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Articolo Pubblicato il 26 Febbraio, 2025

Onere motivazionale rafforzato prima di una bocciatura

Onere motivazionale rafforzato prima di una bocciatura

La funzione della motivazione del provvedimento amministrativo, ex art. 3 della legge n.241/1990, è quella di consentire all’interessato (ovvero, colui che anela al “bene della vita”, portatore di un interesse pretensivo) la ricostruzione dell’iter logico-giuridico (fatto e diritto) attraverso cui l’Amministrazione si è determinata ad adottare un atto, che incida la propria sfera giuridica, con il fine di controllare il corretto esercizio del potere, onde far valere, eventualmente, le proprie ragioni qualora ritenesse la condotta (l’atto) illegittimo e causa di pregiudizio (annullamento e risarcimento danni).

Rendere conto

In termini più divulgativi, l’Autorità emanante deve porre il destinatario del provvedimento amministrativo in condizione di conoscere le ragioni ad esso sottese, costituendo, la motivazione del provvedimento, il presupposto, il fondamento, il baricentro e l’essenza stessa del legittimo esercizio del potere amministrativo: un presidio di legalità sostanziale insostituibile, soprattutto quando il provvedimento incida negativamente il suo destinatario.

Infatti, per principio generale, nel nostro Ordinamento nessun potere, per quanto supportato da amplissima discrezionalità (con la esclusione dei cd “atti politici”, liberi nel fine) può essere esercitato omettendo di dare contezza (seppur generica e succinta, quanto maggiore è il quantum di discrezionalità attribuito) dei presupposti in base al quale si è giunti ad una data soluzione[1].

L’obbligo di motivazione è funzionale in tutti i procedimenti ad istanza di parte, anche di «manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza della domanda, le pubbliche amministrazioni», concludendo «il procedimento con un provvedimento espresso redatto in forma semplificata, la cui motivazione può consistere in un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo», ai sensi del secondo periodo del comma 1, dell’art. 2 della legge n. 241/1990, confermando il “dovere” di motivare gli atti, anche quando l’Amministrazione rigetta la richiesta per ragioni giuridiche non rimediabili.

Motivazione rafforzata

Pertanto, in presenza di un provvedimento negativo, preclusivo di un beneficio (ad esempio una promozione), per quanto non sia naturalmente possibile definire uno schema rigido, fisso ed immutabile di corredo motivazionale, ciò non impedisce di argomentare le conclusioni di una bocciatura, non potendo soffermarsi ad una motivazione ordinaria, dovendo agire in profondità dell’impianto in ragione dell’incidenza dell’interesse pubblico perseguito, soprattutto quando la fonte di riferimento esige una comparazione (elencazione) sulle preclusioni (impedimenti giustificativi) all’avanzamento di classe (aspetto che riassume principi esportabili in una molteplicità di procedimenti).

Quando la disciplina giuridica impone di esplicitare le ragioni della decisione, questo onere:

  • deve essere palesato, non potendo la motivazione esaurirsi in mere enunciazioni, o rimandi, che non chiariscono quale siano stati, in concreto, gli ostacoli affinché il soggetto (alunno) potesse superare, con esito positivo (la promozione), i propri limiti (visto che la scuola è maestra di vita, un’attitudine valoriale antica);
  • neppure si può con un’integrazione postuma della motivazione, in ragione di un divieto che inibisce all’Amministrazione di introdurre ex post nel corso di un giudizio vertente su una già assunta determinazione, elementi e fattori motivazionali della determinazione negativa, per giustificarne le ragioni a lite pendente, in tal guisa integrando il carente corredo motivazionale sub iudice[2].

