Premessa di inquadramento
Tra i più significativi decreti attuativi (delegati) della legge n. 190/2012 (c.d. Anticorruzione), il decreto legislativo n. 39/2013 ha introdotto nel nostro ordinamento una serie di norme (a volte di difficile comprensione) con lo scopo di contrastare (in chiave preventiva) fenomeni di corruzione, e, nello specifico, quelle ex ante posizioni di conflitti di interesse (volute dal “legislatore governativo”) [1] allo scopo di garantire il buon andamento e l’imparzialità della Pubblica Amministrazione e assicurare, allo stesso tempo, che i pubblici impiegati, da ricomprendere tutti coloro che esercitano una funzione/prestazione pubblica, pure in chiave privatistica, (ap)prestino l’attività al servizio esclusivo dell’Amministrazione di appartenenza (ex art. 2105 c.c.), ossia il datore di lavoro pubblico, in una estesa platea di soggetti (ex art. 2 bis del d.lgs. n. 33/2013), nei forgiati canoni costituzionali cristallizzati dagli articoli 97 e 98 della Costituzione, nonché in applicazione del più generale principio di uguaglianza (ex art. 3 Cost.) [2].
Il legislatore, consapevole dell’esistenza di situazioni di conflitto ineliminabili ha disposto un “decalogo” di previsioni legate a determinate condizioni (descritte nel d.lgs. n. 39/2013) preclusive all’assolvimento dei compiti (incarichi) eventualmente affidabili, decretandone l’inconferibilità (temporanea o permanente) o incompatibilità (con l’esigenza dell’opzione pena la decadenza) [3].
Le nomine degli incaricati seguono regole di procedimentalizzazione e di trasparenza (annuale), affinate dalla soft law ANAC [4] in decisioni e suggerimenti al potere politico (il legislatore) affinché siano affinate le misure di prevenzione della corruzione, escludendo zone franche per una lettura sostanziale del precetto normativo, osservando che il d.lgs. n. 39/2013 si disinteressa dei meccanismi rappresentativi e si concentra piuttosto, avendo riguardo alla visione anti corruttiva che lo ispira, sulle situazioni di inconferibilità/incompatibilità riferibili a chi riveste contemporaneamente incarichi politici e incarichi amministrativi o gestionali nell’ente partecipato, ed in quanto norma di rango primario[5], in ossequio al principio di gerarchia delle fonti ed al principio di temporalità prevale sulle previsioni dello statuto sociale, ed in ossequio al principio di temporalità, nonché di specialità su altre fonti [6].
In effetti, una condanna (anche non definitiva) per reati contro la PA o l’aver ricoperto o il ricoprire determinati ruoli/incarichi senza un periodo di “raffreddamento”, costituirebbe un limite all’esercizio del ruolo ricoperto se le finalità del decreto sarebbero quelle di scongiurare il rischio di condizionamenti impropri, quella partecipazione (in tensione con l’interesse primario pubblico) spesa per agevolare l’interesse secondario di natura essenzialmente privatistica: la presenza del conflitto di interessi altererebbe l’agire e il processo decisionale (e le c.d. porte girevoli).
Invero, la disciplina sulle inconferibilità e incompatibilità, oggetto di riordino della disciplina precedente si caratterizza per un’elevata complessità, oltre a comportare rilevanti limitazioni all’accesso al lavoro, il quale costituisce un diritto come «fondamentale diritto di libertà della persona umana» [7], osservando, altresì, per ciò che interessa, che la perimetrazione del campo di applicazione delle previsioni in materia di prevenzione della corruzione deve essere effettuata avendo come obiettivo la tutela delle finalità di pubblico interesse perseguite dal legislatore e, quindi, la natura delle attività esercitate dai soggetti destinatari delle norme.
A completamento, dell’apparato normativo non è possibile giungere a desumere dall’analisi del diverso meccanismo di governance che disciplina gli enti pubblici economici e le società sottoposte a controllo pubblico, alcuna ragionevole giustificazione di una possibile esclusione dei primi dall’applicazione della disciplina in materia di inconferibilità degli incarichi [8], con le precisazioni (dichiarazione di incostituzionalità) della Corte nella certezza riposta (come si avrà modo di percepire) di una lontananza di dominio della politica da coloro che “formalmente” non provengono dalla stessa.
