- La disciplina. 2. L’intervento della Corte Cost. 3. Legittime prospettive. 4. Utili spunti. 5. L’applicazione dei principi. 6. Ragioni della modifica del canone. 7. Pronunciamento. 8. Proiezioni. 9. Perle.
La liberalizzazione dei servizi pubblici di distribuzione del gas naturale (ai sensi del d.lgs. n. 164/2000)[1] ha comportato l’apertura al mercato, con il conseguente obbligo di procedere con l’avvio degli affidamenti mediante gare aperte, negli ambiti di riferimento territoriale minimi (Ambiti Territoriali Ottimali per distribuzione gas naturale, ATEM)[2], rendendo necessario portare a conclusione le convenzioni/contratti (in essere) per la concessione del servizio[3], determinando il valore delle infrastrutture da monetizzare a cura del gestore uscente, con il subentro del nuovo concessionario[4].
- La disciplina
L’art. 14, Attività di distribuzione, del cit. decreto n. 164, dopo aver precisato che «l’attività di distribuzione di gas naturale è attività di servizio pubblico… affidato esclusivamente mediante gara», chiarisce che gli Enti locali possono affidare il servizio, anche in forma associata, con contratti di servizio, nel rispetto «degli standard qualitativi, quantitativi, ambientali, di equa distribuzione sul territorio e di sicurezza», valorizzando alcuni criteri di aggiudicazione, quali «le migliori condizioni economiche e di prestazione del servizio, del livello di qualità e sicurezza, dei piani di investimento per lo sviluppo e il potenziamento delle reti e degli impianti, per il loro rinnovo e manutenzione, nonché dei contenuti di innovazione tecnologica e gestionale presentati dalle imprese concorrenti», nell’intento evidente (la c.d. ratio legis) di promuovere, con risorse private, una migliore distribuzione e potenziamento della rete di trasporto (e del servizio pubblico per l’utenza finale).
Il comma sette, dell’art. 14 cit., aveva cura di precisare, nelle more della procedura di gara, «non oltre un anno prima della scadenza dell’affidamento, in modo da evitare soluzioni di continuità nella gestione del servizio», che il gestore uscente restava «comunque obbligato a proseguire la gestione del servizio, limitatamente all’ordinaria amministrazione, fino alla data di decorrenza del nuovo affidamento»: una sorta di obbligazione ex lege sine die, di gestione del servizio a canone definito nel contratto (o convenzione) di servizio.
La fonte di riferimento da una parte, intende aprire alla concorrenza opponendosi agli affidamenti/concessioni senza gara, dall’altra parte, impone un canone invariabile, pur quando le gare non giungono ad un celere affidamento: di fatto “agevolando” quelle gestioni affidate direttamente (un ossimoro giuridico: video meliora proboque, deteriora sequor).
In effetti, nel corso delle riforme del Codice dei contratti, la “revisione prezzi” si presenta come una clausola obbligatoria (natura pattizia delle obbligazioni), avendo una finalità plurima, da un lato, quella di salvaguardare l’interesse pubblico a che le prestazioni di beni e servizi alle Pubbliche Amministrazioni non siano esposte – col tempo – al rischio di una diminuzione qualitativa, a causa dell’eccessiva “onerosità sopravvenuta” delle prestazioni stesse, e della conseguente incapacità del fornitore di farvi compiutamente fronte[5], dall’altro lato, quella di evitare che il corrispettivo del contratto di durata subisca aumenti incontrollati, nel corso del tempo, tali da sconvolgere il quadro finanziario sulla cui base è avvenuta la stipulazione del contratto (ossia, incidendo inequivocabilmente nel sinallagma negoziale)[6].
Un diritto inteso come diritto alla rinegoziazione del valore (prezzi/canone) contrattuale, conseguente alla sopravvenienza di fattori imprevedibili o modifiche delle condizioni originarie dell’offerta, che alterano l’originario equilibrio sinallagmatico (comportando per l’aggiudicatario un onere di documentare le sopraggiunte necessità, qualora non inserita la modalità, quella revisionale, nel contratto): un diverso bilanciamento delle reciproche posizioni economiche, avuto riguardo alla comparazione dell’interesse pubblico, alla qualità della fornitura, e quello privato, ad utile minimo.
