell’esercizio del primo, sicché il dovere di collaborazione (un obbligo di condotta) che ne deriva di comportarsi secondo buona fede ha portata bilaterale, perché sorge nell’ambito di una relazione che, sebbene asimmetrica, è nondimeno partecipata[1].

Accanto a questo valore pubblico viene in primo piano la (pari) tutela dell’affidamento (anche con riferimento al danno da provvedimento favorevole poi annullato) per lesione a quell’aspettativa che il cittadino ha riposto nella legittimità del provvedimento che gli ha attribuito il bene della vita.

Il principio della tutela del legittimo affidamento nell’operato della Pubblica Amministrazione, cui è stato dato un ruolo centrale in ambito europeo, sia dalla CGUE[2] e sia dalla Corte EDU[3], in ambito nazionale, trovando origine nei principi affermati dagli artt. 3 e 97 Cost., è immanente in tutti i rapporti di diritto pubblico e costituisce uno dei fondamenti dello Stato di diritto nelle sue diverse articolazioni, limitandone l’attività legislativa ed amministrativa: in base all’art. 97 Cost., la PA è tenuta ad improntare la sua azione non solo agli specifici principi di legalità, imparzialità e buon andamento, ma anche al principio generale di comportamento secondo buona fede, cui corrisponde l’onere di sopportare le conseguenze sfavorevoli del proprio comportamento che abbia ingenerato nel cittadino incolpevole un legittimo affidamento[4].

L’aspettativa si riverbera pure sulla valutazione richiesta alla Pubblica Amministrazione qualora decida di autoemendarsi, quando opera l’individuazione di un interesse pubblico in comparazione con l’affidamento riposto dal privato sulla correttezza dell’operato della PA, e questo risulti comunque prevalente.

Questa valutazione non si identifica nel mero ripristino della legalità lesa, ma richiede una approfondita analisi di contesto costituzionalmente orientata secondo i canoni dell’imparzialità e del buon andamento (ex art. 97 Cost.), retta altresì dai principi generali dell’azione amministrativa sanciti dall’art. 1 della legge n. 241/1990, modificato mediante l’introduzione di un comma espressamente consacrato al rispetto della leale collaborazione e della buona fede nei rapporti reciproci: in particolare, va tenuto conto della necessaria “proporzionalità” dell’azione amministrativa, intesa quest’ultima come dovere di non comprimere le situazioni giuridiche soggettive dei privati, se non nei casi di stretta necessità ovvero di indispensabilità, procedendo all’annullamento d’ufficio quando ciò sia necessario al fine di evitare un danno non proporzionato agli interessi dei privati coinvolti nel procedimento[5].

Il nuovo Codice dei contratti pubblici, nel cit. art. 5, riflette ulteriori aspetti di questa relazione elettiva, specie per sancire gli effetti di una eventuale contrapposizione di pregiudizi (controversie risarcitorie), con un ulteriore aspetto valoriale (una specie di esimente):

  • comma 3: «In caso di aggiudicazione annullata su ricorso di terzi o in autotutela, l’affidamento non si considera incolpevole se l’illegittimità è agevolmente rilevabile in base alla diligenza professionale richiesta ai concorrenti. Nei casi in cui non spetta l’aggiudicazione, il danno da lesione dell’affidamento è limitato ai pregiudizi economici effettivamente subiti e provati, derivanti dall’interferenza del comportamento scorretto sulle scelte contrattuali dell’operatore economico».
  • comma 4: «Ai fini dell’azione di rivalsa della stazione appaltante o dell’ente concedente condannati al risarcimento del danno a favore del terzo pretermesso, resta ferma la concorrente responsabilità dell’operatore economico che ha conseguito l’aggiudicazione illegittima con un comportamento illecito».

Il comma 3 disciplina le “condizioni” di risarcibilità del danno da provvedimento favorevole poi annullato (da provare), escludendo il carattere incolpevole dell’affidamento in caso di illegittimità agevolmente rilevabile in base alla diligenza professionale richiesta ai concorrenti, e limitando il danno risarcibile al c.d. interesse negativo (costi inutilmente sostenuti e la c.d. chance contrattuale alternativa); mentre, il comma 4, legittima l’azione di rivalsa da parte dell’Amministrazione nei confronti dell’operatore economico che sia risultato aggiudicatario sulla base di una sua condotta illecita, ossia, che ha beneficiato in modo consapevole di un arricchimento ingiusto.

La fiducia

Va aggiunto che il nuovo principio-guida della fiducia, introdotto dall’art. 2 del d.lgs. n. 36/2023, porta a valorizzare l’autonomia decisionale dei funzionari pubblici e afferma una regola chiara: ogni stazione appaltante ha la responsabilità delle gare e deve svolgerle non solo rispettando la legalità formale, ma tenendo sempre presente che ogni gara è funzionale a realizzare un’opera pubblica (o ad acquisire servizi e forniture) nel modo più rispondente agli interessi della collettività.

