La concessione di beni pubblici è una fattispecie complessa, risultante dalla convergenza di un atto unilaterale autoritativo e di una convenzione accessoria o integrativa, fonte di diritti e obblighi reciproci dell’ente concedente e del privato concessionario nell’ambito di un rapporto negoziale bilaterale (c.d. concessione-contratto).
L’atto convenzionale accessivo al provvedimento rientra nella categoria del c.d. contratto ad oggetto pubblico, nel quale la PA mantiene la sua tradizionale posizione di supremazia, con la conseguenza che il rapporto amministrazione/concessionario, proprio in ragione delle sue peculiarità originate dall’inerenza all’esercizio di pubblici poteri, non ricade in modo immediato e integrale nell’ambito di applicazione delle disposizioni del codice civile (ai sensi dell’art. 11, comma 2, della legge n. 241 del 1990, che richiama i soli «principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti»).
L’approdo valorizza sempre la finalità sottesa ad ogni intervento della PA concedente, ossia un immanente potere pubblicistico, a tutela non già degli interessi meramente patrimoniali dell’Amministrazione, bensì a garanzia della migliore e più efficace tutela dell’interesse pubblico sottostante alla concessione di beni pubblici, che si sostanzia nella prerogativa pubblicistica di dichiarare la decadenza del contratto indipendentemente dall’applicazione dei principi di diritto comune, quale ipotesi di revoca sanzionatoria della concessione, con conseguente decadenza de plano del contratto stipulato a valle della concessione stessa[1].
La capacità di recedere, mediante decadenza dal rapporto per grave violazione degli obblighi concessori, possano trovare un valido contributo nelle norme e negli istituti codicistici in materia di inadempimento del contratto, in quanto compatibili, sulla base di una verifica puntuale e in concreto del tipo di contratto considerato, ovvero se espressamente richiamati: una sorta di clausola risolutiva richiamata nell’atto concessorio o affidata alla legge, ossia ad una tipica figura civilistica di c.d. recesso impugnatorio, che consente al contraente di sciogliersi dal sinallagma contrattuale nell’ipotesi di violazione di una o più specifiche obbligazioni, il cui inadempimento viene assunto in re ipsa come di non scarsa importanza (il riferimento va alle ipotesi di decadenza dalla concessione per inadempienza degli obblighi di cui all’art. 47, alle lett. b) e lett. f), Codice della Navigazione).
Il pronunciamento
La sez. VII, del Consiglio di Stato, con la sentenza 11 aprile 2025, n. 3161 (Est. Di Carlo), interviene per legittimare la scelta di un’Amministrazione locale che rispetto ad una richiesta proroga di una concessione demaniale marittima ha stabilito la decadenza (diniego definitivo alla richiesta di estensione: cessate al 31 dicembre 2020 e decadute, ai sensi dell’art. 47, lett. b) e lett. f), del Codice della Navigazione): un bilanciamento tra priorità del diritto, nel senso che la decadenza prevale sulla proroga, in presenza di gravi violazioni del concessionario[2].
Merito
In ricorso viene rigettato, con condanna alle spese.
Viene analizzata (da principio) la fonte dell’art. 47 del Cod. Nav. Dove la decadenza della concessione costituisce una facoltà, e non l’obbligo, di disporla, rimettendo alla discrezionalità dell’Amministrazione di apprezzare la gravità delle inadempienze contestate: una valutazione ponderata dell’assetto complessivo di interessi connotanti il rapporto concessorio e la sua evoluzione nel tempo.
Sul merito della decisione, il giudice di seconde cure, nell’esaminare gli atti del Comune, rileva l’assenza di profili di macroscopica illogicità o mancanza di ponderazione (un ineccepibile criterio di proporzionalità nel determinare la sanzione), anche considerata la natura del bene demaniale e la sua intrinseca attitudine ad essere oggetto di fruizione generale, senza che interventi egoistici del concessionario, oggettivamente trasmodanti il titolo di concessione, possano essere di ostacolo alla suddetta fruizione[3].