Da alcuni sofisti definita una questione etica, evitando che la posizione debole (il gestore) soccomba al potere dell’Autorità pubblica.
Su questo ultimo aspetto cogente, l’art. 1, comma 453, della legge n. 232/2016 (finanziaria 2017), il legislatore è intervenuto con una propria indicazione (c.d. interpretazione autentica): la norma del comma sette «si interpreta nel senso che il gestore uscente resta obbligato al pagamento del canone di concessione previsto dal contratto», motivando la scelta con il «raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica da parte degli enti locali», sterilizzando, in pratica (nel concreto) ogni richiesta di adeguamento del corrispettivo (canone originario), alterando il principio generale dei contratti di fornitura (quelli pluriennali di somministrazione) ove la clausola di adeguamento dei prezzi è una regola[7].
Un aggravamento (fatica) imposto al concessionario uscente in attesa del nuovo gestore (dura lex sed lex).
- L’intervento della Corte Cost.
La Corte cost., investita della questione nel giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale, con la sentenza del 7 dicembre 2021, n. 239, dopo aver chiarito che l’intervento legislativo (quello del d.lgs. n. 164/2000) aveva lo scopo di superare il sistema all’epoca vigente, spesso basato sull’affidamento diretto, introducendo un meccanismo di affidamento mediante gara e fissando, altresì, termini precisi per la cessazione delle concessioni già in corso, che sono stati oggetto di successive proroghe (normative), dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 453, della legge 11 dicembre 2016, n. 232 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019), sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione.
La norma ha resistito sotto il profilo della sua costituzionalità, vi è l’obbligo (debenza) del gestore nel continuare a versare il canone concessorio sia in forza del richiamato comma 7, dell’art. 14 del d.lgs. n. 164/2000, sia applicando l’art. 1, comma 453, della legge n. 232/2016[8].
Invero, la Corte, pur ammettendo che sono presenti «ragioni per cui la proroga ex lege, ricorrendo determinate circostanze, potrebbe effettivamente determinare un irragionevole squilibrio delle prestazioni contrattuali», chiude definitivamente le contestazioni, riferite alla determinazione del canone nel corso del rapporto convenzionale, anche se riferito ad un periodo successivo alla scadenza naturale del contratto concessorio: aprendo (invero) una via (portone) sulla possibilità di rinegoziare il canone concessorio a determinate condizioni (aspetto non sottoposto alla Corte stessa).
- Legittime prospettive
In questa ampia e illustre disamina della Corte sull’intera trattazione, viene fornita, tuttavia, una indicazione di merito non del tutto avulsa da riflessi operativi, ossia sulle soluzioni possibili, pur in pendenza di una chiara indicazione del legislatore, osservando che «la proroga del rapporto limitatamente all’ordinaria amministrazione, ivi compresa l’obbligazione del canone concessorio previsto dal contratto, non escluderebbe la possibilità per le parti di ottenere una revisione degli obblighi contrattuali, compatibilmente con il vincolo per le stesse parti di non poter recedere dal rapporto sino al nuovo affidamento, che resterebbe fermo in forza della previsione di legge speciale di cui all’art. 14, comma 7, del d.lgs. n. 164 del 2000».
In termini diversi, si può comprendere dalla lettura della sentenza, quando il concessionario ritarda l’indizione della gara, ovvero la procedura di aggiudicazione si dilata in modo irragionevole, con ritardi più che significativi nell’avvio delle gare quali «fatti non riconducibili al concessionario che incidono sull’equilibrio del piano economico finanziario», risulta possibile dimostrare «dal concessionario un sopravvenuto squilibrio contrattuale», che «potrebbe legittimare una richiesta di revisione» del canone; richiesta che, «in caso di mancata o negativa risposta dell’Amministrazione, potrebbe anche essere fatta valere nelle competenti sedi giurisdizionali».