Trattasi, quindi, di un principio che amplia i poteri valutativi e la discrezionalità della PA, in chiave di funzionalizzazione verso il miglior risultato possibile: la disposizione precisa, altresì, che la fiducia è reciproca e investe anche gli operatori economici che partecipano alle gare, essendo legata a doppio filo a legalità, trasparenza e correttezza, rappresentando, sotto questo profilo, una versione evoluta del principio di presunzione di legittimità dell’azione amministrativa[6].

Applicazione del principio di buona fede

La sez. I Bologna del TAR Emilia Romagna, con la sentenza 28 novembre 2023, n. 707, interviene nel dare applicazione al principio di autoresponsabilità dell’operatore economico, negando il risarcimento quando, usando la diligenza necessaria, si sarebbe potuto comprendere la correttezza dell’agire amministrativo nell’escludere il ricorrente che aveva perso i requisiti (capacità tecnica e professionale) per la partecipazione alla gara (fornitura di un sistema di rilevamento elettronico delle infrazioni al limite della velocità e relativo servizio di manutenzione).

Nello specifico, il requisito prestazionale (l’esperienza) non era maturato al momento della presentazione dell’offerta: il requisito doveva essere comprovato attraverso la produzione di un certificato attestante la regolare esecuzione del servizio per il periodo considerato, in assenza del quale manca la prova (ex art. 2697 c.c., con l’ulteriore conseguenza che la prova incombe sul soggetto che deduce di avere subito il danno).

Da queste premesse, il Tribunale si sofferma sulla lesione (non avvenuta) del principio di fiducia legato a quell’aspettativa che gode l’operatore economico di trovare un’Amministrazione che si comporti con correttezza e buona fede, magari esercitando il soccorso istruttorio, quale forma di partecipazione aggiuntiva tale da consentire di regolarizzare o chiarire l’offerta.

Segnatamente, l’aspettativa può essere valutata nella sua essenzialità procedimentale (funzionale all’utilità pubblica) anche in presenza di un errore materiale, dovendo l’Amministrazione procedere alla correzione (rectius integrazione), un obbligo non trascurabile di soccorso istruttorio, specie in sede di affidamento negoziale: la rettifica di eventuali errori è considerata ammissibile a condizione che si tratti di errori materiali, necessariamente riconoscibili, in aderenza all’indirizzo già espresso dall’art. 56, comma 3, della direttiva 24/2014/UE e in virtù della previsione di cui all’ex art. 83, comma 9, del d.lgs. n. 50 del 2016, ovvero definire l’offerta senza modificarne il suo contenuto[7].

L’expertise di una valente Amministrazione insegna che la correzione può ricorrere d’ufficio quando la “riconoscibilità” dell’errore viene valutata ex ante, dimostrando, così facendo, una perizia istruttoria che in presenza di una palese svista, a cui sia incorso l’offerente, non viene meno l’effettiva volontà negoziale che lo stesso ha inteso manifestare pur nel contrasto della sua rappresentazione materiale (l’errore)[8].

In termini, l’istituto del soccorso istruttorio obbedisce, per vocazione generale (cfr. l’art. 6 della legge n. 241/1990), ad una fondamentale direttiva antiformalistica che guida l’azione dei soggetti pubblici ed equiparati e con riguardo alle procedure di evidenza pubblica, esso si fa carico di evitare, nei limiti del possibile, che le rigorose formalità che accompagnano la partecipazione alla gara si risolvano – laddove sia garantita la paritaria posizione dei concorrenti – in disutile pregiudizio per la sostanza e la qualità delle proposte negoziali in competizione e, in definitiva, del risultato dell’attività amministrativa.

In tale prospettiva, la regola – che traduce operativamente un canone di leale cooperazione e di reciproco affidamento tra le stazioni appaltanti o gli enti concedenti e gli operatori economici (cfr. art. 1, comma 2 bis della legge n. 241/1990) – ha visto riconosciuta ed accresciuta la sua centralità nelle fonti sopra richiamate nel nuovo Codice dei contratti pubblici, amplificando l’ambito, la portata e le funzioni, superando, altresì, talune incertezze diffusamente maturate nella prassi operativa alla luce del principio di buona fede[9].

Il giudice di prime cure non può, pertanto, che rigettare la lamentata censura di violazione del cit. principio, «dal momento che non può configurarsi una situazione di legittimo affidamento riguardo al contenuto della regola di gara, che risultava chiara nel richiedere un requisito individuato secondo modalità del tutto ordinarie nell’affidamento di servizi (ovvero lo svolgimento di un servizio analogo per una durata pari a quella del contratto oggetto di affidamento)».

In presenza di una chiara clausola del bando di gara, dunque, non può ammettersi alcun elemento di particolarità o innovatività che avrebbe potuto indurre in errore l’offerente circa il significato da attribuirle: in claris non fit interpretatio.

A rafforzare il pronunciamento, l’assenza di alcun rilievo di logicità, nemmeno una lesione dei principi di proporzionalità e adeguatezza, sul fatto che la parte ricorrente sia stata, in un primo momento, ammessa a partecipare alla gara e poi esclusa dalla stessa per la mancanza del requisito che poteva essere rilevato sin dall’esame della documentazione amministrativa prodotta: in questo senso, la stazione appaltante, dopo una prima valutazione in sede di chiarimenti successivi ha appurato l’assenza del requisito formulato inizialmente in forma alquanto generica.

