In generale, parte della giurisprudenza[1], riconosce a chi subisce un procedimento di controllo o ispettivo un interesse qualificato a conoscere integralmente tutti i documenti amministrativi utilizzati nell’esercizio del potere di vigilanza, a cominciare dagli atti d’iniziativa e di preiniziativa, quali, appunto, denunce o esposti, non essendovi, alla luce del quadro normativo di riferimento, ostacoli a tale diritto di accesso, non offrendo l’ordinamento tutela alla segretezza delle denunce, a meno che la comunicazione del nominativo del denunciante non si rifletta negativamente sullo sviluppo dell’istruttoria, consentendo un differimento dell’accesso[2].
La riservatezza
In effetti, si può ritenere che la segnalazione può costituire essa stessa parte del procedimento, sia pure ai fini dell’attività di impulso, rendendo inconferente la riservatezza del whistleblower, tale da includere il diritto all’anonimato di colui che rende una dichiarazione che comunque va ad incidere nella sfera giuridica di terzi[3].
Un diniego all’actio ad exhibendum si profila ingiustificato se la motivazione si regge dalla necessità di tutelare la posizione di coloro che hanno sollecitato l’azione della PA, onde evitare che detta collaborazione di fatto venga a mancare per timore di comportamenti ritorsivi: invero, al richiedente della documentazione procedimentale, che include l’atto d’impulso (esposto) non appare possibile opporre esigenze di riservatezza – foss’anche per coprire o difendere il denunciante da eventuali reazioni da parte del denunciato, le quali, comunque, non sfuggono al controllo dell’autorità giudiziaria -, atteso che:
- per un verso, la tolleranza verso denunce segrete e/o anonime è un valore estraneo alla legalità repubblicana;
- per altro verso, l’eccessiva tempestività dell’accesso può tutt’al più giustificarne un breve differimento se ciò è opportuno per gli sviluppi dell’istruttoria, confermando l’accessibilità, seppure con un differimento dei termini per ragioni istruttorie[4].
Il pronunciamento
La sez. III, del TAR Toscana con la sentenza 6 marzo 2025, n. 362 (Est. Gisondi), respinge parzialmente la richiesta di copia di un esposto, esibendo la documentazione richiesta con l’oscuramento del nominativo (e-mail) del segnalante, ritenendo in un bilanciamento – tra accesso e riservatezza – l’assenza di un interesse difensivo, prevalendo la tutela del segreto epistolare, di una comunicazione ritenuta confidenziale.
La ponderazione concreta tra una richiesta ostensiva per ragione di tutela dell’immagine aziendale (quella del richiedente) e riservatezza del terzo: la motivazione costituisce, quindi, un elemento fondamentale nella valutazione della prevalenza di un interesse difensivo e quello di non disvelare un dato personale.
Il fatto
Nella sua essenzialità, un gestore di un campeggio chiede all’Azienda sanitaria di acquisire copia di un esposto/denuncia che ha dato avvio ad un procedimento ispettivo.
L’Azienda dando riscontro positivo alla richiesta non ha concesso, tuttavia, l’indirizzo di posta elettronica ritenendo che non fosse «strumentale alla difesa della società istante avverso comportamenti di terzi lesivi dell’immagine dell’azienda e dell’attività commerciale dalla stessa svolta».
Decisione
Il GA rigetta il ricorso sulla base delle seguenti considerazioni:
- gli elementi idonei ad identificare una persona fisica costituiscono, ai sensi del regolamento UE 679 del 2016, dati personali che, attenendo alla sfera della riservatezza, devono essere trattati nei modi previsti dalla legge;
- l’accesso agli atti previsto dagli art. 22 e ss., della legge n. 241 del 1990, prevede che i documenti formati o detenuti dalla PA che riguardino la vita privata o la riservatezza di persone fisiche, persone giuridiche, gruppi, imprese e associazioni, con particolare riferimento agli interessi epistolare, sanitario, professionale, finanziario, industriale e commerciale gli stessi possano essere ostesi a terzi solo qualora la loro conoscenza sia necessaria per curare o per difendere interessi giuridici;
- il dato oscurato (rectius indirizzo e-mail), costituente in sé dato personale contenuto in una comunicazione meramente confidenziale può ricadere nell’ambito del segreto epistolare;
- tale forma di segreto può essere disvelata (reso accessibile il contenuto) solo a fronte della dimostrata sussistenza di un interesse difensivo, quale la titolarità di una determinata situazione soggettiva, il fatto lesivo della stessa;
- la strumentalità del documento rispetto alla prova dei fatti, di cui alle precedenti osservazioni[5].
