Il pronunciamento
La Corte Costituzionale con la sentenza 27 febbraio 2020 n. 36 riafferma un consolidato orientamento, ex art. 97, quarto comma, Cost., che esige il reclutamento del personale della P.A. tramite pubblico concorso, costituendo una regola che non ammette eccezioni se non a fronte a specifiche ipotesi di interesse pubblico idonee a giustificarle.
Viene dichiarata l’illegittimità costituzionale di una legge regionale che consentiva l’assunzione del personale nei ruoli della Regione senza concorso: un transito temporaneo sine die dal privato al pubblico nelle more delle procedure concorsuali.
L’orientamento consolidato del concorso pubblico
L’art. 3 e 97 Cost. viene violato in presenza di un’assunzione senza concorso: la previsione di un’assunzione nella Pubblica Amministrazione, al di fuori della regola del concorso, valevole per la generalità dei cittadini (ex art. 3 Cost.), introduce una irragionevole ed ingiustificata disparità di trattamento con tutti coloro che aspirino al pubblico impiego[1].
I principi di legalità, impongono – con riferimento all’art. 97, quarto comma, Cost. (per il quale «Agli impieghi nelle Pubbliche Amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge») – che il principio selettivo di accesso esige lo svolgimento di una procedura pubblica “di tipo comparativo”[2], volta cioè a selezionare la persona oggettivamente più idonea a ricoprire una data posizione, ovvero il migliore fra gli aspiranti che si presentano, e “congrua”, nel senso che essa deve consentire la verifica del possesso delle richieste professionalità[3].
La regola costituzionale della necessità del pubblico concorso per l’accesso alle Pubbliche Amministrazioni va rispettata anche da parte di disposizioni che regolano il passaggio da soggetti privati ad enti pubblici: il principio dettato, dal più volte cit. art. 97 Cost., può consentire la previsione di condizioni di accesso intese a consolidare pregresse esperienze lavorative maturate nella stessa Amministrazione, a condizione, tuttavia, che l’area delle eccezioni alla regola del concorso sia rigorosamente delimitata e non si risolva in una indiscriminata e non previamente verificata immissione in ruolo di personale esterno attinto da bacini predeterminati.
Incarichi dirigenziali senza concorso
Viene dichiarata, pertanto, l’illegittimità costituzionale di una disciplina regionale che introduce la possibilità di conferire, in via diretta, incarichi dirigenziali ai «dirigenti equiparati», sia pur in subordine rispetto ai dirigenti regionali privi di incarico, nei casi in cui non vengano presentate istanze.
Tale previsione, infatti, determina la sostanziale equiparazione del personale proveniente da società partecipate pubbliche, poste in liquidazione, ai dirigenti di ruolo dell’Amministrazione regionale, con conseguente inquadramento dei medesimi nel relativo ruolo dei dirigenti regionali, in violazione del principio dell’indefettibilità del concorso pubblico, come principale canale di accesso ai ruoli delle Pubbliche Amministrazioni e dei principi di eguaglianza, di imparzialità e buon andamento dell’Amministrazione, di cui l’obbligo del pubblico concorso, quale strumento di selezione del personale da assumere, costituisce espressione[4].
Nullità della conversione del contratto a termine
Stesse considerazioni nella conversione di un contratto a termine in uno a tempo indeterminato, con il quale il legislatore regionale ha imposto alle società a totale partecipazione la conversione del rapporto: per le società a partecipazione pubblica la regola della concorsualità imposta dal legislatore, nazionale o regionale, impedisce la conversione in rapporto a tempo indeterminato del contratto a termine affetto da nullità[5].
Società pubbliche e concorsi
Infatti, il legislatore nazionale, pur mantenendo ferma la natura privatistica dei rapporti di lavoro, sottratti alla disciplina dettata dal D.lgs. n. 165/2001, ha inteso estendere alle società partecipate i vincoli procedurali imposti alle Amministrazioni Pubbliche nella fase del reclutamento del personale (ex art. 19 del D.lgs. n. 175/2016)[6], perché l’erogazione di servizi di interesse generale pone l’esigenza di selezionare secondo criteri di merito e di trasparenza i soggetti chiamati allo svolgimento dei compiti che quell’interesse perseguono[7].