Neppure poteva essere invocato il soccorso istruttorio atteso che il requisito non poteva essere integrato da alcuna documentazione perché il requisito stesso risultava essere carente (e non la documentazione relativa alla sua dimostrazione).

L’autoresponsabilità

Termina la sentenza nel richiamare i precedenti[10], in ossequio al principio di autoresponsabilità, all’impresa che partecipa a pubblici appalti deve essere richiesto un grado di professionalità e di diligenza superiore rispetto alla media: una diligenza che non riguarda solo l’esecuzione del contratto, ma anche le fasi prodromiche e genetiche, tra cui, in primo luogo quella della redazione degli atti necessari alla partecipazione alla gara[11].

In forza di tale principio i concorrenti non possono pretendere di scaricare sull’Amministrazione problemi che essi stessi potrebbero risolvere utilizzando la diligenza esigibile da un operatore qualificato, qual è l’impresa che partecipa ad una gara pubblica: il principio di auto-responsabilità impone ai concorrenti delle procedure pubbliche di adempiere a precisi obblighi di correttezza e oneri minimi di cooperazione in mancanza dei quali non può addebitarsi alcuna omissione o responsabilità illecita alla PA, che, nel caso di specie, non aveva alcuna esigenza di verificare, tramite il soccorso istruttorio, un requisito già conosciuto (la stessa «si è limitata a verificare l’effettiva sussistenza del requisito dichiarato in modo equivoco o comunque non preciso»).

In definitiva, il principio di buona fede e di leale collaborazione non è stato infranto in presenza di concorrenti che, partecipanti ad una gara pubblica sono, per loro natura, operatori professionali capaci di comprendere il contenuto del bando di gara e la documentazione da essi stessi prodotta, soprattutto laddove si tratti di un soggetto che si candidi ad assumere commesse di elevato valore economico, che presuppone una solida organizzazione aziendale, capace di assicurare la pronta ed efficace interazione con la stazione appaltante, nonché di comprendere appieno le modalità espressamente stabilite dalla lex specialis[12].

[1] Cons. Stato, sez. V, 27 ottobre 2023, n. 9298.

[2] Vedi, per tutte, la sentenza 17 ottobre 2018, C-167/17, punto 51 e 14 ottobre 2010, C 67/09, punto 71.

[3] Vedi, sentenza 28 settembre 2004, Kopecky c. Slovacchia e 13 dicembre 2013, Bélàné Nagy c. Ungheria.

[4] Cass. civ., sez. Unite, ordinanza 13 maggio 2019, n. 12640.

[5] Cons. Stato, sez. V, 29 dicembre 2023, n. 11307.

[6] TAR Sicilia, Catania, sez. III, 12 dicembre 2023, n. 3738.

[7] Nelle gare pubbliche è ammissibile un’attività interpretativa della volontà dell’impresa partecipante alla gara da parte della stazione appaltante, al fine di superare eventuali ambiguità nella formulazione dell’offerta, purché si giunga ad esiti certi circa la portata dell’impegno negoziale con essi assunti; evidenziandosi, altresì, che le offerte, intese come atto negoziale, sono suscettibili di essere interpretate in modo tale da ricercare l’effettiva volontà del dichiarante, senza peraltro attingere a fonti di conoscenza estranee all’offerta medesima né a dichiarazioni integrative o rettificative dell’offerente, Cons. Stato, sez. IV, 6 maggio 2016, n. 1827; sez. V, 11 gennaio 2018, n. 113. Sul soccorso procedimentale, si rinvia TAR Lazio, Roma, sez. II, 11 dicembre 2023, n. 18735, ove si analizza l’opportunità di conservare un ‘soccorso procedimentale’ nettamente distinto rispetto al ‘soccorso istruttorio’, in virtù del quale possano essere richiesti, in caso di dubbi riguardanti “gli elementi essenziali dell’offerta tecnica ed economica”, chiarimenti al concorrente, fermo il divieto di integrazione dell’offerta, aspetti recepiti anche dal nuovo Codice degli appalti (ex art. 101, comma 3, d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36.

[8] Cons. Stato, sez. V, 27 dicembre 2023, n. 11183.

[9] Cons. Stato, sez. V, 21 agosto 2023, n. 7870.

[10] TAR Lombardia, Milano, sez. III, 24 novembre 2021, n. 2598; TAR Campania, Napoli, sez. V, 23 marzo 2022, n. 1936, ove si richiama il canone generale della diligenza, di cui all’art. 1176, comma 2, c.c., intesa come deviazione da una regola di condotta per violazione tanto di norme giuridiche quanto di comune esperienza, avuto a parametro di riferimento l’obbligazione professionale.

[11] TAR Piemonte, sez. I, 4 luglio 2022, n. 616.

[12] TAR Lazio, Roma, sez. II, 9 agosto 2019, n. 10499.