Una apertura che non esige ulteriore interpretazione.
A rafforzare tale constatazione, la Consulta non esita a precisare che anche la giurisprudenza di merito non ha escluso «un’incompatibilità con la Costituzione della disposizione censurata» e «non ha negato, in via generale, la possibilità di esperire i rimedi previsti dall’ordinamento, ivi compresi quelli civilistici, compatibilmente con la disciplina di settore».
In breve, l’inerzia dell’Amministrazione di indire la gara per l’affidamento del servizio non può ricadere nel concessionario, dovendo tenere «conto della possibilità di applicare gli istituti posti a presidio dell’equilibrio contrattuale nelle concessioni» (una regola civilistica applicabile); sicché in mancanza di un adeguamento del canone il gestore potrà rivendicare legittimamente l’impossibilità di operare in perdita (ad libitum), e, dunque, recedere lecitamente dalla concessione/contratto, imputando la responsabilità alla controparte, incapace di allestire una gara: un danno dimostrabile, anche, utilizzando i principi generali dell’agire della PA, ben canonizzati già nei primi articoli della legge n. 241/1990 (l’obbligo di provvedere)[9].
- Utili spunti
L’eccessiva onerosità sopraggiunta porta a ritenere che la parte svantaggiata possa recedere dal contratto stipulato, ovvero liberarsi da un’obbligazione che si presta ad effetti solo negativi (distorsivi della concorrenza), senza alcuna utilità se non l’aggravamento del danno, rilevando che la regola civilistica generale, per i contratti a esecuzione continuata o periodica, ovvero a esecuzione differita, desumibile dall’art. 1467 c.c., pone questa ipotesi come unica possibile conseguenza dell’eccessiva onerosità sopravvenuta, nei contratti con prestazioni corrispettive: il rimedio risolutorio del contratto (comma 1), ma non quello conservativo, salva la facoltà concessa alla parte non incisa dal «verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili» di evitare la risoluzione «offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto» (comma 3)[10].
Dato il tenore della disposizione di carattere generale, è da escludere che sia rinvenibile, nell’ordinamento di diritto civile, un principio generale di rinegoziazione contrattuale rimessa all’iniziativa della parte svantaggiata, in caso di circostanze sopravvenute e imprevedibili che abbiano alterato il sinallagma contrattuale, dovendo ammettere che l’alterazione, in questa particolare evenienza, è correlata alla mancata indizione della gara Una colpa della PA), essendo la proroga funzionale all’individuazione del nuovo gestore.
In detta proroga ex lege si pretenderebbe di cristallizzare – con l’invarianza – una parte determinante del rapporto: il canone.
Se le deroghe alla regola che privilegia la risoluzione rispetto alla manutenzione del contratto devono essere espressamente previste, in apposite norme di legge, da ritenersi a portata eccezionale[11], appare altrettanto coerente e persuasivo che l’inadempimento dell’Amministrazione concedente, nell’indizione di una nuova gara (rectius individuazione del nuovo gestore), costituisce giusta causa (nesso causale) per un preteso adeguamento negoziale, giusto il concorso dell’inerzia tra i validi motivi che conducono all’eccessiva onerosità sopraggiunta.
Il precipitato operativo, non solo formale, conduce a valutare la vicenda nel suo complesso fattuale, dove una parte del costrutto normativo non ha trovato adeguato compimento (alias aggiudicazione del nuovo gestore), sicché non si possono escludere le opzioni percorribili:
- adeguamento del canone;
- risoluzione in danno della concessione, con ristoro di quanto patito dal privato per l’inerzia dell’Amministrazione.
- L’applicazione dei principi
La sez. I Brescia, del TAR Lombardia, con la sentenza 27 dicembre 2024, n. 1049, su questa solida scia interpretativa, legittima l’azione di un gestore affinché l’Amministrazione provveda alla revisione delle condizioni economiche di affidamento del servizio di distribuzione del gas naturale nel territorio comunale.
