Massima
La sez. III Napoli del TAR Campania, con la sentenza 21 luglio 2022 n. 4894, espone in chiaro gli obblighi di vigilanza del Comune a fronte dell’atto di impulso di un “whistleblower” riferito ad un abuso edilizio che dà luogo a un’alterazione permanente dell’ordine urbanistico, laddove l’ordinanza di demolizione ha lo scopo di ripristinare l’ordine stesso, a prescindere dall’individuazione dell’autore dell’abuso.
Si tratta di un vero e proprio cangiante obbligo di agire del Comune insito nei compiti istituzionali[1].
È noto che l’azione avverso il silenzio assume una natura giuridica mista, tendendo ad ottenere sia:
- l’accertamento dell’obbligo di definire il procedimento nel termine prescritto dalla disciplina legislativa o regolamentare, ai sensi dell’art. 2 della legge n. 241/1990;
- la condanna della stessa Amministrazione inadempiente all’adozione di un provvedimento (ovvero, provvedere)[2].
Il fatto
La questione nella sua essenzialità è riferita alla condotta silente serbata dall’Ente locale (rectius, responsabile dell’ufficio edilizio, anche se gli accertamenti possono essere affidati alla Polizia Locale), a cui è stato segnalato un abuso edilizio, con conseguente adozione degli atti ispettivi e sanzionatori (ordinanza di demolizione, in primis).
Il potere di vigilanza (degli abusi)
Pare giusto, rammentare che il titolare del potere amministrativo (repressivo) risulta affidato, ex lege, al «dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale», il quale (una volta individuato, secondo l’organizzazione interna) «esercita, anche secondo le modalità stabilite dallo statuto o dai regolamenti dell’ente, la vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia nel territorio comunale per assicurarne la rispondenza alle norme di legge e di regolamento, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle modalità esecutive fissate nei titoli abilitativi», ai sensi del comma 1, dell’art. 27, Vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia, del dPR n. 380/2001 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia).
La fonte si occupa nei successivi commi di procedimentalizzare l’attività del responsabile, secondo una sequenza istruttoria, d’ufficio o d’istanza, con la collaborazione, di altri uffici del Comune:
- comma 2, quando accerti «l’inizio o l’esecuzione di opere eseguite senza titolo su aree assoggettate, da leggi statali, regionali o da altre norme urbanistiche vigenti o adottate, a vincolo di inedificabilità, o destinate ad opere e spazi pubblici ovvero ad interventi di edilizia residenziale pubblica di cui alla legge 18 aprile 1962, n. 167 (Disposizioni per favorire l’acquisizione di aree fabbricabili per l’edilizia economica e popolare), e successive modificazioni ed integrazioni, nonché in tutti i casi di difformità dalle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi». Va precisato che quando l’intervento edilizio interessa beni vincolati vi è l’onere di informare l’Amministrazione che ne cura la tutela, rilevando che la presenza di un titolo rilasciato dal Comune non è sufficiente per inibire l’intervento di altra Amministrazione in presenza della violazione della disciplina settoriale[3];
- comma 3, rafforza la natura del potere di vigilanza quando afferma «Ferma rimanendo l’ipotesi prevista dal precedente comma 2», aggiungendo un ulteriore aspetto procedimentale afferente ad un accadimento fattuale, ossia la prova dell’abuso, postulando un dovere che non tollera ingerenza, nel senso che non ammette margini di discrezionalità ma che risulta del tutto vincolato (in presenza di opere realizzate senza alcun titolo abilitativo, l’attualità dell’interesse pubblico alla rimozione dell’abuso è in re ipsa, inerendo al ripristino dell’assetto urbanistico violato)[4]: «qualora sia constatata, dai competenti uffici comunali d’ufficio», nel generale compito di tutela del territorio, «o su denuncia dei cittadini», nel considerare l’attività esterna di impulso su segnalazione (come nel caso di specie), «l’inosservanza delle norme, prescrizioni e modalità di cui al comma 1, il dirigente o il responsabile dell’ufficio, ordina l’immediata sospensione dei lavori, che ha effetto fino all’adozione dei provvedimenti definitivi di cui ai successivi articoli, da adottare e notificare entro quarantacinque giorni dall’ordine di sospensione dei lavori» (dalla sospensione dei lavori, alla demolizione e acquisizione del bene al patrimonio in caso di inottemperanza). È inserita la facoltà di «entro i successivi quindici giorni dalla notifica il dirigente o il responsabile dell’ufficio, su ordinanza del sindaco, può procedere al sequestro del cantiere»;
- comma 4, cura da una parte, l’attività di vigilanza e controllo nella sua compiutezza, dall’altra, le conseguenze degli abusi accertati (o presunti), disponendo che «Gli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria, ove nei luoghi in cui vengono realizzate le opere non sia esibito il permesso di costruire, ovvero non sia apposto il prescritto cartello, ovvero in tutti gli altri casi di presunta violazione urbanistico-edilizia, ne danno immediata comunicazione all’autorità giudiziaria, al competente organo regionale e al dirigente del competente ufficio comunale, il quale verifica entro trenta giorni la regolarità delle opere e dispone gli atti conseguenti».