La norma recepisce i principi affermati dalla Corte Costituzionale già a partire dalla sentenza n. 466/1993, con la quale il Giudice delle leggi ha osservato che il solo mutamento della veste giuridica dell’Ente non è sufficiente a giustificare la totale eliminazione dei vincoli pubblicistici, ove la privatizzazione non assuma anche «connotati sostanziali, tali da determinare l’uscita delle società derivate dalla sfera della finanza pubblica».
La giurisprudenza costituzionale distingue, dunque, la privatizzazione sostanziale da quella meramente formale[8] e sottolinea che in detta seconda ipotesi viene comunque in rilievo l’art. 97 Cost., tanto da vincolare il legislatore regionale, ex art. 117 Cost.[9].
La riforma della dirigenza senza concorso
D’altronde anche nello «Schema di decreto legislativo recante Disciplina della dirigenza della Repubblica» è stato segnalato dal Consiglio di Stato che si rende necessario valorizzare il principio di imparzialità e quello, ad esso connesso, del concorso pubblico per l’acquisizione della qualifica dirigenziale, che dovrebbe comportare l’assegnazione di una valenza residuale e marginale agli incarichi esterni, che si possono prestare ad un «uso strumentale e clientelare»[10], concludendo che potrebbe risultare non conforme ai principi di ragionevolezza prevedere una aprioristica riserva di posti non giustificata dall’effettiva mancanza di professionalità interne[11].
La questione sollevata di fronte alla Corte Cost.
La sez. lavoro della Corte d’appello di Catanzaro ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 33 della legge della Regione Calabria 27 dicembre 2016, n. 43, per contrasto con l’articolo 97, quarto comma, della Costituzione, nella parte in cui – stabilendo che, a seguito dello scioglimento delle associazioni di divulgazione agricola, il personale proveniente dalle disciolte associazioni, già in servizio con rapporto di lavoro a tempo indeterminato con la Regione Calabria, rimane collocato nei ruoli della Regione alle medesime condizioni sussistenti al momento del subentro – consente l’accesso ai ruoli della Pubblica Amministrazione senza concorso.
Va rilevato che la Corte rimettente, nel dubitare della legittimità costituzionale della nuova disposizione di trasferimento non può essere assimilata a un concorso pubblico; assume, quindi, che essa «restaura l’identica violazione del principio del concorso pubblico già sanzionata dalla Corte costituzionale».
Il Giudice rimettente ricorda che la Corte in un proprio pronunciamento[12], ritenuta pacifica la natura privatistica delle associazioni di divulgazione agricola, ha ribadito il principio secondo cui «la regola costituzionale della necessità del pubblico concorso per l’accesso alle pubbliche amministrazioni va rispettata anche da parte di disposizioni che regolano il passaggio da soggetti privati ad enti pubblici (ex multis, sentenze n. 7 del 2015, n. 134 del 2014, n. 227 e n. 167 del 2013, n. 62 del 2012, n. 299 e n. 52 del 2011, n. 267 del 2010, n. 190 del 2005)».
La Regione, nelle memorie, annota che la disposizione in esame «non è volta, come la precedente, a garantire la tutela dell’occupazione, ma ad assicurare la continuità dell’azione amministrativa... Questa finalità, del resto, è resa palese dalla temporaneità della misura, destinata a operare nelle more della definizione delle procedure di selezione pubblica per l’approvvigionamento delle suddette professionalità».
La sentenza n. 36/2020 della Corte Cost.
La Corte richiama il proprio precedente della sentenza n. 248 del 2016 con la quale ha affermato che la natura privatistica delle associazioni di divulgazione agricola, e il subingresso della Regione nel rapporto di lavoro fra le associazioni di divulgazione agricola sciolte e i loro dipendenti, senza alcuna forma di selezione concorsuale, né sussistenza alcuna di specifica esigenza di interesse pubblico non poteva giustificare una deroga all’art. 97, quarto comma, Cost.
Dopo tale pronuncia, la Regione introduce la norma ora censurata: nel merito, la questione di legittimità costituzionale risulta, pertanto, fondata.
