In presenza di un esposto che genera l’avvio di un procedimento penale poi archiviato è possibile risalire all’autore della segnalazione?.
La quarta sez. del Cons. Stato, con la sentenza n. 3128 del 24 maggio 2018, interviene fornendo utili indicazioni operative.
Va premesso in particolare in presenza di un procedimento di controllo chi subisce la verifica vanta un interesse qualificato a conoscere tutti i documenti utilizzati per l’esercizio del potere — inclusi, di regola, gli esposti e le denunce che hanno attivato l’azione dell’autorità — suscettibili per il loro particolare contenuto probatorio di concorrere all’accertamento di fatti pregiudizievoli per il denunciato.
Infatti, l’esposto, una volta pervenuto nella sfera di conoscenza dell’Amministrazione, costituisce un documento che assume rilievo procedimentale come presupposto di un’attività ispettiva o di un intervento in autotutela, e di conseguenza il denunciante perde consapevolmente e scientemente il “controllo” e la disponibilità sulla propria segnalazione: quest’ultima, infatti, uscita dalla sfera volitiva del suo autore diventa un elemento del procedimento amministrativo, come tale nella disponibilità dell’amministrazione.
La sua divulgazione, pertanto, non è preclusa da esigenze di tutela della riservatezza, giacché il predetto diritto non assume un’estensione tale da includere il diritto all’anonimato di colui che rende una dichiarazione che comunque va ad incidere nella sfera giuridica di terzi (Cons. St., sez. V, 19 maggio 2009 n. 3081; T.A.R. Sicilia, Catania, sez. III, 11 febbraio 2016 n. 396).
Né il nostro ordinamento, ispirato a principi democratici di trasparenza, imparzialità e responsabilità ammette la possibilità di denunce segrete: sicché colui il quale subisce un procedimento di controllo o ispettivo ha un interesse qualificato a conoscere integralmente tutti i documenti amministrativi utilizzati nell’esercizio del potere di vigilanza, a cominciare dagli atti di iniziativa e di preiniziativa, quali, appunto, denunce, segnalazioni o esposti (T.A.R. Lombardia, Brescia, sez. I, 12 luglio 2016 n. 980, T.A.R. Campania, sez. VI, 4 febbraio 2016 n. 639).
Ciò posto, i giudici di Palazzo Spada nell’analizzare la richiesta di accesso agli atti in possesso dell’Amministrazione relativi al procedimento penale instaurato a carico dei ricorrente e poi concluso con una archiviazione, rileva l’erronea interpretazione del giudice di prime cure.
In quella sede, il T.A.R. aveva ritenuto che tali documenti, in quanto riferiti all’attività investigativa, dovevano, ai sensi dell’art. 24 comma 1, lettera a), della legge n. 241 del 1990, essere esclusi dal diritto di accesso: l’apertura di un procedimento penale, seppure poi archiviato, avrebbe imposto al ricorrente di chiederne l’ostensione all’Autorità giudiziaria.
In primo grado veniva, pertanto, consentito l’accesso solo a quelli fuori dalla vicenda penale e sufficientemente individuati nell’istanza, non ammettendosi una elaborazione/ricerca di dati.
Invero, viene affermato dai giudici di secondo grado che con l’archiviazione del procedimento penale non sussistono ragioni ostative all’accesso ai relativi atti in possesso dell’Amministrazione, atti comunque non oggetto di sequestro.
Il diritto di accesso, ferme le ovvie limitazioni derivanti dal segreto d’ufficio o da prevalenti ragioni di privacy, ha infatti una portata ampia collegata in particolare alla necessità dell’interessato di essere posto nelle condizioni di esercitare al meglio ogni forma di tutela consentita.
Viene di conseguenza confermato l’orientamento secondo il quale anche gli atti relativi a denunce ed esposti sono accessibili, una volta entrati nella disponibilità dell’Amministrazione.
Tali denunce o esposti non sono preclusi dall’accesso per esigenze di tutela della riservatezza, giacché il predetto diritto non assume un’estensione tale da includere il diritto all’anonimato di colui che rende una dichiarazione che comunque va ad incidere nella sfera giuridica di terzi.
Il diritto di accesso non soffre, infatti, limitazioni se non quelle espressamente previste con legge o, comunque, in base a legge e non è, in particolare, soggetto ad applicazioni interpretative, manipolative o, comunque, riduttive ad opera dell’Autorità atteso che ogni Amministrazione è tenuta a dar seguito all’istanza del privato (ove rispettosa dei crismi normativi quanto a forma, oggetto, interesse sostanziale sotteso e identificazione puntuale degli atti), mediante l’esibizione o la consegna di copia di quella documentazione precisamente richiesta, salvo che non ricorrano le tassative circostanze legislativamente previste per differirne ovvero negarne l’accesso (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 19 aprile 2017, n. 1832).
Nell’era dell’identità digitale, delle dirette facebook/instagram, della negoziazione dei dati tra operatori economici, dello scambio indiscriminato di profili ed e –mail all’insaputa dei titolari dell’account che finiscono, loro malgrado, nel mercato delle app, senza una reale ed effettiva tutela (in aperta violazione alle norme del Regolamento (UE) 2016/679) può ancora l’Autorità amministrativa pretendere di mantenere segreto il nominativo di coloro (i c.d. whistleblower) che effettuano segnalazioni, e il contenuto della stessa, soprattutto quando tale esposto risulta privo di fondamento?.
In termini diversi, è possibile pretendere di garantire la segretezza di tali dati e documenti in generale quando assistiamo quotidianamente al trattamento e alla profilazione dei nostri dati personali, delle nostre più intime relazioni epistolari on line, facilmente consultabili in rete con un semplice programma free, quando i server che contengono il nostro sapere e la nostra memoria sono facilmente accessibili e in luoghi a noi sconosciuti, senza una reale sicurezza, al di là delle assicurazioni ricevute dalle dovute informative?.
È questa la tutela che ci aspettiamo?. È questa la libertà dell’era digitale?.