Sotto il profilo delle funzioni di vigilanza e controllo dell’ordinato assetto del territorio, vale il principio dell’inesauribilità di esse, a causa della natura dell’illecito permanente riconoscibile nell’abuso edilizio: l’attività dei privati è sempre sanzionabile, qualunque sia il tempo già trascorso e l’entità dell’infrazione, stante l’assenza di un affidamento alla conservazione di una situazione di fatto abusiva[5].
Il privato, dunque, potrà presentare domanda di condono delle opere abusive, rilevando che la richiesta non autorizza l’interessato a completare né tantomeno a trasformare o ampliare i manufatti, i quali, fino al momento dell’eventuale concessione della sanatoria, restano comunque abusivi[6].
In dipendenza di ciò, il potere assegnato all’Ente locale può essere esercitato esclusivamente attraverso gli atti previsti e tipizzati dal legislatore, dovendo concludere che una volta contestata la realizzazione di opere abusive, la sanatoria delle stesse può avvenire solo all’esito dei procedimenti avviati per effetto di istanze presentate ai sensi di specifiche leggi “di condono”, ovvero attraverso l’istituto dell’accertamento di conformità, di cui all’art. 36 del dPR n. 380/2001[7].
Pare giusto rammentare che la mera inerzia, da parte dell’Amministrazione nell’esercizio di un potere-dovere finalizzato alla tutela di rilevanti finalità di interesse pubblico, non è idonea a far divenire legittimo ciò che (l’edificazione sine titulo) è sin dall’origine illegittimo e allo stesso modo, tale inerzia non può certamente radicare un affidamento di carattere ‘legittimo’ in capo al proprietario dell’abuso, giammai destinatario di un atto amministrativo favorevole idoneo a ingenerare un’aspettativa giuridicamente qualificata[8].
Termini della responsabilità
Va aggiunto, che l’onere della prova circa la ultimazione dei lavori entro la data utile per ottenere il condono edilizio, ovvero in un momento antecedente ad una certa data grava in capo all’istante, nella cui sfera di signoria, quale responsabile dell’abuso o proprietario, ricade la condotta, anche in ossequio al c.d. principio di vicinanza della prova, in forza del quale è ragionevolmente esigibile da chi ha posto in essere le opere, la produzione di evidenze documentali atte a comprovare la natura di esse opere, anche attraverso riferimenti alla effettiva consistenza dell’immobile, sia ex ante che ex post[9].
