La sez. controllo della Corte dei conti della Campania, a distanza di alcuni mesi[1], con la deliberazione n. 312 del 21 dicembre 2023, ritorna sulla natura dell’indennità di carica del Sindaco, sulla facoltà della sua rinuncia[2] e degli effetti diretti sull’indennità di fine mandato: segue la medesima sorte.
Il dubbio
L’intervento collaborativo della Corte dei conti viene richiesto da un Sindaco per comprendere se con la rinuncia dell’indennità di carica, la sua devoluzione al perseguimento di finalità pubbliche, al termine del mandato quinquennale, l’indennità di fine mandato possa essere comunque riconosciuta in favore del Sindaco uscente, in presenza di un suo accantonamento o devoluta ai medesimi fini.
Il quesito si proietta ad una serie di soluzioni che risultano concatenate e logiche:
- la possibilità di rinuncia;
- la possibilità di destinare, con atto di giunta comunale, l’importo in determinate voci di bilancio;
- la possibilità di distinguere l’indennità di carica dall’indennità di mandato, e la facoltà di rinunciare anche a quest’ultima, con l’eventuale devoluzione alle medesime destinazioni, ovvero (in mancanza di rinuncia) l’erogazione al diretto interessato, atteso che lo stanziamento era stato accantonato (argomentazioni tutte desumibili dal quesito, anche per implicito).
Soluzione
La Magistratura contabile si allinea al suo precedente (consolidato) e formula ulteriori conseguenze:
- l’indennità di funzione (attinente alla carica ricoperta, ex 82 del d.lgs. n. 267/2000 (TUEL)[3], non è assimilabile a redditi di lavoro e non è, quindi, soggetto alla previsione contenuta nell’art. 2113, Rinunzie e transazioni, cod. civ.;
- sussiste la facoltà per l’interessato di chiedere una riduzione dell’importo che può giungere a zero (rinuncia);
- è precluso al beneficiario (il Sindaco) di disporre la sua collocazione in bilancio, potendo limitarsi esclusivamente alla sua riduzione/rinuncia, essendo sottratta (indisponibile) la facoltà di mutarne il contenuto: l’eventuale rinuncia abdicativa si circoscrive nella propria sfera giuridica senza ulteriori destinazioni, che restano acquisite al bilancio come economie di spesa.
Volere, quindi, manifestare la volontà o l’interesse ad una diversa collocazione in bilancio non trova cittadinanza nell’ordinamento che sottrae tale potere al Sindaco.
L’indennità di fine mandato
Ciò posto, l’indennità di fine mandato trova la sua fonte diretta nell’indennità di carica, sicché il venire meno o la sua riduzione (di quest’ultima) si percuote direttamente sulla determinazione del quantum al termine del mandato.
In questo senso, l’accantonamento deve essere coerente e puntuale non potendo vincolare delle somme su un dato inesistente (in caso di rinuncia) in ragione della stretta applicazione (e interpretazione) della norma[4], in claris non fit interpretatio: la lettera f), comma 8, dell’art. 82 del TUEL recita, infatti: «previsione dell’integrazione dell’indennità dei sindaci e dei presidenti di provincia, a fine mandato, con una somma pari a una indennità mensile, spettante per ciascun anno di mandato»[5].
La disposizione è stata attuata con DM 4 aprile 2000, n. 119, Regolamento recante norme per la determinazione della misura dell’indennità di funzione e dei gettoni di presenza per gli amministratori locali, a norma dell’articolo 23 della L. 3 agosto 1999, n. 265, e l’ammontare base delle indennità dei Sindaci è stato indicato nella Tabella A), allegata al citato DM: l’art. 10 precisa che a fine mandato, «l’indennità dei sindaci e dei presidenti di provincia è integrata con una somma pari ad una indennità mensile spettante per 12 mesi di mandato, proporzionalmente ridotta per periodi inferiori all’anno».
Il quadro normativo e di rango secondario non distingue le due indennità come fossero autonome, ossia senza alcuna correlazione, anzi conferma l’esatto contrario: non esiste una indennità di fine mandato ontologicamente autonoma dall’indennità di funzione, essendo l’indennità di fine mandato una componente integrativa della stessa indennità di funzione, dovuta, secondo quanto previsto dall’art. 1, comma 719, della legge n. 296/2006: «l’indennità di fine mandato prevista dall’articolo 10 del regolamento di cui al decreto del Ministro dell’interno 4 aprile 2000, n. 119, spetta nel caso in cui il mandato elettivo abbia avuto una durata superiore a trenta mesi».