Il pronunciamento

La sez. IV del TAR Veneto, con la sentenza 13 febbraio 2025, n. 219 (Estensore Avino), interviene annullando una bocciatura (verbale di scrutinio finale del Consiglio di Classe nella parte contenente il giudizio di non ammissione alla classe successiva) di un alunno (e condannando il Ministero alle spese) al passaggio alla classe superiore, in presenza di un quadro «di plus dotazione cognitiva, con elementi di ansia da prestazione e tendenza al perfezionismo, oltre ad una bassa autostima in ambito scolastico», non avendo da una parte, messo in atto delle misure specifiche di “aiuto/sostegno”, previste per i soggetti plusdotati (superiori alla norma, definiti in ambito internazionale come gifted children), dall’atro lato, omettendo di fornire agli atti (verbale) una motivazione “rafforzata” che desse conto (contezza, comprensione) della presenza di profili ostativi al passaggio di classe, secondo le indicazioni di legge e ministeriali.

Fatto

Nella sua essenzialità, i genitori del minore, con bisogni educativi speciali, ricorrono contro la bocciatura, ritenendo che la scuola non avrebbe preso in giusta considerazione la situazione del figlio, con profilo di “neurodiversità della plusdotazione cognitiva”: l’atto di esclusione (ammissione) alla classe superiore non riporta la motivazione della decisione, rilevando evidenti contraddittorietà, tra generiche impossibilità di recupero dei debiti e, allo stesso tempo, prospettando miglioramenti futuri; inoltre, l’assenza di un piano didattico personalizzato, in rapporto ai suoi bisogni specifici, in evidente contrasto con il generale favor per il miglioramento degli apprendimenti e per il successo formativo.

Si osservava, tra i motivi del ricorso, la possibilità di negare la promozione nei casi previsti dalla legge poteva essere ammessa, previo assolvimento dell’onere di fornire una motivazione adeguata (c.d. rinforzata) e con il dovere di attivare specifiche strategie per il miglioramento dei livelli di apprendimento parzialmente raggiunti: tutti aspetti non riscontrabili nell’atto di non ammissione.

Merito

Nel merito, l’annullamento trova riscontro nelle seguenti motivazioni:

  • i giudizi valutativi sono formulati in modo non adeguato, tali da non far comprendere le ragioni della mancata ammissione;
  • (di contro) la decisione contraria all’ammissione va adeguatamente giustificata all’esito di una verifica negativa della possibilità di recupero (un dato puntuale da rendicontare), nel corso dell’anno scolastico successivo, delle carenze riscontrate;
  • tutti aspetti non dimostrati, e in ogni caso carenze che non precludono l’esito positivo per l’avanzamento di classe, essendo astrattamente possibile promuovere l’alunno pur in presenza di alcune insufficienze[3];
  • il verbale di non ammissione si limita a citare i requisiti di legge, senza oggettivi riscontri sulle possibilità o meno di recupero: «la frase si riferisce genericamente agli alunni non ammessi», carenze che non consentono di ritenere “adeguata” la motivazione, ai sensi dell’art. 6, Ammissione alla classe successiva nella scuola secondaria di primo grado ed all’esame conclusivo del primo ciclo, del d.lgs. n. 62/2017, Norme in materia di valutazione e certificazione delle competenze nel primo ciclo ed esami di Stato, a norma dell’articolo 1, commi 180 e 181, lettera i), della legge 13 luglio 2015, n. 107;
  • l’istituto, a fronte di specifica posizione di studente plusdotato (ossia, dotato potenziale intellettivo), avrebbe dovuto effettuare una prognosi circa il possibile recupero, adottando le più opportune strategie presenti nella disciplina di riferimento.

In questo percorso argomentativo, suffragato dall’analisi del dato normativo e probatorio, il Collegio annota che è stato invertito l’ordine logico delle cose: la possibilità di acquisire competenze minime postula una precondizione essenziale: apprestare delle misure realmente efficaci per superare il deficit derivante dalla condizione di svantaggio: un’operazione a carico della scuola nell’esercizio della discrezionalità tecnica che le è propria.