Invero, si tratta di comprendere il momento dell’abuso, essendo non indifferente tale circostanza per la configurabilità della responsabilità (ex art. 29, Responsabilità del titolare del permesso di costruire, del committente, del costruttore e del direttore dei lavori, nonché anche del progettista per le opere subordinate a segnalazione certificata di inizio attività, del dPR n. 380/2001), dovendo anche tenere conto non soltanto della piena disponibilità, giuridica e di fatto, del suolo e dell’interesse specifico ad effettuare la nuova costruzione (in applicazione del principio del cui prodest), ma altresì dei rapporti di parentela o di affinità tra esecutore dell’opera abusiva e proprietario, dell’eventuale presenza in loco di quest’ultimo, dello svolgimento di attività di materiale vigilanza dell’esecuzione dei lavori, della richiesta di provvedimenti abilitativi successivi, del regime patrimoniale dei coniugi, e complessivamente di tutte quelle situazioni e comportamenti, sia positivi che negativi, da cui possano trarsi elementi integrativi della colpa e prove di una compartecipazione, anche solo morale, all’esecuzione delle opere da parte del proprietario: il momento dell’abuso e la sua compartecipazione[10].
In verità, colui che ha la disponibilità del manufatto abusivo e lo utilizza, pur non avendolo materialmente realizzato, va qualificato come “responsabile dell’abuso” anche sotto il profilo dell’elemento soggettivo, poiché non solo non pone fine alla descritta situazione di violazione, con effetti permanenti, della disciplina urbanistico-edilizia, ma anzi trae vantaggio dalla violazione stessa, sfruttandola a proprio beneficio[11].
In termini più divulgativi, in tema di reati edilizi, non è di per sé sola sufficiente a configurare la responsabilità la titolarità di un diritto reale sul bene (che comprende anche l’usufrutto), potendo la stessa non corrispondere ad un dominio effettivo sul bene che ne è oggetto, dovendo appurare la partecipazione del titolare del diritto sull’abuso: la sua condotta diretta in relazione all’opera abusiva, deponendo per una verifica concreta della responsabilità, la quale può dimostrare la completa estraneità del proprietario (o altri titolari del diritto reale, come nel caso di un soggetto che è divenuto depositario di un diritto reale, come l’usufrutto, dopo l’avvenuto abuso) al compimento dell’opera abusiva (oppure che, essendone venuto a conoscenza, si sia poi adoperato per impedirlo con gli strumenti offertigli dall’ordinamento).
Il proprietario, dunque, non può ritenersi automaticamente responsabile degli abusi edilizi commessi da altri soggetti, solo per la qualità che riveste: il proprietario estraneo può essere ritenuto responsabile del reato edilizio, purché risulti un suo contributo soggettivo all’altrui abusiva edificazione, da valutarsi secondo le regole generali sul concorso di persone nel reato, in quanto non esiste una fonte formale da cui far derivare un obbligo giuridico di controllo sui beni finalizzato ad impedire il reato[12].
D’altronde, il fatto di utilizzare un’opera edilizia abusiva non può considerarsi di per sé sufficiente a fondare il titolo di responsabilità, e, quindi, la legittimazione passiva alla ingiunzione di demolizione, ben potendo essere l’utilizzatore un terzo completamente estraneo alla realizzazione dell’opera abusiva (ad esempio, un affittuario o comodatario o usufruttuario) ed alla relativa proprietà: l’ingiunzione di demolizione all’utilizzatore o al detentore dell’opera abusiva (si conferma l’orientamento ut supra) è legittima solo se tale soggetto sia anche personalmente responsabile dell’abuso, dovendo – in caso contrario – essere diretta nei confronti del proprietario o del soggetto al quale sia materialmente ascrivibile l’abuso[13].
Obblighi e conseguenze
Da ultimo e per completare il quadro, il responsabile di un abuso edilizio è comunque tenuto ad eseguire la demolizione anche nel caso in cui l’ordine sia stato rivolto solo nei suoi riguardi (magari non essendo il proprietario o titolare di altro diritto reale), fermo restando che, in caso di inerzia (ovvero, mancata ottemperanza alla demolizione e/o rispristino dei luoghi), l’Amministrazione non potrà acquisire il bene al proprio patrimonio in danno del proprietario ignaro del provvedimento.
Difatti, l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale prevista per l’ipotesi di inottemperanza all’ingiunzione di demolizione, postula una consapevole inottemperanza da parte di chi va a patirne le pur giuste conseguenze (il titolare del diritto reale)[14].