A rafforzare questa connessione, già la circolare del Ministero dell’interno n. 5 del 5 giugno 2000, Funzioni pubbliche amministrazioni – consigli provinciali – ‘misura delle indennità’ di funzione e dei gettoni di presenza per gli amministratori locali, era entrata nel merito per chiarire i dubbi interpretativi, sostenendo:
- la tendenza legislativa secondo la quale l’importo delle indennità va adeguato all’importanza ed al concreto rilievo locale delle funzioni svolte, nonché all’impegno istituzionale che ne discende (che è poi la ratio della norma nel garantire, come previsto in Costituzione, ex 3 e 51, di assumere una carica politica in condizioni di uguaglianza, anche sostanziale, consentendo di percepire una somma, non uno stipendio, in grado di garantire una indipendenza economica per tutto il periodo di esercizio delle funzioni);
- qualora gli organi intendano aumentare o diminuire gli importi delle indennità e dei gettoni di presenza, attese le implicazioni d’ordine politico e gestionale – contabile della scelta, spetta necessariamente alla giunta ed al consiglio deliberare dette variazioni nei confronti, ciascuno, dei propri componenti, senza per questo configurare la violazione di un obbligo di astensione («vengono deliberate facendo riferimento astrattamente alla carica e non alla persona titolare della carica stessa, sia perché le cariche elettive presso gli enti locali costituiscono “munera publica” e, come tali, implicano doveri più che diritti e l’interesse al loro esercizio riguarda la pubblica utilità e non quella dei singoli»);
- l’indennità di fine mandato spettante a sindaci e presidenti di provincia, pari ad una indennità mensile per ogni 12 mesi di mandato, va commisurata al compenso effettivamente corrisposto, ferma restando la riduzione proporzionale per periodi inferiori all’anno.
Una connessione di genere
Al dunque, la Corte conclude chiarendo che i due emolumenti costituiscono due componenti di un’unica posta indennitaria, sono tra loro accomunati da una medesima ratio, quella di assicurare un “sostentamento” economico durante il periodo di mandato, quando le energie (fonte di reddito) sono rivolte a ricoprire la carica pubblica, sottraendo “tempo” (che è una risorsa contendibile economicamente) alla vita privata (il proprio lavoro)[6]: avendo rinunciata ad una (quella di funzione per la carica ricoperta) la provvista della seconda (quella di fine mandato differita, affine ad un “trattamento di fine rapporto”) segue la parametrazione (in via proporzionale) della prima: un esplicito riferimento alla indennità effettivamente corrisposta[7].
Una volta manifestala la volontà di ridurre l’indennità di carica, oppure di rinunciare alla stessa, non si può pretendere di disporre di una parte dell’indennità che non è stata corrisposta (o nei limiti del dovuto) non essendo giuridicamente una posta disgiunta – autonomamente liquidabile – rispetto all’indennità di funzione, di cui costituisce invece, mera componente integrativa, condividendone le sorti in ipotesi di rinuncia abdicativa alla stessa, costituendo economia di spesa: l’accantonamento dell’indennità di fine mandato, quindi, non è logicamente giustificabile.
Una volontà di implicita rinuncia
Un aspetto di interesse si potrebbe presentare quando sia formulata una richiesta di pagamento dell’indennità e sia mancato l’accantonamento.
In questa circostanza, si può determinare la sussistenza degli elementi costitutivi per il riconoscimento di un debito fuori bilancio, ai sensi dell’art. 194, comma 1, lett. e), del TUEL, qualora l’Ente si sia giovato delle prestazioni del Sindaco, con utilità in favore dell’Amministrazione locale, in relazione all’espletamento di funzioni pubbliche.
Sul punto, è stato precisato[8] che l’intimazione o richiesta scritta fatta dagli aventi diritto (salvo l’invocazione da parte della PA della prescrizione quinquennale), ai sensi dell’art. 1219 cod. civ., potrebbe dar luogo al riconoscimento del debito in quanto contratto in presenza di titolo giuridico ed in assenza di atto di impegno contabile assunto negli esercizi di provenienza del debito stesso (acquisizione di un servizio di evidente utilità reso all’Ente «nell’ espletamento di pubbliche funzioni e servizi di competenza»).
