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Articolo Pubblicato il 26 Settembre, 2024

La legittimazione del consigliere comunale di minoranza

La legittimazione del consigliere comunale di minoranza

In premessa, possono vantare situazioni giuridiche soggettive tutelabili davanti al giudice amministrativo unicamente coloro che siano titolari di una posizione giuridica differenziata e qualificata, e non anche coloro che vantano una situazione soggettiva di mero interesse di fatto, per ciò solo non tutelabile in sede giurisdizionale.

Questi profili si caratterizzano in capo al Consigliere comunale non tanto sugli atti adottati, per estendere (non legittimamente) in sede giudiziaria il dibattito politico, quanto in presenza di una lesione ai propri diritti, impedendo una libera manifestazione della funzione di rappresentanza (un vulnus alla funzione): la legittimazione è sostenibile (proponibile l’azione) nel caso in cui venga lesa in modo diretto ed immediato la propria sfera giuridica per effetto di atti, direttamente incidenti sul diritto all’ufficio o sullo status ad essi spettante della carica di consigliere, che compromettano il corretto esercizio del loro mandato[1].

In poche parole, si impedisce di svolgere il mandato amministrativo, con iniziative lesive dei diritti attribuiti dalla legge o da regolamento del singolo Consigliere.

La legittimazione

In dipendenza di ciò, la legittimazione al ricorso in capo al Consigliere comunale viene riconosciuta solo quando si contesta una lesione diretta delle sue prerogative, ossia del munus che gli viene riconosciuto dall’ordinamento giuridico.

Di riflesso, logico corollario attinente al possesso della qualifica di Consigliere comunale (attiene alla carica) non può riconnettersi, in via automatica ed indifferenziata, la titolarità del diritto di azione avverso ogni delibera adottata dal Comune: il limite è la lesione alla funzione, ciò anche in considerazione del fatto che il giudizio amministrativo non è di regola aperto alle controversie tra organi o componenti di organi di uno stesso ente, ma è diretto a risolvere controversie intersoggettive[2].

Dunque, per fare un esempio, il Consigliere comunale non può impugnare un’ordinanza sindacale che non lede le sue prerogative consiliari[3].

Ne consegue che i conflitti interorganici trovano piuttosto composizione in via amministrativa (per esempio, con la mozione di sfiducia o altro atto di sindacato ispettivo) e non essendo ammissibile un’azione di singoli Consiglieri in relazione ad un dissenso nell’adozione degli atti o ad un contrasto funzionale tra Consiglio comunale e Giunta, che non può essere risolto prescindendo dalla volontà dei rispettivi organi, mentre tale azione si può configurare solo se vengano in rilievo atti incidenti in via diretta sullo “ius ad officium” di costoro.

Il caso

La sez. II Brescia, del TAR Lombardia, con la sentenza 23 settembre 2024 n. 752, individua una serie di casi nei quali il Consigliere comunale è legittimato a ricorrere al giudice a tutela delle proprie prerogative, afferenti all’incarico elettivo ricoperto, prerogative che devono essere espunte non solo formalmente ma con le dovute ritualità (tempi e modi), di qui la legittimazione a reagire contro l’ente di appartenenza allo scopo di ottenere, attraverso l’invocato annullamento, la riedizione del potere in relazione allo specifico affare, lamentando nel concreto la mancata allegazione agli atti (proposta di deliberazione) del Consiglio comunale dei documenti istruttori.

Nel caso di specie, l’Amministrazione riferiva che la documentazione era presente nel “portale” dedicato ai Consiglieri (confermando la “messa a disposizione” nei termini di rito) e gli stessi avevano partecipato attivamente (con emendamenti e votazione) alle sedute, con piena cognizione di causa.

Al di là dei singoli fatti e dell’infondatezza nel merito, il GA analizza la legittimazione in relazione alle violazioni dei diritti del Consigliere: la legittimazione ad agire dei Consiglieri di minoranza ha carattere eccezionale e va ricondotta a quelle ipotesi in cui costoro, agendo in giudizio, lamentano la lesione di quelle che sono le prerogative riconducibili al loro munus.