Inoltre, affinché un bene immobile abusivo possa legittimamente formare oggetto dell’ulteriore sanzione costituita dall’acquisizione gratuita al patrimonio comunale, ai sensi dell’art. 31, Interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali, del dPR n. 380/2001, è necessario che l’ordine di demolizione sia stato notificato a tutti i proprietari, così come il provvedimento acquisitivo.
Il complesso della normativa e che costituisce in parte la chiusura di una fase del procedimento (di fatto si conclude con la trascrizione del bene a patrimonio del Comune in caso di mancata esecuzione della demolizione) porta a ritenere che l’ordine di demolizione è un atto dovuto e rigorosamente vincolato, dove la repressione dell’abuso corrisponde per definizione all’interesse pubblico al ripristino dello stato dei luoghi illecitamente alterato ed è già dotata di un’adeguata e sufficiente motivazione che consiste nella descrizione delle opere abusive (elemento redazionale primario, pena la nullità dell’atto per mancanza di oggetto) e nella constatazione della loro abusività[15].
Un dovere di agire della PA
La sez. III del TAR Napoli, con la cit. sentenza n. 4894/2022, nella sua limpidezza nel valutare la condotta dell’Amministrazione sulla diffida ad adempiere tesa a verificare eventuali abusi edilizi commessi da un confinante della ricorrente, accoglie il ricorso (ex art. 31 e 117 c.p.a.) con ordine alla PA di dare seguito all’istanza e nomina, in caso di inerzia, del Commissario ad acta: sussiste l’obbligo giuridico di provvedere in capo all’Amministrazione, ex art. 2 della legge n. 241/1990.
La motivazione del GA riporta i principi base della competenza generale del Comune in materia di tutela del territorio, essendo una funzione attribuita ex lege.
Quando un cittadino (ovvero, un whistleblower), specie se confinante al bene[16], segnali in maniera circostanziata l’esistenza di opere realizzate da terzi in difformità dal titolo concessorio o senza tale titolo, l’Amministrazione ha un dovere di esercitare i propri poteri di vigilanza sull’assetto del territorio, riscontrando l’istanza in senso:
- POSITIVO, accertando l’effettiva esistenza degli abusi e assumendo i consequenziali provvedimenti;
- NEGATIVO, evidenziando all’istante come e perché, se del caso all’esito dei necessari accertamenti, non si sia ritenuto di irrogare sanzioni[17];
- inoltre, ai sensi dell’art. 2, comma 1, della legge n. 241 del 1990, l’Amministrazione deve concludere il procedimento anche se ritiene che la domanda sia irricevibile, inammissibile, improcedibile o infondata, salvo l’ipotesi di manifesta pretestuosità[18];
- la circostanza poi che vi sia stata una precedente segnalazione non comporta alcuna decadenza, dal momento che è sempre fatta salva la improponibilità dell’istanza di avvio del procedimento ove ne ricorrano i presupposti[19].
Certificato di conformità/agibilità e residenza (osservazioni a margine)
L’art. 24, Agibilità, d.P.R. n. 380/2001, prevede che certificato di agibilità «attesta la sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti negli stessi installati, valutate secondo quanto dispone la normativa vigente»[20], e che, conseguentemente, eventuali difformità esecutive rispetto al progetto assentito non sono ex se idonee a precludere il rilascio del certificato medesimo, laddove inerenti ad aspetti marginali del manufatto e/o, comunque, riconducibili all’ambito dell’attività edilizia c.d. libera[21].
Questo profilo consente di evidenziare che eventuali discostamenti progettuali o interventi minimali, concretizzandosi, sostanzialmente, in interventi interni e/o di straordinaria manutenzione, non possono essere considerati abusi edilizi, dovendo – in ogni caso – la PA fornire almeno un principio di prova in ordine all’impatto edilizio eventualmente creato nell’assetto del territorio o all’eventuale mutamento della destinazione d’uso del manufatto originario che tale “abuso” avrebbe comportato[22].