Fuori tema
Quest’ultimo aspetto, essenza motivazionale del giudizio, esigerebbe un qualche approfondimento, senza andare nelle sottigliezze del diritto, in quegli atti di nomina di “alta amministrazione” dove per ruoli tecnici, altamente specialistici e professionali (dal CV eccelso), si intravede uno spettro fiduciario (da alcuni indicato in altro modo) che lega il soggetto designato/incaricato al titolare della competenza (alla nomina), dove le convergenze premiano (solamente) l’appartenenza (l’esemplare unicum).
Sono incarichi tecnici (ad es. nei Cda delle partecipate pubbliche, da includere tutte le diverse cariche gestionali) di specchiatissima provenienza partitica (pure se il termine è caduto in desuetudine), o di qualche altro centro di potere, emanazione di interessi particolari, una parte rispetto al tutto, dove il c.d. conflitto di interessi o meccanismo “scambiatore” di favori e ricambi segna l’avvicendamento, senza soluzione di continuità, pur in presenza di un celato raffreddamento, in attesa della costruzione del posto o dell’occasione giusta: (ma) si andrebbe (troppo) fuori tema con il rischio prevedibile (anche in questo caso) di essere non compresi [9].
La pronuncia
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 98 del 4 giugno 2024, traccia un percorso sull’inconferibilità degli incarichi manageriali, ritenendo incostituzionale la lettera f), dell’art. 1, comma 2 [10], e la lettera d), dell’art. 7, comma 2 [11], del decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39, Disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico, a norma dell’articolo 1, commi 49 e 50, della legge 6 novembre 2012, n. 190, nella parte «in cui non consentono di conferire l’incarico di amministratore di ente di diritto privato – che si trovi sottoposto a controllo pubblico da parte di una provincia, di un comune con popolazione superiore a quindicimila abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione – in favore di coloro che, nell’anno precedente, abbiano ricoperto la carica di presidente o amministratore delegato di enti di diritto privato controllati da amministrazioni locali (provincia, comune o loro forme associative in ambito regionale)», non potendo assimilare – quale condizione ostativa – un incarico di provenienza “dirigenziale” (rectius vertice amministrativo) con un incarico di natura “politica”: un eccesso di delega.
Il fatto
La questione nella sua essenzialità viene posta all’attenzione della Corte dal TAR Lazio (quattro ordinanze di remissione) [12], con riferimento alla parte della norma che equiparando gli incarichi di «presidente o amministratore delegato di enti di diritto privato in controllo pubblico», ovvero la loro provenienza da incarichi in enti con popolazione superiore a 15.000 abitanti, ne vieta la nomina in presenza di una precedente partecipazione a organi di indirizzo politico, per la violazione degli artt. 3, 4, 5, 51, 76, 97, 114 e 118 Cost.
Nella legge n. 190/2012, al comma 50, dell’articolo 1 (legge di un solo articolo) [13], con la lettera c), viene disposto (in ragione di una “colleganza” preclusiva) la stesura (da parte del Governo, non intervenuto nel giudizio) di norme (delegate) atte a:
– «disciplinare i criteri di conferimento nonché i casi di non conferibilità di incarichi dirigenziali ai soggetti estranei alle amministrazioni che, per un congruo periodo di tempo, non inferiore ad un anno, antecedente al conferimento abbiano fatto parte di organi di indirizzo politico o abbiano ricoperto cariche pubbliche elettive»;
– stabilire che «i casi di non conferibilità devono essere graduati e regolati in rapporto alla rilevanza delle cariche di carattere politico ricoperte, all’ente di riferimento e al collegamento, anche territoriale, con l’amministrazione che conferisce l’incarico», in questo senso viene esplicitato un legame (il rischio di condizionamenti non ammissibili) di provenienza.
Il TAR Lazio doveva decidere sulle impugnazioni a delibere dell’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) con le quali, ai sensi dell’art. 7, comma 2, lettera d), del d.lgs. n. 39 del 2013, veniva:
– dichiarata l’inconferibilità di un incarico di amministratore delegato di una società pubblica in quanto, in quel momento, il soggetto ricopriva la carica di amministratore delegato di una società partecipata dal Comune;
– accertata l’inconferibilità, e dichiarata la relativa nullità, degli incarichi, a lui già assegnati e ancora ricoperti, di amministratore unico di società appartenenti al medesimo gruppo (di quelle partecipate), in ragione dell’incarico precedentemente ricoperto di amministratore delegato di società in house partecipata da altro Comune.