Tutti elementi mancanti nella richiesta di accesso, la quale si è limitata a fare rifermento alla necessità di reagire a comportamenti di terzi lesivi dell’immagine dell’azienda e dell’attività commerciale dalla stessa senza ulteriori specificazioni: tale motivazione non può essere ritenuta sufficiente a delineare l’interesse difensivo necessario per poter superare la tutela della riservatezza.
In termini più evidenti, il ricorrente doveva dimostrare una lesione (un pregiudizio) alla propria sfera giuridica, dovendo individuare a propria difesa (risarcitoria) colui che ha dato avvio ad un procedimento ispettivo: evenienze del tutto non attuali e concrete, mancando di fatto una lesione che possa riflettersi sia verso l’interno che verso, minando la credibilità nei rapporti commerciali con i terzi (utenti e operatori economici).
Orientamenti
Seguendo tale ragionamento si potrebbe anche sostenere l’inutilità di una richiesta risarcitoria a fronte di una “lesione” (dall’esposto) qualora la segnalazione si dimostri fondata, non potendo addebitare responsabilità alcuna a fronte di richieste di attivazione dei poteri di controllo della PA[6]: il potere di vigilanza è, infatti, attivabile sia d’ufficio che ad istanza di parte[7].
Aspetto diverso, qualora la segnalazione risulti del tutto infondata, e alimenti (nel suo contesto) un abuso del diritto[8], ossia profili l’intento emulativo di arrecare danno alla (contro)parte (magari un concorrente), per aver subito un’ingiusta attività ispettiva, donde l’estensione anche all’eventuale responsabilità (dalla condotta) della PA[9], salvo l’errore scusabile[10].
Ciò posto, la sentenza non si allinea con i precedenti arresti giurisprudenziali, rilevando che anche a voler configurare l’esposto come notitia criminis tale da attivare l’azione ispettiva della PA, in presenza di una denuncia l’esposto deve essere accessibile nella sua integrità, che comprende il nominativo di chi effettua la segnalazione[11].
Ritenere che trattasi di un “segreto” della corrispondenza, giacché la segnalazione è pervenuta con l’inoltro di una e-mail non convince (una sobria riflessione)[12], la comunicazione epistolare poteva semmai ritenersi inaccessibile solo se avesse mantenuto in “forma privata” la natura di corrispondenza, senza alcuna rilevante valenza ai fini dell’attività istituzionale della PA (i controlli), non quando costituisce il “mezzo/strumento” di una modalità di relazione tra PA e cittadini, dove, appunto, il digitale (l’identità digitale) risulta una valida forma di comunicazione (ex d.lgs. n. 82/2005 e art. 3 bis della legge n. 241/1990)[13].
Il privato richiedente doveva, secondo il giudice, giustificare maggiormente la richiesta e dimostrare una lesione concreta dall’attività ispettiva, mentre (è noto) che l’accesso va garantito qualora sia strumentale e funzionale a qualunque forma di tutela, giudiziale o stragiudiziale, anche prima e indipendentemente dall’esercizio di un’azione giudiziale: diversamente, le esigenze di riservatezza del nominativo del segnalante non sono state ritenute collegate a quella posizione sostanziale di cui è impedito o ostacolato il soddisfacimento.
[1] TAR Lazio, Roma, sez. II, 12 gennaio 2023, n. 538.
[2] Cfr. Cons. Stato, sez. V, 19 maggio 2009, n. 3081; sez. VI, 25 giugno 2007, n. 3601, sez. III, 8 settembre 2014, n. 4539.
[3] Cfr. TAR Sicilia, Catania, sez. III, 11 febbraio 2016, n. 396.
[4] LUCCA, Piena accessibilità al nominativo dell’autore di esposti, La gazzetta degli enti locali, 19 febbraio 2009, a commento della sentenza del TAR Lombardia, Brescia, 29 ottobre 2008, n. 1469, dove dal rinvio all’art. 111 Cost., nel «sancire (come elemento essenziale del giusto processo) il diritto dell’accusato di interrogare o far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico, inevitabilmente presuppone che l’accusato abbia anche il diritto di conoscere il nome dell’autore di tali dichiarazioni. Tale sfavore verso le denunce e le dichiarazioni anonime emerge poi, a più riprese, dal codice di procedura penale» per concludere che il diritto alla riservatezza non può ricomprendere un’ampiezza tale da includere il “diritto all’anonimato”: «l’anonimato sulle denunce o sulle dichiarazioni accusatorie è, al contrario, come si è visto, guardato con particolare sospetto dall’ordinamento: da qui l’evanescenza e l’infondatezza di ogni tentativo volto a qualificare tale inesistente diritto all’anonimato come una prerogativa del diritto alla riservatezza». Vedi, anche, LUCCA, Pieno accesso ad un verbale di segnalazione, lentepubblica.it, 1° luglio 2024, di analisi della sentenza del TAR Lombardia, Brescia, sez. II, 25 giugno 2024, n. 557, che riconosce l’accesso ad un esposto, sfociato in un verbale ispettivo, pur in presenza dell’opposizione del segnalante, non ravvisando validi motivi ostativi, ovvero la tutela della riservatezza (dell’anonimato) del suo autore.