A riprova che un abuso edilizio va valutato prendendo in considerazione una visione complessiva e non atomistica delle opere realizzate, non potendo scomporne una parte per negare l’assoggettabilità ad una determinata sanzione demolitoria, atteso che il pregiudizio arrecato al regolare assetto del territorio non deriva da ciascun intervento a sé stante, ma dall’insieme delle opere nel loro contestuale impatto edilizio e nelle reciproche interazioni[23].
Ciò posto, l’eventuale diniego in ordine ad una istanza tendente ad ottenere il rilascio del certificato di agibilità di un immobile, attestante la relativa destinazione residenziale, che sia motivato con riferimento al fatto che il titolo edilizio in forza del quale è stata originariamente assentita la costruzione del medesimo immobile è stato rilasciato per altra destinazione risulta legittimo: la conformità dei manufatti alle norme urbanistico-edilizie costituisce il presupposto indispensabile per il legittimo rilascio del certificato di agibilità, come si evince dagli art. 24, comma 3, del dPR n. 380/2001, e 35, comma 20, della legge n. 47/1985, in quanto, ancor prima della logica giuridica, è la ragionevolezza ad escludere che possa essere utilizzato, per qualsiasi destinazione, un fabbricato non conforme alla normativa urbanistico-edilizia, e, come tale, in potenziale contrasto con la tutela del fascio di interessi collettivi alla cui protezione quella disciplina è preordinata[24].
Fatte queste premesse, qualora un soggetto risieda in una abitazione (ossia, abbia la residenza anagrafica)[25], la presenza di un abuso edilizio, anche in una parte/porzione del bene, sopraggiunto ad un’agibilità (il riferimento temporale va al 1° settembre 1967, ai sensi della legge 6 agosto 1967, n. 765, Modifiche ed integrazioni alla legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150) non ne inficia l’uso che, tuttavia, può essere compromesso qualora l’interessato non si adegui agli accertamenti dell’Amministrazione, ovvero, provveda alla sanatoria degli abusi; né l’avvenuto accatastamento vale certo a legittimare, sotto il profilo edilizio, gli interventi eseguiti, avendo solo una valenza a fini fiscali, confermando che alle risultanze catastali non può essere riconosciuto un autonomo valore probatorio ai fini dell’individuazione dell’effettiva destinazione d’uso: ai fini del conseguimento della certificazione di agibilità, non rilevano una successiva destinazione d’uso attribuita di fatto o un inquadramento catastale non conformi alla destinazione assentita e stabilita nei titoli edilizi[26].
L’approdo porta a ritenere che ai fini dell’agibilità, è necessario che il bene sia assistito dallo specifico titolo edilizio abilitativo e, più in generale, che lo stesso non rivesta carattere abusivo, esigendosi, in tal modo, una corrispondenza biunivoca tra conformità urbanistica dei beni e l’agibilità degli stessi[27].
Di converso, il diniego di concessione dell’agibilità non può essere fondato su ragioni diverse rispetto a quelle specificamente indicate dalla normativa, di cui agli artt. 24 e 25 del dPR n. 380/2010, le quali devono ritenersi tassative, dando luogo altrimenti ad un vizio di legittimità sostanziale per violazione della funzione a cui è preordinato il potere conferito all’Amministrazione pubblica, da qualificarsi come ipotesi di sviamento dalla causa tipica[28].
Si deve concludere che la conformità dei manufatti alle norme urbanistico – edilizie costituisce il presupposto indispensabile per il legittimo rilascio del certificato di agibilità, atteso che:
- è da escludere che possa essere utilizzato, per qualsiasi destinazione, un fabbricato non conforme alla normativa urbanistico edilizia e che sia, dunque, in contrasto con la tutela degli interessi collettivi alla cui protezione la predetta disciplina è preordinata[29];
- presuppone necessariamente la conformità delle opere realizzate al permesso di costruire, con la conseguenza che va negato il rilascio del detto certificato nel caso di opera abusiva o difforme dal titolo abilitativo edilizio rilasciato[30].