Il punto centrale dei motivi dei ricorsi si poneva sull’errata interpretazione delle norme (gli artt. 1 e 7 del d.lgs. n. 39 del 2013), norme interpretate «in modo distonico rispetto al significato costituzionalmente conforme e rispondente all’art. 12 delle disposizioni preliminari al codice civile», dove l’elemento di provenienza non poteva che riferirsi a precedenti incarichi politici, escludendo una diversa provenienza di natura “professionale” (dove manca il conferimento dell’investitura popolare o di indirizzo politico, ricompresi o inquadrati (provenienti) tra gli «organi di indirizzo politico o abbiano ricoperto cariche pubbliche elettive»), quali quelli di amministratore di enti di diritto privato sottoposti a controllo pubblico non considerati dalla legge di delega: la ratio del divieto a ricoprire gli incarichi gestionali e/o amministrativi rivolta a soggetti che appaiono “politicamente schierati”, capaci di precostituire le condizioni finalizzate a garantire (perpetuare) una continuità di potere sotto altre “spoglie” (c.d. revolving doors), in pregio ai principi di imparzialità dell’azione amministrativa e della trasparenza (il riferimento è quello dell’accesso meritocratico e selettivo, previo possesso di titoli), aspetti avulsi da coloro che operano professionalmente per capacità e non per affinità (elettiva).
L’analisi delle norme e del caso
La Corte prima di giungere alla dichiarazione di incostituzionalità analizza il quadro normativo, dove il legislatore delegante ha:
– posto attenzione agli incarichi «che comportano funzioni di amministrazione e gestione», con l’esplicito obiettivo «della prevenzione e del contrasto della corruzione, nonché della prevenzione dei conflitti di interessi» in tutti quegli enti che sono chiamati a svolgere una funzione pubblica, a prescindere dalla natura giuridica (pubblica o privata) e, nel caso degli enti privati, dalla tipologia societaria prescelta [14];
– incluso nella categoria di “funzionario pubblico” (colui che assolve i compiti con «disciplina e onore», ex 54, comma 2, Cost.) tutti coloro cui sono affidate «funzioni pubbliche» di rilievo amministrativo, a prescindere dalla natura, pubblica o privata, dell’ente presso il quale l’incarico è ricoperto.
Il legislatore delegato avrebbe dovuto attenersi ai citati principi e i criteri direttivi (in una prospettiva di spiccata prevenzione) nel definire i decreti attuativi sugli istituti della inconferibilità e della incompatibilità, dove il tratto comune risiede nell’esercizio imparziale delle funzioni affidate, rendendole immune dall’influenza che può derivare dallo svolgimento di incarichi pubblici elettivi e dalla provenienza politica, donde il “periodo di raffreddamento”, da un minimo di uno a un massimo di due anni.
In dipendenza di ciò, l’art. 7 del d.lgs. n. 39 del 2013 distingue le inconferibilità applicabili, con relative soglie ostative (sia dal lato degli incarichi di provenienza e sia dal lato di quelli di destinazione):
– al livello di governo regionale (comma 1);
– al livello di governo locale (comma 2), oggetto delle ordinanze di remissione.
I casi sottoposti riguardano sole le situazioni di provenienza non politica impeditive del conferimento dei nuovi incarichi, caratterizzante per lo svolgimento nel corso del tempo, da parte del professionista dell’incarico di amministratore delegato presso diversi enti di diritto privato, tutti controllati da comuni di piccole dimensioni (aventi, cioè, popolazione inferiore ai quindicimila abitanti): le pregresse esperienze, prettamente amministrativo-gestionale di aziende in controllo pubblico, risultano prive di connotazione politica, pur tuttavia acquisendo portata ostativa al conferimento del nuovo incarico di amministratore delegato presso enti di diritto privato controllati da un comune più grande (oltre i quindicimila abitanti).
La fondatezza della questione
La questione risulta fondata in quanto il legislatore delegato non ha interpretato (scritto) il significato compatibile con la delega ricevuta, andando ben oltre a quel margine di discrezionalità sempre possibile, purché rappresenti un coerente sviluppo e, se del caso, anche un completamento delle scelte espresse dal legislatore delegante [15].
La lettura della norma del comma 49, dell’art. 1, della legge n. 190 del 2012, individua l’oggetto della disciplina rimessa al legislatore delegato, riferita agli incarichi di destinazione (nello specifico quelli «di amministrazione e gestione»), proprio quelli che dovrebbero formare oggetto di protezione dalle interferenze di interessi esterni, potenzialmente in conflitto con l’esercizio della funzione pubblica.