La Corte tiene a precisare che si dovrà valutare il comportamento tenuto dal Sindaco nel periodo tra l’inizio del mandato e la data di presentazione della richiesta di pagamento delle indennità ed in particolare, se detto comportamento possa integrare gli estremi di una tacita acquiescenza o di una rinuncia alle pretese, come pure la valutazione di una avvenuta prescrizione, anche parziale[9].
Precisazioni a margine
L’indennità di fine mandato va contabilizzata, alla fine di ogni esercizio, come quota accantonata del risultato di amministrazione, stante la disposizione di cui all’allegato 4/2, punto 5.2, lettera d), del d.lgs. n. 118/2011 e s.m.i. secondo cui «anche le spese per indennità di fine mandato, costituiscono una spesa potenziale dell’ente, in considerazione della quale, si ritiene opportuno prevedere tra le spese del bilancio di previsione, un apposito accantonamento, denominato “fondo spese per indennità di fine mandato” … Su tale capitolo non è possibile impegnare e pagare e, a fine esercizio, l’economia di bilancio confluisce nella quota accantonata del risultato di amministrazione, immediatamente utilizzabile»[10].
Inoltre, il comma 536, dell’art. 1 della legge 30 dicembre 2023, n. 213, Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2024 e bilancio pluriennale per il triennio 2024-2026, prevede una novità in materia di “costi della politica”, stabilendo che gli oneri per i permessi retribuiti dei lavoratori dipendenti degli enti locali «sono a carico dell’ente presso il quale gli stessi esercitano le funzioni pubbliche», secondo le modalità di rimborso previste dall’art. 80 del TUEL.
[1] Si rinvia, LUCCA, Indisponibilità alla destinazione dell’indennità di carica in caso di rinuncia, dirittodeiservizipubblici.it, 3 luglio 2023, a commento del parere n. 177 del 25 maggio 2023 della sez. controllo Campania della Corte dei conti.
[2] Corte conti, sez. contr. Liguria, 12 novembre 2020, n. 98.
[3] Per un inquadramento, anche storico, si rinvia LUCCA, Le nuove indennità di carica degli amministratori locali: prime valutazioni, Comuni d’Italia, 2022, n. 1 – 2.
[4] Il suo esborso va previsto e determinato in base a paramenti normativi tassativi, al fine di evitare un danno erariale, Corte conti, sez. giur. Umbria, 11 aprile 2017, n. 7.
[5] Dal dato letterale della disposizione si evince che la stessa costituisce «un’integrazione dell’indennità di funzione prevista in favore del sindaco alla fine dell’incarico amministrativo. L’istituto ha trovato espressa previsione e regolamentazione nell’art.10 del decreto ministeriale n.119/2000, che ne ha stabilito la misura in un’indennità mensile spettante per ogni 12 mesi di mandato, proporzionalmente ridotto per periodi inferiori all’anno. Si soggiunge, inoltre, che la misura dell’indennità si correla essenzialmente alla funzione svolta dal percipiente per il periodo di concreto esercizio dei poteri sindacali», Parere MI, 25 Settembre 2014, Indennità di fine mandato e modalità di liquidazione dei gettoni di presenza ai consiglieri comunali.
[6] Cfr. Corte conti, sez. contr. Veneto, parere 10 settembre 2012, n. 585, ove si richiama, altresì, il parere 9 febbraio 2009, prot. n. 15900 /TU/82 del Ministero dell’Interno, secondo il quale «in caso di rielezione del Sindaco, va corrisposta alla fine del primo mandato a valere sul bilancio dell’esercizio nel quale si verifica la conclusione, prevedendo il necessario adeguamento dello stanziamento relativo alle indennità di funzione».
[7] Cfr. Corte conti, sez. contr. Calabria, delibera n. 2/2023/PAR.
[8] Corte conti, sez. contr. Campania, con delibera n. 5/2009/PAR.
[9] Corte conti, sez. contr. Abruzzo, delibera 18 marzo 2021, n. 64.
[10] Corte conti, sez. contr. Lombardia, delibera 10 marzo 2021, n. 27, idem, Corte conti, sez., Piemonte, delibera 11 ottobre 2021, n. 123.