Da ultimo, l’eventuale facoltà di attestare con efficacia immediata la sussistenza di presupposti di legge per la conformità/agibilità non preclude affatto il controllo da parte della PA (anzi esso è espressamente disciplinato tanto dalla legge nazionale che da quella regionale e, per l’aspetto urbanistico edilizio, è sempre sussistente in capo all’Amministrazione comunale), per l’ovvia ragione che la dichiarazione del professionista attesta la sussistenza di determinati requisiti ma, ove in ipotesi inesistenti, siffatti requisiti non si realizzano certo per il solo fatto di essere stati autocertificati, con il risultato che una attestazione a monte, della quale non sussistano i presupposti di legge, non è idonea a produrre alcun effetto, con conseguente azioni inibitorie da parte dell’Amministrazione in fase di controllo (sempre possibile, anche ai sensi dell’art. 26, Dichiarazione di inagibilità, del dPR n. 380/2001)[31].
[1] Vedi, LUCCA, Responsabilità della P.A. sull’inerzia nella segnalazione di un abuso edilizio (riflessi anche sulla prevenzione della corruzione e sul RUP), lasettimanagiuridica.it, 2 marzo 2021.
[2] Cons. Stato, sez. VI, 1° ottobre 2021, n. 6569.
[3] Infatti, in materia edilizia, l’assenza del titolo ai fini paesaggistici, essendo indispensabile, consente all’Amministrazione di ingiungere la demolizione anche in presenza di previa autorizzazione concessa ai fini edilizi, ciò in quanto non possono comunque realizzarsi interventi, sebbene assentiti dal Comune, allorquando essi non abbiano ricevuto l’assenso dell’Amministrazione deputata alla gestione del vincolo, TAR Sicilia, Catania, sez. III, 28 gennaio 2022, n. 272. Ne consegue che in caso di vincolo paesaggistico qualsiasi intervento edilizio idoneo ad alterare il pregresso stato dei luoghi deve essere preceduto da autorizzazione paesaggistica e in sua assenza è soggetto a sanzione demolitoria, Cons. Stato, sez. VI, 8 novembre 2021, n. 7426. In senso conforme, TAR Lombardia, Milano, sez. IV, 27 giugno 2022, n. 1507.
[4] La realizzazione dell’intervento edilizio senza titolo abilitativo comporta l’applicazione dell’irrogata sanzione demolitoria, dovendo rilevare che accertato l’abuso, configurandosi quale atto dovuto e vincolato, l’ordinanza di demolizione non necessita di una motivazione ulteriore rispetto all’indicazione dei presupposti di fatto e all’individuazione e qualificazione degli abusi edilizi, Cons. Stato, sez. VI, 28 febbraio 2022, n. 1392.
[5] TAR Marche, Ancona, sez. I, 7 febbraio 2022, n. 88.
[6] Cfr. TAR Campania, Napoli, sez. VII, 25 gennaio 2013, n. 614.
[7] Cons. Stato, sez. VI, 12 gennaio 2022, n. 207.
[8]Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 9 del 2017.
[9] TAR Campania, Napoli, sez. VI, 26 gennaio 2022, n. 503.
[10] Cass. pen., sez. III, 27 aprile 2021, n. 24138.
[11] TAR Puglia, Lecce, sez. I, 3 giugno 2022, n. 932.
[12] TAR Campania, Napoli, sez. I, 9 gennaio 2020, n. 110.
[13] Cons. Stato, sez. VI, 20 giugno 2022, n. 5031.
[14] La mancata individuazione del responsabile materiale dell’abuso non può portare ad escludere che l’ordine di demolizione vada comunque rivolto al proprietario stesso giacché questi, anche se estraneo all’abuso, rimane comunque il destinatario finale degli effetti del provvedimento, il cui contenuto dispositivo è, per l’appunto, la demolizione di un bene su cui egli vanta il proprio diritto, TAR Lombardia, Milano, sez. II, 4 settembre 2019, n. 1945.
[15] Cons. giust. amm. Sicilia, 7 febbraio 2022, n. 162.