[5] Cons. Stato, Ad. Plen., 25 settembre 2020, n. 19, dove si evidenzia che, ai fini del bilanciamento tra diritto di accesso difensivo (preordinato all’esercizio del diritto alla tutela giurisdizionale in senso lato) e tutela della riservatezza, secondo la previsione dell’art. 24, comma 7, della legge n. 241/1990, trova applicazione né il criterio della stretta indispensabilità (riferito ai dati sensibili e giudiziari) né il criterio dell’indispensabilità e della parità di rango (riferito ai dati c.d. supersensibili), ma il criterio generale della «necessità» ai fini della ‘cura’ e della ‘difesa’ di un proprio interesse giuridico, ritenuto dal legislatore tendenzialmente prevalente sulla tutela della riservatezza, a condizione del riscontro della sussistenza dei presupposti generali dell’accesso difensivo.
[6] Le notizie contenute in una denuncia anonima possono – anzi devono, per effetto del principio dell’obbligatorietà dell’azione penale – costituire spunti per una investigazione di iniziativa del pubblico ministero o della polizia giudiziaria, al fine di assumere dati conoscitivi diretti a verificare se dall’anonimo possano ricavarsi gli estremi di una notitia criminis, Cass. pen., sez. V, 28 ottobre 2008, n. 4329, sez. VI, 21 settembre 2006, n. 36003.
[7] La segnalazione non ha natura necessaria, bensì meramente sollecitatoria, rispetto ad una funzione amministrativa già in capo alla PA e che la stessa deve comunque generalmente esercitare, indipendentemente da segnalazioni private, in attuazione del canone di buon andamento dell’attività amministrativa, specie in settori sensibili, quali quelli in ambito ambientale e/o edilizio, TAR Veneto, sez. III, 20 marzo 2015, n. 321; TAR Campania, Napoli, sez. VI, 24 luglio 2014, n. 4177.
[8] La PA detentrice del documento e il giudice amministrativo adìto nel giudizio di accesso, ai sensi dell’art. 116 cpa, non devono invece svolgere ex ante alcuna ultronea valutazione sull’ammissibilità, sull’influenza o sulla decisività del documento richiesto nell’eventuale giudizio instaurato, poiché un simile apprezzamento compete, se del caso, solo all’Autorità giudiziaria investita della questione e non certo alla Pubblica Amministrazione detentrice del documento o al GA nel giudizio sull’accesso, salvo il caso di una evidente, assoluta, mancanza di collegamento tra il documento e le esigenze difensive e, quindi, in ipotesi di esercizio pretestuoso o temerario dell’accesso difensivo stesso per la radicale assenza dei presupposti legittimanti previsti dalla legge n. 241 del 1990, Cons. Stato, Ad. Plen., 18 marzo 2021, n. 4.
[9] La responsabilità della Pubblica Amministrazione può ritenersi accertata quando, tenuto conto del comportamento complessivo degli organi intervenuti nel procedimento, Cons. Stato, sez. III, 14 maggio 2015, n. 2464, la violazione risulti grave e commessa in un contesto di circostanze di fatto e in un quadro di riferimento normativo e giuridico tale da palesare la negligenza e l’imperizia dell’organo nell’assunzione del provvedimento viziato, Cons. Stato, sez. III, 11 marzo 2015, n. 1272.
[10] Cons. Stato, sez. VI, 19 marzo 2019, n. 1815.
[11] Cfr. TAR Toscana, sez. II, 7 ottobre 2015, n. 1323.
[12] Un richiamo al Comunicato Stampa, a firma La Prima Presidente, Corte Suprema di Cassazione, Roma, 7 marzo 2025: «Le decisioni della Corte di Cassazione, al pari di quelle degli altri giudici, possono essere oggetto di critica. Sono, invece, inaccettabili gli insulti che mettono in discussione la divisione dei poteri su cui si fonda lo Stato di diritto», segnando ben altro.
[13] Cons. Stato, sez. VI, 5 marzo 2015, n. 1113.