La citata sentenza, della Corte Cost. n. 248 del 2016, ha ritenuto che, di per sé, il subingresso ex lege della Regione all’associazione di divulgazione agricola è incompatibile con la regola di rango costituzionale del pubblico concorso, posta dall’art. 97, quarto comma, Cost.; regola che va rispettata anche dalle disposizioni che disciplinano il passaggio di personale da soggetti privati a enti pubblici.
Né vale a derogare, ammette la Corte Cost., a tale regola l’esigenza della Regione di avere alle proprie dipendenze il personale necessario allo svolgimento di funzioni già attribuite a enti disciolti, né tanto meno il generico interesse alla difesa dell’occupazione dei dipendenti di questi ultimi.
Segue la costante e granitica affermazione che «il pubblico concorso costituisce la forma generale e ordinaria di reclutamento per le amministrazioni pubbliche, quale strumento per assicurare efficienza, buon andamento e imparzialità e che la facoltà del legislatore di introdurre deroghe a tale regola, con la previsione di un diverso meccanismo di selezione per il reclutamento del personale del pubblico impiego, deve essere delimitata in modo rigoroso alla sola ipotesi in cui esse siano strettamente funzionali al buon andamento dell’amministrazione e sempre che ricorrano peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico idonee a giustificarle»[13].
Si conclude nel riaffermare che non è compatibile la disciplina regionale con la prescrizione dell’art. 97, quarto comma, Cost., che, senza pubblico concorso, dipendenti di un’associazione di natura privatistica transitino nei ruoli del personale regionale con il subentro della Regione nella posizione di Amministrazione Pubblica datrice di lavoro, solo formalmente in via temporanea, ma di fatto in via tendenzialmente definitiva in mancanza di un termine finale per la regolarizzazione di tale transito con l’indizione di procedure di selezione pubblica (una sorta di “stabilizzazione provvisoria”).
[1] Corte Cost., 22 marzo 2016, n. 85.
[2] Corte Cost., sentenze 24 giugno 2010, n. 225 e 13 novembre 2009, n. 293.
[3] Cons. Stato, sez. VI, 2 febbraio 2018, n. 677. I principi affermati dal Consiglio portano a sostenere che si è in presenza di un pubblico concorso quando la commissione giudicatrice effettua il confronto dei titoli di ciascun candidato, Cons. Stato, sez. V, 21 agosto 2015, n. 4039; sez. III, 16 dicembre 2015, n. 5693.
[4] Corte Cost., 19 maggio 2017, n. 113.
[5] Cass., sez. lavoro, 22 febbraio 2018, n. 4358.
[6] Cfr. il comma 1, dell’art. 18 del d.l. 112/2008 che disponeva per le società che gestiscono servizi pubblici locali a totale partecipazione pubblica, l’obbligo «di adottare, con propri provvedimenti, criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi di cui al comma 3 dell’art. 35 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165». Cfr. Tribunale del lavoro di Monza, 4 agosto 2015, n. 420 dove si stabilisce la nullità del rapporto di lavoro a tempo indeterminato per violazione dell’articolo 18 del d.l. n. 112/2008, instaurato da una società, a totale partecipazione pubblica, senza selezione a evidenza pubblica anche per quanto riguarda i requisiti della figura professionale da assumere. Vedi, sul punto, LOGIUDICE, La violazione delle procedure di reclutamento nelle società a controllo pubblico prima e dopo il d.lgs. 175/2016 e ss.mm., LexItalia, 2018, n. 5.
[7] Cons. Stato, sezione Consultiva per gli atti normativi n. 2415/2010.
[8] Corte Cost., sentenze nn. 29/2006, 209/2015, 55/2017.
[9] Corte Cost., sentenza n. 68/2011.
[10] Cfr. Corte Cost., sentenza n. 252/2009.
[11] Cons. Stato, Adunanza della Commissione speciale del 14 settembre 2016, numero affare 01648/2016.
[12] Corte Cost., sentenza n. 248/2016.
[13] Corte Cost., sentenze n. 40/2018 e n. 110/2017.