Si conclude che il giudizio di non ammissione dell’alunno alla classe successiva risulta viziato per eccesso di potere sotto i divisati profili della carenza e contraddittorietà di motivazione, significando che l’iter logico seguito dalla scuola nell’affrontare il caso risulta esprimere un giudizio di “inadeguatezza” dell’alunno, con altrettante previsioni di “miglioramento” del minore, superando le criticità segnalate, non esprimendo, dunque, in modo inequivocabile (puntuale) i motivi dell’impossibilità di un miglioramento, se non rinviando (rinvio formale) alle norme senza un quid ulteriore di esposizione delle ragioni: in definitiva, una risposta standard attribuibile ad ogni situazione di non ammissione (senza differenziazioni da caso a caso), senza alcun ancoraggio (espressione oggi comunemente sostituita con “messa a terra”) alla singola situazione personale del minore.

Osservazioni

La sentenza dimostra l’indispensabilità di un’istruttoria che conduca ad una motivazione rafforzata, con un apparato probatorio in grado di dimostrare le condizioni a sostegno dell’atto negativo adottato, motivazioni che si possono riscontrare da relazioni, da attività svolte, da valutazioni specifiche sugli esiti di quanto fatto per affrontare al meglio le evenienze, dimostrando che, anche con un piano personalizzato, gli esiti non possono portare ad un risultato proficuo: un bilanciamento richiesto dalla legge.

L’approdo porta a ritenere che il Consiglio di Classe, nell’esercizio della propria discrezionalità, affinché possa legittimamente rifiutare l’ammissione dell’alunno alla classe successiva, occorre che assuma una decisione espressa corredata da “adeguata motivazione”, dovendo indicarsi le ragioni per le quali nel caso concreto, avuto riguardo alla posizione del singolo studente, non possa operare la regola generale, di prosecuzione del percorso di studi con l’ammissione alla classe successiva o all’esame conclusivo[4].

Peraltro, la bocciatura annullata non preclude la domanda di risarcimento dei danni da illegittimo esercizio dell’attività amministrativa, responsabilità ricondotta nel paradigma aquiliano di cui all’art. 2043 cod. civ.[5].

Dalla sentenza, emerge l’assenza di un’adeguata risposta ai bisogni del minore, una mancanza dell’adozione delle misure approntate dall’Ordinamento ad ausilio di determinate situazioni rimediabili, facendo esprimere un giudizio negativo sull’operato della scuola, giudizio che ha portato il GA ad annullare la bocciatura su questa mancanza, lasciando all’uomo comune (un lettore dei fatti) un senso di disagio (idem facit ratio), una freddezza d’animo prima, diligenza poi, nel non risolvere situazioni risolvibili (del futuro delle giovani generazioni).

[1] TAR Lazio, Roma, sez. I, 12 ottobre 2015, n. 11570.

[2] Cfr. TAR Campania, Napoli, sez. IV, 19 febbraio 2024, n. 1176. Nel processo amministrativo l’integrazione, in sede giudiziale, della motivazione dell’atto amministrativo è ammissibile soltanto se effettuata mediante gli atti del procedimento – nella misura in cui i documenti dell’istruttoria offrano elementi sufficienti ed univoci dai quali possano ricostruirsi le concrete ragioni della determinazione assunta – oppure attraverso l’emanazione di un autonomo provvedimento di convalida. È invece inammissibile un’integrazione postuma effettuata in sede di giudizio, mediante atti processuali, o comunque scritti difensivi, TAR Campania, Napoli, sez. VII, 2 gennaio 2025, n. 4, idem Cons. Stato, sez. II, 7 gennaio 2025, n. 40; TAR Sicilia, Palermo, sez. V, 17 giugno 2024, n. 1984. Cons. Stato, sez. VI, 29 aprile 2022, n. 3401.

[3] Cons. Stato, sez. VII, 19 settembre 2022, n. 8394, dove si chiarisce che se le insufficienze possono ex se legittimare la bocciatura, quale indice di mancata acquisizione di un sufficiente livello di apprendimento, allora laddove lo studente abbia dato prova di aver appreso quanto richiesto viene meno la rilevanza del precedente giudizio negativo.

[4] Cons. Stato, sez. VI, 20 gennaio 2021, n. 638 e 26 giugno 2020, n. 4107.

[5] TAR Liguria, sez. I, 5 ottobre 2022, n. 834.