- Il caso e la ratio. 2. Interpretazione rigorosa. 3. La natura dei Consorzi di bonifica. 4. La composizione del Consorzio di bonifica. 5. L’esercizio dei poteri. 6. Il principio di separazione. 7. Precisazioni sull’inquadramento dei Consorzi di bonifica. 8. Modello organizzativo e separazione dei poteri nei Consorzi di bonifica. 9. I poteri del Consiglio di amministrazione del Consorzio di bonifica. 10. La mancanza di deleghe ai componenti del Consiglio di amministrazione (soluzione del caso).
Il caso e la ratio
La questione posta verte sulla possibilità di nominare un consigliere comunale (di un comune superiore a 15.ooo abitanti), quale componente di un Consiglio di amministrazione di un Consorzio di bonifica (caso estendibile ad altri soggetti, ad es. società); componente privo di deleghe, e, dunque, escludendo (o meno) l’ipotesi di inconferibilità o incompatibilità, di cui al d.lgs. n. 39/2013.
Si tratta di verificare la presenza dei requisiti necessari per la nomina, diversamente «Gli atti di conferimento di incarichi adottati in violazione delle disposizioni del presente decreto e i relativi contratti sono nulli» (ex art. 17, comma 1, del d.lgs. n. 39/2013) e, per gli incarichi in corso di conferimento, l’art. 16, comma 2 del d.lgs. 39/2013 attribuisce all’ANAC il potere di sospensione del procedimento di conferimento dell’incarico, cui si affianca l’obbligo di segnalazione del caso alla Corte dei conti per l’accertamento delle responsabilità amministrative, oltre all’applicazione di sanzioni interdittive, ai sensi dell’art. 18, comma 2 del cit. d.lgs. n. 39 («I componenti degli organi che abbiano conferito incarichi dichiarati nulli non possono per tre mesi conferire gli incarichi di loro competenza»)[1].
Nello specifico, si dovrà valutare in primis sia l’incarico, “di provenienza”, presso l’Ente locale e sia l’incarico, “di atterraggio” di amministratore di un ente pubblico economico vigilato dalla Regione, per poi passare ad analizzare le funzioni materialmente svolte, con i relativi poteri gestionali[2], rispondendo (per una parte) alla ratio ispiratrice della disciplina che consiste nella volontà di evitare che il soggetto, al quale viene conferito l’incarico, possa piegare l’interesse perseguito dall’Amministrazione, o dall’Ente pubblico che quell’incarico gli ha conferito, ad interessi dell’Ente dal quale proviene, ovvero (ed è questo il caso) beneficiare di una posizione privilegiata dovuta allo status pubblico ricoperto: la norma ha inteso tipizzare, ex ante, le situazioni di potenziale conflitto di interessi al fine di paralizzarne l’insorgenza[3].
- Interpretazione rigorosa
Va in primo luogo appuntato che la preclusione alla copertura di una carica, specie se elettiva, comportando una rilevante limitazione alla conferibilità di un incarico pubblico deve essere interpretata in modo rigoroso, restando precluse opzioni ermeneutiche di carattere ampliativo, analogico o solo estensivo[4].
Le norme del d.lgs. n. 39/2013:
- sono «di stretta interpretazione e non ammette interpretazione estensiva attese le rilevanti limitazioni all’esercizio del diritto di ricoprire cariche pubbliche che la disposizione comporta. A tale riguardo, il Consiglio di Stato ha recentemente statuito che la disciplina dell’art. 4 del decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39, relativa alla inconferibilità di incarichi nelle amministrazioni statali, regionali e locali a soggetti provenienti da enti di diritto privato regolati o finanziati, comportando una rilevante limitazione alla conferibilità di un incarico pubblico, deve essere interpretata in modo rigoroso, restando precluse opzioni ermeneutiche di carattere ampliativo, analogico o solo estensivo (Sez. V, 28 settembre 2016, n. 4009)»;
- sussiste «l’impossibilità di accedere ad un’interpretazione anche solo estensiva, che il massimo organo di giustizia amministrativa ha considerato imposta dalla natura stessa della norma citata, non si ritiene superabile. E ciò, pur tenuto conto del fatto che l’ANAC, la quale, ai sensi dell’art. 16 del d.lgs. n. 39/2013, esercita la vigilanza sul rispetto delle disposizioni contenute nel decreto medesimo, ha invece considerato ammissibile un’interpretazione estensiva dell’art. 4 del d.lgs. n. 39/2013 in questione (Delibera n. 613/2016)»[5].
- La natura dei Consorzi di bonifica
Va rammentato che il Consorzio di bonifica viene costituito con deliberazione della Giunta regionale ed è retto dallo Statuto, fonte normativa di riferimento nella definizione dei poteri affidati agli organi elettivi e a quelli gestionali.
Il Consorzio risulta essere qualificato come «ente di diritto pubblico economico», ai sensi dell’art. 59 del Regio decreto 13 febbraio 1933, n. 215 e dell’art. 3 della Legge regionale Ven. 8 maggio 2009, n. 12 recante «Nuove norme per la bonifica e la tutela del territorio», su base di un comprensorio che investe un territorio provinciale (ergo non a base regionale).
- La composizione del Consorzio di bonifica
La composizione dell’Assemblea, organo di indirizzo generale, avviene da parte dei consorziati proprietari degli immobili ricadenti nel comprensorio consortile e dagli altri soggetti indicati dalle disposizioni di legge, iscritti nel catasto dell’ente e tenuti a pagare il contributo consortile (20 componenti).