Nei fatti, un Comune rimane silente (silenzio inadempimento) all’istanza (con più solleciti) di un gestore del gas per la rideterminazione del canone concessorio e altre condizioni economiche, donde la richiesta al TAR dell’accertamento dell’obbligo di pronunciarsi (differimenti nell’adottare un provvedimento di riscontro).
Nel focus motivazionale viene richiesto di condannare il Comune ad avviare il procedimento funzionale alla rivalutazione delle condizioni di affidamento della concessione per la distribuzione del gas naturale, adottando le misure necessarie a riequilibrare il rapporto contrattuale, entro un termine non superiore a 30 giorni, con richiesta di nomina di Commissario ad acta in caso di perdurante inerzia.
- Ragioni della modifica del canone
Il Collegio, dopo aver richiamata la disciplina di riferimento, il contratto scaduto con il gestore, l’inerzia di bandire la gara da parte dell’ATEM in cui ricade il Comune, la prosecuzione del servizio pubblico alle medesime condizioni pattuite nel contratto scaduto (in forza della proroga ex lege), analizza le ragioni (le fondamenta) della richiesta del gestore di modificazione del canone:
- rapporto tra ricavi di gestione da un lato, ed investimenti e costi del servizio sostenuti, dall’altro;
- attuale valore degli impianti e delle reti, non essendo riconosciuti e remunerati adeguatamente quelli di proprietà realizzati (sostenendo ingenti investimenti previsti nel Piano Industriale);
- la conseguenza del mancato adeguamento si riverbera direttamente sull’insostenibilità dell’originario ammontare del canone, essendo divenuto il servizio non solo antieconomico, ma addirittura foriero di perdite.
- Pronunciamento
Il Tribunale si pronuncia, sulla base delle indicazioni esposte (alla luce) nella sentenza n. 239/2021 della Corte cost., dove è stata affermata la una la sussistenza astratta della possibilità di procedere al riequilibrio delle condizioni contrattuali, in ipotesi di stravolgimento dell’assetto economico – finanziario, nonché il dato normativo della previsione dell’art. 1, comma 2 bis, della legge 241/1990, secondo cui la Pubblica Amministrazione impronta i rapporti con il cittadino ai principi di collaborazione e buona fede.
L’autorevole tessuto esegetico e il fondamento normativo, reputa il Collegio:
- avrebbe dovuto imporre all’Amministrazione civica di dare riscontro all’istanza della parte ricorrente (il gestore);
- precisa, infatti, che la sentenza «sta semplicemente affermando l’obbligo del Comune … di provvedere espressamente sulla richiesta … e non già il differente obbligo di concedere, tout court, il preteso adeguamento del canone».
È noto che non vi può essere interferenza tra pronuncia giudiziale e valutazione del merito, non potendo il Tribunale sostituirsi all’Amministrazione sulla soluzione da prendere, venendo in rilievo valutazioni di carattere discrezionale ad essa riservate e non potendo, ex art. 34, comma 2, c.p.a., il GA pronunciarsi «con riferimento a poteri amministrativi non ancora esercitati», se non nella fattispecie contemplata dall’art. 31, comma 3, c.p.a. di cui però, non ricorrono i presupposti.
L’approdo porta alla dichiarazione dell’illegittimità del silenzio, con l’obbligo di provvedere entro un termine di trenta giorni dalla comunicazione o notificazione della sentenza emessa, scaduto il quale senza esito, la parte ricorrente potrà senz’altro richiedere la nomina di un Commissario ad acta, per dare compimento al procedimento (ossia, la revisione del canone), con soccombenza dell’Amministrazione non costituita.
- Proiezioni
Le considerazioni testé riferite dimostrano, senza ulteriore passo argomentativo, che in presenza di un dimostrato squilibrio negoziale l’Amministrazione non può differire l’obbligo di provvedere, ossia, non valutare le regioni dell’alterazione del rapporto negoziale in danno della parte privata (il gestore), con una condotta non legittima di procrastinare il dovuto (un’aspettativa qualificata).