Tale specie di incarichi, in relazione al principio che governa la separazione tra “politica” (affidata agli organi di indirizzo elettivi) e “amministrazione” (affidata agli organi tecnici), tende a valorizzare (salvaguardare) l’inevitabile campo di “riserva di amministrazione” (degli organi gestionali) rispetto a quelli politici, di indirizzo e controllo (ex artt. 4, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e 107 del d.lgs. n. 267/2000 (TUEL), affinché ognuno (per quanto di competenza) contribuisca alla realizzazione dell’interesse pubblico, senza condizionamenti (pressioni): un presidio di garanzia dell’imparzialità dell’azione amministrativa [16].
Il successivo comma 50, del cit. art. 1, individuando gli incarichi (o le situazioni) di provenienza che assumono valenza ostativa per il conferimento degli incarichi di destinazione di cui al comma 49, circoscrive l’ipotesi di inconferibilità, ivi prevista, alla provenienza politica del nominato, inserendo alla lettera b), quale unica ipotesi di provenienza non politica ostativa: nel contesto dell’intero comma l’espressione «indirizzo politico» è usata ripetutamente dalla disposizione, anche laddove essa introduce il criterio direttivo della “graduazione”, rilevando che nell’individuare gli incarichi di provenienza ostativi, la legge delega si è limitata ad indicare solo quelli di natura «politica» (comma 50, lettera c), con esclusione di quelli di natura amministrativo-gestionale (salvo il caso, già ricordato, di cui al comma 50, lettera b).
L’approdo riscontra, in coerenza di quanto evidenziato dall’ANAC, nell’ambito della sua attività istituzionale di segnalazione e di impulso al Parlamento e al Governo, nelle cariche di presidente e di amministratore, tanto degli enti pubblici, quanto degli enti privati in controllo pubblico, non trovano riportate titolarità di funzioni di indirizzo politico (in senso stretto, come ipotizza la delega del comma 50), ma piuttosto di funzioni di indirizzo politico-amministrativo (per gli enti pubblici) e di indirizzo politico “aziendale” (per gli enti di diritto privato in controllo pubblico), con l’eliminazione di tali posizioni dal novero di quelle che comportano inconferibilità.
In parole diverse, se si vuole presidiare l’imparzialità con una tutela anticipata, il rischio della provenienza (giustificazione) nella natura “politica” della precedente posizione ricoperta dal soggetto da incaricare, viene considerata potenzialmente (strutturalmente) confliggente con tale esigenza (di terzietà), che preclusiva da una precedente militanza di parte (quella politica, portatrice ex se di interessi particolari, di quel determinato gruppo di elettori/sostenitori).
Il legislatore delegante, annota la Corte, ha effettuato un bilanciamento, ritenendo di sacrificare, entro un certo limite, «le istanze pur ricollegabili a interessi costituzionalmente protetti – come l’efficienza dell’agire amministrativo e l’accesso al lavoro dei professionisti – a fronte dell’interesse a garantire l’imparzialità dell’azione amministrativa, anche nella forma ampiamente anticipata della “apparenza” di imparzialità», con la conseguenza che l’estensione della «garanzia preventiva anche ad ipotesi prive di qualsiasi percepibile collegamento con lo svolgimento di cariche o incarichi “politici” appare, dunque, estranea all’obiettivo perseguito dal legislatore delegante e finisce, anzi, per pregiudicarlo»: l’inserimento di una ulteriore ipotesi di inconferibilità estranea alla connotazione politica costituisce un eccesso di delega (oltre i limiti del voluto), con un inevitabile pregiudizio dalla commistione del principio di separazione, oltre che alla necessaria interpretazione restrittiva (e non estensiva) in presenza di clausole di limitazione alle libertà di accesso all’impiego.
Una corretta esegesi non può esercitarsi in una interpretazione in termini estensivo/analogici di una norma di carattere eccezionale, quale la disciplina delle inconferibilità [17]: le norme che impongono limiti ai diritti di elettorato attivo e passivo, incluse quelle sulla compatibilità, sono di stretta interpretazione, con la conseguenza, la disciplina speciale disposta dal d.lgs. n. 39 del 2013 concerne esclusivamente l’inconferibilità/incompatibilità ivi descritte, ed in ragione di tale natura le previsioni della norma non possono che essere interpretate in senso scrupolosamente letterale e, soprattutto, senza esorbitare dal puntuale contesto cui le stesse espressamente si riferiscono [18].