I membri del Consiglio comunale possono impugnare gli atti ritenuti pregiudizievoli, quando ravvisino e censurino (una lesione alla carica):

  1. a) le erronee modalità di convocazione dell’organo consiliare;
  2. b) la violazione dell’ordine del giorno;
  3. c) l’inosservanza del termine di deposito della documentazione necessaria per poter liberamente e consapevolmente deliberare, nel senso di non poter essere adeguatamente informati e di conseguenza esprimere un voto consapevole, compromettendo direttamente le prerogative (di libertà);
  4. d) la preclusione, in tutto o in parte, dell’esercizio delle funzioni relative all’incarico rivestito[4].

Merito

La sentenza, nella verifica delle condotte e delle prove, pur rilevando delle omissioni informative degli uffici, riferite alla documentazione non presente in fascicolo, postula (purtuttavia) che i Consiglieri di minoranza disponevano di una base conoscitiva sufficiente per deliberare: aspetto non indifferente e frequente nelle condotte ostruzionistiche perpetrate (in danno) ai lavori consiliari, dove i “pretesti istruttori” solo la regola[5].

Risulta appurato che gli uffici comunali, dopo aver messo a disposizione sui canali dedicati di una parte sostanziale della documentazione attinente all’ordine del giorno non avevano poi integrato, con i specifici quesiti posti dai Consiglieri nonostante la loro richiesta, dimostrando poca fattiva collaborazione ma non impedendo – in ogni caso – uno svolgimento della funzione, rientrando (tale condotta) nell’ambito della normale, e talvolta complicata, dialettica tra maggioranza e opposizione (il c.d. aspro diritto di critica).

Sotto questo aspetto, del tutto dirimente rispetto alla piena cognizione del deliberato, il giudice profila che la base conoscitiva inserita a fascicolo era del tutto idonea per esprimere un voto consapevole (utile partecipazione), mentre le richieste risultavano ultronee, espressioni di facoltà attinenti alla più ampia funzione di controllo sulla legittimità dell’operato della maggioranza, che poteva essere esercitata anche al di fuori della fase di approvazione dei deliberati.

L’approdo porta a ritenere che non necessariamente l’incompletezza documentale si può associare all’illegittimità della deliberazione, atteso che:

  • tale omissione o ritardo non costituisce ex se lesione delle prerogative inerenti l’“Ufficio” (inteso come ruolo di Consigliere comunale), rimanendo la tutela circoscritta in un ambito esclusivamente politico, all’interno dell’organo di cui fanno parte i Consiglieri, affidata all’espressione a verbale del proprio dissenso[6];
  • le violazioni formali o procedimentali non si traducono ipso facto in lesione dello “jus ad officium”, ma solo una violazione direttamente e specificamente incidente, sia pure in prospettiva strumentale, sulle prerogative (di accesso, di informazione, di documentazione, di partecipazione, di manifestazione del voto etc.) strettamente inerenti alla funzione;
  • l’eventuale vizio procedurale doveva essere messo a verbale (fatto valere) con l’attivazione delle contestazioni secondo la disciplina regolamentare, richiedendo (esigendo) una risposta formale (un pronunciamento del Consiglio), senza farvi sostanziale acquiescenza o astenendosi dal segnalarlo con mozioni d’ordine, richieste di sospensione o di rinvio della seduta, dimostrando concretamente la presunta lesione ai propri diritti di voto consapevole[7];
  • nella dialettica politica, anche di tipo organizzativo, possono tollerarsi anche comportamenti non propriamente collaborativi della maggioranza, o degli uffici comunali, dovendo semmai dimostrare nel concreto la lesione del munus ad officium, diversamente si «consentirebbe ad ogni consigliere di minoranza – pur in mancanza del peso politico per incidere sulle decisioni consiliari – di agire in via giudiziale per il loro annullamento»;
  • pure l’assenza ingiustificata dalla seduta del Consiglio comunale rientra nella normale dialettica politica, dovendo essere presa in considerazione quale strumento di lotta politica, solo quando il comportamento ed il significato di protesta, che il Consigliere comunale intende annettervi, siano in qualche modo esternati al Consiglio o resi pubblici in concomitanza alla estrema manifestazione di dissenso, di cui la diserzione delle sedute costituisce espressione[8].

Sintesi

La lesione diretta ed immediata del diritto all’ufficio del consigliere comunale può fare sorgere, quindi, la “”legitimatio ad agendum”, ovvero l’interesse personale al ricorso al fine del ripristino della situazione sostanziale lesa, attraverso la rimozione della situazione antigiuridica affidata all’organo giurisdizionale[9].