Appurato il divario in base alle indicazioni della Corte Cost. (peraltro, su questioni non direttamente trattate, poiché non sottoposte al suo esame), già presenti nella disciplina civilistica (nonché in quella comunitaria) e riportate (positivizzate) nel Codice dei contratti pubblici, l’Amministrazione dovrà svolgere un’istruttoria al fine di ripristinare le condizioni negoziali (l’equilibrio del c.d. sinallagma), potendo optare (motivatamente, essendo presenti tutte le condizioni giustificative) per l’adeguamento del canone, viceversa recedere dal contratto, liberando il privato concessionario gestore del servizio da un’obbligazione in danno, specie ove sia dimostrata la colpevole inerzia nell’affidare il servizio (ben oltre la proroga tecnica), valutabile sotto il profilo risarcitorio.
Sulla traccia delle cit. considerazioni, va detto senza esitazione che l’ordinamento non solo contempla già un rimedio per consentire, alle parti del contratto di affidamento del servizio di distribuzione del gas, di rinegoziarne le condizioni, assicurando persino la possibilità di recedere dal contratto, ove tale rinegoziazione non vada a buon fine, ma riconosce pure al concessionario del servizio, che non intenda perseguire tale via, strumenti tanto per reagire all’inerzia dell’Amministrazione nel provvedere all’indizione delle gare (o all’esercizio dei poteri sostitutivi), quanto per neutralizzare – sotto forma di risarcimento del danno derivante tale inerzia – l’eventuale minore redditività, o addirittura la perdita, conseguente alla “sclerotizzazione” del rapporto contrattuale[12].
Pensare che il legislatore, in spregio con la disciplina dell’Unione Europea (sulla piena libertà del mercato, sulla tutela del legittimo affidamento, sulla certezza del diritto, della libertà d’impresa e del diritto di proprietà), contro ogni posizione/assetto anticoncorrenziale, ammetta il persistere di contratti affidati senza gara, oppure la prosecuzione degli stessi con proroghe ex lege, e – allo stesso tempo – incentivi le gare e i poteri sostituivi per effettuarle, appare del tutto fuorviante, sproporzionato, irragionevole ed eccessivo, finendo con il disincentivare l’interesse stesso posto alla base della disciplina attuativa (quella comunitaria della direttiva n. 98/30/CE, recante norme comuni per il mercato interno del gas naturale).
L’inerzia nell’indizione delle gare più che garantire la protrazione del servizio, con l’invariata obbligazione sulla determinazione del pagamento del canone al concessionario, semmai espone l’Amministrazione al risarcimento del danno a favore del gestore uscente: un ristoro associato alla possibilità di esperire il recesso in caso di ingiustificato rifiuto di revisione della concessione da parte dell’Ente locale (aspetto validamente considerato dal Giudice delle leggi, in caso di dimostrato sopravvenuto squilibrio contrattuale)[13].
In definitiva, se una norma speciale obbliga la prosecuzione della gestione ordinaria da parte del gestore uscente, in presenza di condizioni avverse (nei termini descritti dalla Corte Cost.) l’Amministrazione non può (celarsi) invocare indebitamente l’interpretazione autentica quando altre fonti, di pari intensità, obbligano un riequilibrio negoziale, in mancanza del quale la continuità del servizio è contra ius (fonte di danno, oltre in aperta antitesi con i precetti dell’art. 41 e 42 Cost., e quelli dei Trattati comunitari).
- Perle
A fronte a questo panorama melanconico ed esteso di gare incagliate (contenziosi, a parte), sarebbe auspicabile (da auspicio, nell’uso dell’antica Roma) una diversa regolamentazione più semplificata, ma sembra chiedere troppo e subito (quis custodiet ipsos custdōdes?).
(Pubblicato, dirittodeiservizipubblici.it, 7 gennaio 2025)
[1] L’attività di distribuzione di gas naturale è un servizio pubblico concepito come affidabile esclusivamente mediante gara, osservando che uno degli scopi della disciplina dettata dal d.lgs. n. 164/2000, è stato quello di creare un mercato della distribuzione del gas: l’obbiettivo strategico in relazione alle norme ed ai principi comunitari e nazionali, che tutelano i valori che vanno dal libero mercato e la concorrenza, alla tutela della liberà di impresa e di stabilimento e, per tale via, alla creazione di un mercato unico e non certo a favorire gli operatori già presenti sul territorio e affidatari di appalto o servizi senza gara, evitando di scoraggiare, se non di impedire, l’accesso al mercato da parte di nuovi competitori, Cons. Stato, sez. V, 22 gennaio 2015, n. 272.