A rafforzare il convincimento, l’erronea definizione di «componenti organi di indirizzo politico» (di cui all’art. 1, comma 2, lettera f), del d.lgs. n. 39 del 2013) con l’inserimento di soggetti che non hanno fatto parte ad organi di rilevanza politica, quali quelli di indirizzo «di enti di diritto privato in controllo pubblico», operando una commistione tra incarichi politici e incarichi di mera gestione amministrativo-aziendale, che devono invece essere tenuti distinti.
Osservazioni minime
La sentenza manifesta un chiaro principio normativo di fondo (sempre se l’interlocutore intende vederlo), aspetto non del tutto marginale in tema di prevenzione della corruzione, ove la separazione di ruoli costituisce un imperativo categorico (una forma eticamente sensibile del dover essere), assegnando alla provenienza politica una capacità “certificata” ex lege di condizionare gli eventi: l’assegnazione di un incarico, mentre l’aver ricoperto un incarico tecnico costituirebbe un esimente al raffreddamento, come se il raffreddamento (una fictio iuris) escludesse la permanenza del conflitto di interessi (e viceversa).
Anzi l’inserimento di questa preclusione del legislatore delegato lederebbe un altro diritto fondamentale (il diritto al lavoro), ribadendo un valore posto tra i principi fondanti dell’ordinamento (ex art. 1 Cost), quando, non molto tempo passato (giusto per non dimenticare il male), la mancata certificazione verde costituiva un inesorabile impedimento (ex ante) all’abilitazione ad un lavoro [19], ad ogni lavoro (e in molti non videro tale eccesso, invocando una riserva di scienza o l’ignoto irriducibile) [20]: «il lavoro è legato, in maniera indissolubile, alla persona, alla sua dignità, alla sua dimensione sociale, al contributo che ciascuno può e deve dare alla partecipazione alla vita della società. Il lavoro non è una merce… Il lavoro è libertà… Il lavoro deve essere libero da condizionamenti, squilibri, abusi che creano emarginazione e dunque rappresentano il contrario del suo ruolo e del suo significato» [21].
(Pubblicato, LexItalia.it, n. 6, 7 giugno 2024)
[1] Le situazioni di conflitto d’interesse, nell’ambito dell’ordinamento pubblicistico, non sono tassative, ma possono essere rinvenute volta per volta, in relazione alla violazione dei principi di imparzialità e buon andamento sanciti dall’art. 97 Cost. e per quanto non esista, nell’ordinamento giuridico, una definizione univoca e generale che preveda analiticamente tutte le ipotesi di conflitto di interessi, tale conflitto deve essere definito come quella condizione giuridica che si verifica quando, all’interno di una PA lo svolgimento di una determinata attività sia affidato ad un funzionario che è contestualmente titolare di interessi personali o di terzi, la cui eventuale soddisfazione implichi necessariamente una riduzione del soddisfacimento dell’interesse dell’Amministrazione, TAR Lazio, Roma, sez. I, 23 febbraio 2024, n. 3669.
[2] Cfr. TAR Lazio, Latina, sez. II, 14 febbraio 2024, n. 125.
[3] La ratio risulta finalizzata a impedire il contemporaneo svolgimento di cariche in organi di indirizzo politico e di incarichi pubblici di tipo gestionale e/o amministrativo connotati da imparzialità, TAR Lazio, Roma, sez. I – quater, 24 aprile 2024, n. 8171.
[4] Le deliberazioni ANAC, di approvazione dei PNA, costituiscono atti di indirizzo per tutte le amministrazioni pubbliche ai fini dell’adozione dei propri piani triennali anticorruzione (ora assorbiti nel PIAO), dove le varie misure indicate sono proposte come un elenco esemplificativo, e non tassativo, di possibili soluzioni alle problematiche rilevate ed analizzate dall’ANAC nei PNA, la cui adozione viene soltanto raccomandata, Cons. Stato, sez. VII, 31 agosto 2023, n. 8100.
[5] Il d.lgs. n. 39 del 2013 è applicabile integralmente alle regioni, ancorché a statuto speciale, in virtù dell’art. 22, comma 1, del cit. decreto, che dispone la prevalenza delle norme ivi contenute sulle diverse disposizioni di legge regionale senza operare alcuna distinzione tra regioni a statuto ordinario e a statuto speciale, Presidente ANAC, Fasc. Anac n. 4054/2023, Richiesta di parere in merito alla applicabilità delle disposizioni della Legge Regione omissis dettate in materia di criteri per le nomine e le designazioni di rappresentanti del Comune di omissis negli organi di amministrazione e controllo degli organismi controllati e/ o partecipati.
