L’ordinanza n. 31646 del 14 novembre 2023, della Corte di Cassazione (sez. Lavoro), interviene per confermare una sanzione disciplinare (sospensione dal servizio e retribuzione) irrogata ad un Comandante della Polizia Municipale per il mancato uso dell’uniforme di servizio (da oltre un anno) svolgendo, in tale arco temporale, servizio in borghese, così cagionando danno all’immagine dell’Ente.
L’addebito deriva da una segnalazione del Sindaco all’ufficio procedimenti disciplinari (UPD) in relazione al fatto che la divisa, acquistata per tutto il personale in servizio, non veniva indossata dall’interessato, il quale non anteponeva alcun giustificato motivo (ad es. il logoramento della stessa), di converso sistematicamente utilizzava abiti propri (pertanto, non facendosi riconoscere, quasi in anonimato di funzioni, similarmente ai c.d. agenti sotto copertura) per assolvere i compiti di istituto, donde la ritualità della contestazione, ai sensi dell’art. 55 bis del d.lgs. n. 165 del 2001 (TUPI).
In effetti, spendere denaro pubblico per il vestiario, quale esigenza funzionale a distinguere un determinato dipendente rispetto ad altri, costituisce una modalità di esecuzione della prestazione in violazione alle regole di condotta, oltre a rappresentare un comportamento del tutto ingiustificato, dovendo la PA di converso garantire una dotazione minima per l’esecuzione del servizio.
Questioni procedurali
La Corte sulla decorrenza del termine perentorio per la conclusione del procedimento disciplinare annota che esso decorre dall’acquisizione della notizia dell’infrazione: «l’Ufficio competente per i procedimenti disciplinari, con immediatezza e comunque non oltre trenta giorni decorrenti dal ricevimento della predetta segnalazione, ovvero dal momento in cui abbia altrimenti avuto piena conoscenza dei fatti ritenuti di rilevanza disciplinare, provvede alla contestazione scritta dell’addebito e convoca l’interessato, con un preavviso di almeno venti giorni, per l’audizione in contraddittorio a sua difesa», ai sensi del comma 4, secondo periodo, dell’art. cit.[1].
In termini diversi, l’avvio del procedimento risulta tardivo quando l’Amministrazione rimanga silente pur avendo tutti gli elementi e le circostanze per dare un valido avvio[2], salvo (ovviamente) l’ipotesi che la segnalazione risulti generica o imprecisa, impedendo di formulare un addebito, ovvero richieda accertamenti ulteriori (questo anche a tutela dell’interessato)[3].
Merito
La questione, per ciò che interessa, ruota sulla valutazione della “proporzionalità” della sanzione inflitta rispetto al fatto di non indossare la divisa, ritenendo che questa condotta omissiva abbia incidenza sul corretto svolgimento del servizio istituzionale di Polizia Locale e/o sull’immagine dell’Ente.
La sanzione è corretta e la sua graduazione pure: la valutazione della proporzionalità tra addebito e sanzione va operata tenendo sì conto della portata oggettiva dei fatti e del grado di consapevolezza del lavoratore, ma anche apprezzando il livello di affidamento richiesto per le specifiche mansioni del dipendente, perché tanto più elevato è l’inquadramento tanto più severa dovrà essere la valutazione della gravità del comportamento.
L’inciso sulla graduazione della sanzione esprime (in ogni caso) ex se il “disvalore” del fatto, capace di esprimere dei riflessi diretti sull’immagine dell’Amministrazione quando un dipendente appartenente ad una categoria (al vertice delle responsabilità) non svolge il servizio nelle modalità richieste, dove – l’indossare l’uniforme – costituisce una modalità specifica di assolvere la funzione pubblica, distinguendosi da altri dipendenti, avendo poteri e prerogative diverse rispetto agli altri, anche in termini di codice di comportamento, quello del “Corpo” o “Comando” che assolve funzioni di “Polizia”[4].
La gravità (rectius gradualità) risulta coerente con l’incarico ricoperto di Comandante della Polizia Municipale, dove all’elevata competenza si associa un elevato livello di responsabilità, in corrispondenza con il danno d’immagine alla PA causato da un proprio dipendente dove la “pesatura” degli effetti negativi è tanto più estesa (il c.d. clamor fori) quanto più elevato risulta il livello ricoperto all’interno dell’Amministrazione.
Il danno d’immagine, come noto, è una lesione all’aspettativa di legalità (ex art. 97 Cost.) che impone soprattutto ai vertici di tenere una condotta esemplare e irreprensibile e, il venir meno all’osservanza di tali doveri, comporta effetti negativi sul prestigio della PA (alias Comando), a tutto discapito, tanto del rispetto quanto della considerazione che i cittadini nutrono nei confronti dei singoli soggetti, titolari di così delicate funzioni, nonché dell’intera istituzione[5].
[1] In base al principio del giusto procedimento (Corte Cost., 5 novembre 2010, n. 310), il momento coincide avuto riguardo alla “notizia di infrazione” di contenuto tale da consentire l’avvio al procedimento disciplinare, Cass., 20 marzo 2017, n. 7134; 25 ottobre 2017, n. 25379 e 21 marzo 2018, n. 6989.
[2] Il dies a quo in cui l’UPD riceve gli atti dal responsabile della struttura, e cioè riceve una “notizia di infrazione” di contenuto tale da consentirgli di dare in modo corretto l’avvio al procedimento disciplinare, nelle sue tre fasi fondamentali della contestazione dell’addebito, dell’istruttoria e dell’adozione della sanzione, anche nell’ipotesi in cui il protrarsi nel tempo di singole mancanze, pur da sole disciplinarmente rilevanti, integri un’autonoma e più grave infrazione, Cass. civ., sez. lav., ord., 30 novembre 2023, n. 33394.
[3] Cass., 11 settembre 2018, n. 22075 e 15 luglio 2022, n. 22379.
[4] Cfr. la legge 7 marzo 1986, n. 65, Legge-quadro sull’ordinamento della polizia municipale. Il Corpo di Polizia Municipale rappresenta un’entità organizzativa unitaria ed autonoma da altre strutture organizzative del Comune, Cons. Stato, sez. V, 27 agosto 2012, n. 4605.
[5] Cfr. Corte conti, sez. III, giur. centrale, sentenza n. 522 del 2013.