[2] Il servizio di distribuzione del gas può essere affidato unicamente per ambiti territoriali, TAR Lombardia, Brescia, sez. II, 29 marzo 2012, n. 555.
[3] La normativa comunitaria non osta a che la normativa nazionale preveda il prolungamento della durata del periodo transitorio per la cessazione anticipata di una concessione di distribuzione del gas naturale, purché tale proroga possa essere considerata necessaria a permettere di sciogliere i rapporti contrattuali a condizioni accettabili, sia dal punto di vista delle esigenze del servizio pubblico, sia dal punto di vista economico, Cons. Stato, sez. V, 26 luglio 2010, n. 4873.
[4] Il quantum va correttamente commisurato alla remunerazione del capitale investito netto, vale a dire la grandezza di riferimento che l’art. 8, comma 3, del d.m. n. 226 del 2011, riconosce per calcolare il valore di utilizzo degli stessi cespiti da parte del concessionario subentrante, correlata al calcolo della componente tariffaria VRD (vincolo sui ricavi di distribuzione), TAR Veneto, sez. I, 15 maggio 2024, n. 1025. Vedi, anche, Corte conti, sez. contr. Abruzzo, delibera n. 234 del 1° dicembre 2016.
[5] Cfr. Cons. Stato, sez. VI, 7 maggio 2015, n. 2295 e sez. V, 20 agosto 2008, n. 3994.
[6] Cons. Stato, sentenza n. 25/2017.
[7] La revisione del prezzo per i contratti di durata, il carattere tassativo dell’obbligo, derivante dalla necessità di ricondurre in equilibrio il programma contrattuale, risponde all’esigenza di verificare se siano medio tempore cambiate le condizioni di mercato e procedere, se del caso, laddove effettivamente vi sia stata una variazione, alla revisione dei prezzi inizialmente pattuiti tra le parti, a partire almeno dal secondo anno di esecuzione del contratto, Corte Conti, sez. contr. Marche, deliberazione n. 2/2008/Par del 10 dicembre 2007.
[8] Vedi, per una disamina lucida e dettagliata, CEREDA, Canone di concessione del gas naturale ai comuni: è dovuto anche a concessione scaduta, dirittodeiservizipubblici.it, 25 gennaio 2022.
[9] Contro la violazione dei termini di conclusione del procedimento il rimedio generale è quello dell’azione contra silentium, Cons. Stato, sez. IV, 30 maggio 2023, n. 5292. L’omessa emanazione del provvedimento finale assume il valore di silenzio inadempimento, in quanto sussista un obbligo giuridico di provvedere, e cioè di esercitare una pubblica funzione attribuita normativamente alla competenza dell’organo amministrativo destinatario della richiesta, mediante avvio di un procedimento amministrativo volto all’adozione di un atto tipizzato nella sfera autoritativa del diritto pubblico: in mancanza di un simile presupposto, l’inerzia dell’Amministrazione non può qualificarsi in termini di silenzio inadempimento, Cons. Stato, sez. II, 19 febbraio 2024, n. 1606.
[10] TAR Veneto, sez. I, 20 dicembre 2024, n. 3020.
[11] Cfr. Cons. Stato, sez. V, 18 novembre 2024, n. 9212.
[12] Cass. civ., sez. I, 24 gennaio 2024, n. 2345.
[13] La possibilità per l’Amministrazione di essere chiamata in futuro a rispondere – sul piano risarcitorio – della propria inerzia dovrebbe valere, quantomeno, a “controbilanciare” la tentazione di prorogare sine die e a propria discrezione il procedimento di individuazione del nuovo concessionario, Cass. civ., sez. III, 24 maggio 2023, n. 14351.