[6] ANAC, delibera n. 191 del 16 aprile 2024, Fasc. ANAC n. 537/2024, Presunta sussistenza di un’ipotesi di incompatibilità ex art. 12, co. 3, lett. b), del d.lgs. n. 39/2013 in capo ad un Consigliere del Comune di omissis.
[7] Corte Cost., sentenza n. 108 del 1994.
[8] TAR Lazio, Roma, sez. I, 14 novembre 2016, n. 11270.
[9] LUCCA, L’elogio della “spinta”: apologia classica di una nuova base giuridica del “raccomando”, comedonchisciotte.org, 7 febbraio 2021.
[10] Il riferimento: «f) per «componenti di organi di indirizzo politico», le persone che partecipano, in via elettiva o di nomina, a organi di indirizzo politico delle amministrazioni statali, regionali e locali, quali Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministro, Vice Ministro, sottosegretario di Stato e commissario straordinario del Governo di cui all’articolo 11 della legge 23 agosto 1988, n. 400, parlamentare, Presidente della giunta o Sindaco, assessore o consigliere nelle regioni, nelle province, nei comuni e nelle forme associative tra enti locali, oppure a organi di indirizzo di enti pubblici, o di enti di diritto privato in controllo pubblico, nazionali, regionali e locali».
[11] Il riferimento: «d) gli incarichi di amministratore di ente di diritto privato in controllo pubblico da parte di una provincia, di un comune con popolazione superiore a 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione».
[12] Vedi, TAR Lazio, Roma, sez. I – quater, 27 gennaio 2023, n. 1470, n. 1469, 1468 e 26 gennaio 2024, n. 1415.
[13] La Camera, con 460 voti favorevoli e 76 contrari, ha votato la fiducia posta dal Governo sull’approvazione, senza emendamenti ed articoli aggiuntivi, dell’articolo 1 del disegno di legge, già approvato dal Senato, modificato dalla Camera e nuovamente modificato dal Senato, recante Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione (C. 4434-B), nel testo delle Commissioni identico a quello approvato dal Senato.
[14] Si predilige la nozione di “organismo di diritto pubblico”, di derivazione europea dalla disciplina degli appalti pubblici, ispirata alla tutela della concorrenza, al fine di dare piena attuazione a quest’ultimo principio e contrastare l’elusione dell’obbligo di gara per l’affidamento degli appalti pubblici: viene dato rilievo a un approccio funzionale sulle concrete modalità con cui si esplica l’attività dell’ente, come emergono da una serie di elementi significativi, traendo il convincimento della rispondenza dell’azione a un interesse della collettività non industriale o commerciale. L’organismo di diritto pubblico svolge attività rivolta a un interesse generale, ossia un’attività necessaria affinché la Pubblica Amministrazione possa soddisfare le esigenze di interesse generale alle quali è chiamata, Cons. Stato, sez. V, 13 settembre 2021, n. 6272.
[15] Cfr. Corte Cost., sentenze n. 100 del 2020 e n. 150 del 2022.
[16] Cfr. Corte Cost., sentenze n. 70 del 2022, n. 304 del 2010, n. 103 del 2007 e n. 453 del 1990.
[17] Cons. Stato, sez. V, 20 febbraio 2024, n. 1684.
[18] Cfr. Cons. Stato, sez. III, 12 novembre 2014, n. 5583.
[19] Tra le molte, si rinvia, Tribunale L’Aquila, sez. lav., 13 settembre 2023, n. 136, che dichiara illegittima la sospensione dal lavoro per mancata vaccinazione con ristoro economico del lavoratore. Vedi, anche, Dipendenti comunali No Vax sospesi nel 2021: Il Comune transa e paga gli “arretrati”, padovaoggi.it, 24 maggio 2024.
[20] Vedi, FOÀ, Il nuovo diritto della scienza incerta: dall’ignoto irriducibile come noumeno al mutamento di paradigma, Diritto Amministrativo, 2022, fasc. 3.
[21] Intervento del Presidente della Repubblica in occasione della visita al sistema agroalimentare del distretto del cosentino nella celebrazione della Festa del Lavoro, Cosenza, 30 aprile 2024 (II mandato), quirinale.it/elementi/111002.