[16] La legittimazione dei proprietari di immobili o dei residenti in un’area interessata da un intervento (caso di specie, idraulico) ad impugnare atti amministrativi incidenti sull’ambiente può fondarsi anche sul solo requisito della vicinitas, il quale costituisce elemento di differenziazione di interessi qualificati, appartenenti ad una pluralità di soggetti facenti parte di una comunità identificata in base ad un prevalente criterio territoriale che evolvono in situazioni giuridiche tutelabili in giudizio, allorché l’attività conformativa dell’Amministrazione incida in un determinato ambito geografico, modificandone l’assetto nelle sue caratteristiche non soltanto urbanistiche, ma anche paesaggistiche, ecologiche e di salubrità, Cass. civ., sez. Unite, ordinanza 30 giugno 2022, n. 20869.
[17] Cons. Stato, sez. IV, 15 gennaio 2009, n. 177.
[18] La determinazione che vale a interrompere l’inerzia della PA è solo quella idonea a concludere il procedimento, a nulla rilevando che il Comune, sotto il profilo meramente istruttorio e/o endoprocedimentale, abbia ordinato un sopralluogo tecnico a cura della Polizia Municipale, TAR Campania, Salerno, sez. II, 31 ottobre 2018, n. 1534.
[19] Cons. Stato, sez. VI, 8 luglio 2021, n. 5208.
[20] Cfr., per un’analisi e collocazione della norma, Cons. Stato, sez. II, 17 maggio 2021, n. 3836.
[21] TAR Campania, Salerno, sez. I, 30 dicembre 2011, n. 2105.
[22] TAR Campania, Napoli, sez. III, 30 giugno 2022, n. 4389.
[23] TAR Campania, Napoli, sez. VI, 7 gennaio 2022, n. 105.
[24] TAR Campania, Napoli, sez. VIII, 26 novembre 2020, n. 5564; idem sez. II, ordinanza 20 novembre 2015, n. 2047, per il diniego in ordine ad una istanza tendente ad ottenere l’attestazione di agibilità di un edificio residenziale costruito nell’ambito di una lottizzazione, ove manchino gli adempimenti a carico del privato previsti nella convenzione.
[25] Ai sensi del comma 2, dell’art. 43, Domicilio e residenza, cod. civ., «La residenza è nel luogo in cui la persona ha la dimora abituale». Per l’iscrizione anagrafica, si rinvia all’art. 7 del dPR 30 maggio 1989, n. 223, Approvazione del nuovo regolamento anagrafico della popolazione residente, rilevando che l’iscrizione anagrafica è collegata alla dimora abituale dichiarata dalla parte, che non richiede l’eventuale accertamento della sussistenza di condizioni igienico-sanitarie. Invero, secondo la previsione dell’art. 43 cod. civ., «la nozione di residenza di una persona – rilevante non solo ai fini della sua conservazione, ma anche per ottenere per la prima volta l’iscrizione nelle liste anagrafiche di un determinato comune – è determinata dall’abituale e volontaria dimora in un determinato luogo, che si caratterizza per la permanenza in tale luogo per un periodo prolungato apprezzabile, anche se non necessariamente prevalente sotto un profilo quantitativo (c.d. elemento oggettivo), e dall’intenzione di abitarvi stabilmente, rivelata dalle consuetudini di vita e dallo svolgimento delle normali relazioni sociali, familiari, affettive (c.d. elemento soggettivo). Tale stabile permanenza sussiste anche quando una persona lavori o svolga altra attività fuori del comune di residenza, purché torni presso la propria abitazione abitualmente, in modo sistematico, una volta assolti i propri impegni (lavorativi o di studi) e sempre che mantenga ivi il centro delle proprie relazioni familiari e sociali», Cass. civ., sez. I, 15 febbraio 2021, n. 3841.
[26] TAR Campania, Salerno, sez. II, 26 luglio 2021, n. 1834.
[27] Cons. Stato, sez. II, 17 maggio 2021, n. 3836.
[28] TAR Lombardia, Milano, sez. I, 21 gennaio 2021, n. 188.
[29] TAR Veneto, sez. II, 27 aprile 2021, n. 539.
[30] Cons. Stato, sez. II, 22 marzo 2021, n. 2451 e sez. VI, 15 marzo 2021, n. 2216.
[31] TAR Toscana, sez. III, 16 ottobre 2021, n. 1328.