In sintesi, i componenti il Consiglio comunale possono impugnare in sede giurisdizionale le sole deliberazioni dell’organo collegiale, di cui fanno parte solo per i vizi del procedimento allorché tali vizi incidano sulla loro posizione giuridica di Consigliere, senza confondere la “mancata informazione” con le ordinarie relazioni, anche poco collaborative della maggioranza e/o degli uffici, che si presenta (notoriamente) nel c.d. agóne politico (nell’origine greca del significato di luogo di lotta/gara), fatto da normali “fraintendimenti e/o schermaglie”, oppure, da “silenti incomprensioni e immotivati ritardi” (c.d. tatticismi ostruzionistici), con un rimando melodico immeritato ad «un sottile dispiacere»[10].

In termini più chiari, senza indugiare oltre, deve riconoscersi la legittimazione attiva all’organo (Sindaco, Consiglio, Giunta) o a singoli componenti dello stesso (Sindaco, Consiglieri, Assessori), allorquando vengano in rilievo atti incidenti in via diretta sul munus e, quindi, su un diritto spettante alla persona investita della carica interferenti come tali sul corretto esercizio del mandato: solo la lesione diretta ed immediata del diritto all’ufficio della carica istituzionale può fare sorgere la legitimatio, ovvero l’interesse personale al ricorso al fine del ripristino della situazione sostanziale lesa, attraverso la rimozione della situazione antigiuridica affidata all’organo giurisdizionale[11].

Oltre le note e a margine, non deve ritenersi ammessa un’impugnativa nei confronti degli atti assunti dagli altri organi del Comune e nei confronti degli atti assunti dal Consiglio per motivi attinenti in via esclusiva al contenuto intrinseco della deliberazione consiliare[12].

[1] Anche i soggetti pubblici, è concesso uno speciale potere di iniziativa processuale, quale ulteriore strumento per un più efficace perseguimento dell’interesse pubblico di cui sono depositari, TAR Lazio, Roma, sez. I quater, 23 febbraio 2024, n. 3626.

[2] Non sembra invece ammissibile un’azione di singoli consiglieri in relazione ad un contrasto funzionale tra Consiglio e Giunta, che non può essere risolto prescindendo dalla volontà dei rispettivi organi, TAR Campania, Salerno, sez. III, 19 giugno 2023, n. 1444. Cfr. TAR Lazio, Roma, sez. II bis, 12 maggio, 2022, n. 5923; TAR Liguria, sez. I, 11 febbraio 2011, n. 266; TAR Lazio, Roma, sez. II, 3 maggio 2011, n. 3762; TAR Sardegna, sez. II, 27 giugno 2011, n. 664.

[3] TAR Calabria, sez. II, 30 gennaio 2023, n. 132.

[4] TAR Sicilia, Catania, sez. I, 6 luglio 2020, n. 1639; TAR Campania, Napoli, sez. I, 24 gennaio 2024, n. 631.

[5] Vedi, M. LUCCA, Diritti dei consiglieri comunali, condotte ostruzionistiche e tumulti in Consiglio comunale: trasparenza e bilanciamento di poteri per una soluzione concreta, LexItalia.it, 13 giugno 2017, n. 6, ove si annota che gli insulti, le urla, i tumulti sono espressioni che compromettono il sereno svolgimento dei lavori, potendo giungere – nel lato estremo – a situazioni di “ordine pubblico”, con la richiesta di intervento esterno delle Forze dell’ordine.

[6] Cons. Stato, sez. V, sentenza n. 692 del 2024.

[7] TAR Sicilia, Catania, sez. V, 23 ottobre 2023, n. 3134.

[8] Cfr. Cons. Stato, sez. V, 20 febbraio 2017, n. 743.

[9] Cfr. Cons. Stato, sez. IV, 13 aprile 2021, n. 3034.

[10] L. BATTISTI – MOGOL, Emozioni., 15 ottobre 1970.

[11] TAR Campania, Salerno, sez. II, 22 ottobre 2015, n. 2211.

[12] La legittimazione a ricorrere può predicarsi solamente nell’ipotesi in cui gli atti di un organo di governo del comune siano idonei ad incidere sulle competenze riservate ad un altro organo e quest’ultimo sia stato escluso dal circuito procedimentale di verifica della legittimità e opportunità di tale determinazione, venendo, in sostanza, esautorato ab externo delle competenze (delineate dalla legge o dallo statuto) ad esso riservate, TAR Sicilia Catania, sez. I, 5 settembre 2024, n. 2978.