La concessione che assicura un diritto di privativa non consente al concessionario di approfittarsi del beneficio, dovendo sempre sottostare all’interesse primario afferente ad un bene dello Stato.
Il giudice di prime cure, inoltre, ha motivato correttamente definito il potere esercitato dal Comune, dove vi è una coincidenza tra scadenza naturale della concessione e decadenza della stessa: sussiste un ineludibile connessione tra la decadenza (stante l’efficacia ex nunc) e la mancata proroga delle concessioni stesse che, sotto il profilo temporale, vengono, pertanto, a coincidere.
Logica conseguenza, onde evitare un’antinomia, che risulta incontrovertibile che la istanza di estensione temporale richiesta dalla parte non avrebbe potuto trovare accoglimento, per ambedue le concomitanti ragioni, ciascuna di esse autonoma e da sola sufficiente a sostenere la legittimità dell’atto adottato.
A rafforzare il ragionamento si annota che il provvedimento di decadenza è supportato da una motivazione articolata e puntuale, da dove si può dedurre una condotta del concessionario inerte, con reiterazione delle condotte illecite ed elusive degli ordini impartiti dall’Amministrazione concedente: una grave violazione degli obblighi di correttezza, oltre ad un grave omissione all’obbligo di conformarsi alle indicazioni cogenti PA, compromettendo inesorabilmente il rapporto fiduciario posto alla base del rapporto concessorio.
Neppure può pretendersi l’applicazione dei benefici dell’art. 1, comma 682, della legge n. 145 del 30 dicembre 2018, in assenza dell’operatività delle concessioni (ormai scadute per l’efficacia della norma sulla proroga)[4].
La disposta decadenza, infine, non appare sproporzionata rispetto alle violazioni contestate alla parte appellante: piena legittimità della decadenza, ai sensi dell’art. 47, del Codice della Navigazione, avendo correttamente appurato sia:
- il cattivo uso del bene;
- la inadempienza degli obblighi derivanti dalla concessione, o imposti da norme di legge o da regolamenti, per essersi inverate le condizioni previste dalle lettere b) e f) del prefato articolo.
(pubblicato, gruppodelfino.it, 15 aprile 2025)
[1] Cfr. Cons. Stato, sez. I, parere n. 1421 in data 18 agosto 2020; Cons. Stato, sez. IV, 6 dicembre 2018, n. 6916.
[2] L’art. 47 del Codice della Navigazione indica un potere dell’Amministrazione concedente che, secondo la prevalente giurisprudenza, si concretizza in un provvedimento amministrativo vincolato, dovendosi l’Amministrazione limitare al riscontro dei relativi presupposti fattuali. Ciò comporta sul piano sostanziale che – una volta appunto accertata la sussistenza di detti presupposti – il provvedimento di decadenza ha natura sostanzialmente vincolata, con conseguente esclusione di ogni possibile bilanciamento tra l’interesse pubblico e le esigenze del privato concessionario, TAR Sicilia, Palermo, sez. I, 8 febbraio 2024, n. 486.
[3] Con la concessione di aree demaniali marittime si fornisce un’occasione di guadagno a soggetti operanti sul mercato, tale da imporre una procedura competitiva, Cons. Stato, sez. VI, 25 gennaio 2005, n. 168 e 31 gennaio 2017, n. 394. Vedi, LUCCA, L’affidamento, con gara, delle concessioni demaniali marittime, dirittoservizipubblici.it, 31 luglio 2020, sull’esercizio del potere di affidamento delle concessioni demaniali mediante una procedura pubblica di individuazione del nuovo concessionario.
[4] Le concessioni demaniali marittime per attività turistico-ricreative, beneficiarie di plurime proroghe ex lege, hanno cessato i loro effetti in data 31 dicembre 2023; discende che le nuove assegnazioni devono avvenire mediante selezioni e/o procedure selettive imparziali e trasparenti tra i potenziali candidati, ai sensi dell’art. 12 della direttiva 2006/123/CE (c.d. Bolkestein) e dell’art. 49 TFUE, TAR Puglia, Bari, sez. I, 24 febbraio 2025, n. 268.