Accanto a questo primo gruppo si aggiungono:
- ogni provincia del comprensorio nomina un rappresentante (3);
- la Giunta regionale nomina un componente (1);
- tre sindaci (o assessori loro delegati) in rappresentanza dei comuni il cui territorio ricade, anche parzialmente, nell’ambito del comprensorio (3).
L’Assemblea nomina tra i propri membri eletti dai consorziati quattro componenti del Consiglio di amministrazione (C.d.a.)e tra questi il Presidente e il Vicepresidente.
Il Consiglio di amministrazione è composto da cinque (5) membri:
- quattro (4) di nomina dell’Assemblea: Presidente del Consorzio, Vicepresidente e due componenti;
- uno (1) di nomina della Giunta regionale: un componente.
- L’esercizio dei poteri
Lo Statuto del Consorzio (atto normativo e fonte secondaria di diritto) stabilisce che i poteri di indirizzo e controllo spettano agli organi consortili (elettivi), mentre la gestione amministrativa è attribuita al direttore e ai dirigenti (ex artt. 29, 35 e 36).
- Il principio di separazione
Giova rammentare che, nel nostro ordinamento giuridico, il principio di separazione tra funzioni di indirizzo “politico – amministrativo”, spettanti agli organi di governo, e funzioni di gestione amministrativa, proprie dei dirigenti, introdotto dal d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, è stato poi “accentuato” dal legislatore, proprio per porre i dirigenti (generali), ovvero la struttura apicale con rappresentanza esterna, in condizione di svolgere le loro funzioni nel rispetto dei principî d’imparzialità e buon andamento della Pubblica Amministrazione (ex art. 97 Cost.)
In proposito, si voglia evidenziare che proprio a seguito della privatizzazione del rapporto di pubblico impiego, ai dirigenti è stata attribuita la competenza esclusiva nella gestione dell’attività amministrativa, compresa l’adozione degli atti che impegnano l’Amministrazione verso l’esterno, mentre agli organi di governo sono rimaste le funzioni di indirizzo politico: con specifico riguardo agli Enti locali, il d.lgs. n. 267/2000 dispone all’art. 107 che gli statuti ed i regolamenti si uniformano al principio per cui i poteri di indirizzo e di controllo politico-amministrativo spettano agli organi di governo, mentre la gestione amministrativa, finanziaria e tecnica compete in via esclusiva ai dirigenti[6].
È noto, ad es., che una eventuale disciplina regolamentare che rimettesse sostanzialmente all’organo politico il potere di individuazione del dirigente, sottraendo il medesimo potere al dirigente responsabile, che è invece da ritenersi obiettivamente in grado di assicurare una valutazione più tecnica dei requisiti necessari per l’attribuzione dell’incarico, in coerenza con i noti principi di separazione tra “politica e amministrazione”, ai sensi dell’art. 97 della Costituzione, risulterebbe illegittima[7].
Tale rafforzamento si è realizzato, dapprima, con il d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80 e, poi, con il d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (TUPI), mentre in ambito locale trova una propria collocazione nel cit. articolo 107 del TUEL.
L’art. 4, «Indirizzo politico-amministrativo. Funzioni e responsabilità» del TUPI specifica testualmente:
- comma 1, «Gli organi di governo esercitano le funzioni di indirizzo politico-amministrativo, definendo gli obiettivi ed i programmi da attuare ed adottando gli altri atti rientranti nello svolgimento di tali funzioni, e verificano la rispondenza dei risultati dell’attività amministrativa e della gestione agli indirizzi impartiti»;
- comma 2, «Ai dirigenti spetta l’adozione degli atti e provvedimenti amministrativi, compresi tutti gli atti che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, nonché la gestione finanziaria, tecnica e amministrativa mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo. Essi sono responsabili in via esclusiva dell’attività amministrativa, della gestione e dei relativi risultati».
La separazione tra funzioni di indirizzo politico – amministrativo e funzioni di gestione amministrativa[8] costituisce ormai un principio di carattere generale, che trova il suo fondamento nell’art. 97 Cost., e l’individuazione dell’esatta linea di demarcazione tra gli atti da ricondurre alle funzioni dell’organo politico e quelli di competenza della dirigenza amministrativa, potendo spettare al legislatore intervenire sui principi generali, e non una fonte secondaria (ovvero, regolamentare interna) alterare il principio di separazione tra “politica e amministrazione”[9].
Le funzioni di indirizzo politico – amministrativo esercitate dagli organi di governo attengono all’individuazione delle scelte di fondo dell’azione amministrativa attuate attraverso l’adozione dei relativi atti gestori[10], rilevando una “riserva di amministrazione” in capo alla dirigenza, la quale costituisce principio generale del diritto amministrativo (di cui si rinviene nel sistema normativo del d.lgs. n. 165/2001), nell’ambito delle Pubbliche Amministrazioni le cui strutture siano connotate da organizzazione gerarchica (da ricomprendere anche i Consorzi), la delegabilità delle funzioni, da parte dell’organo posto al vertice amministrativo, ai collaboratori dotati di adeguate qualifiche e cognizioni, rappresenta la regola, salvo che la legge non disponga diversamente, prevedendo una competenza funzionale ed inderogabile dell’organo dirigenziale anzidetto[11].
- Precisazioni sull’inquadramento dei Consorzi di bonifica
Non va sottaciuto che la natura dei Consorzi di bonifica non è riconducibile alla nozione di «Enti locali», ai sensi del previgente art. 130 Cost.[12], ma alla categoria degli «Enti pubblici locali» operanti nelle materie di competenza regionale, e dunque degli «enti amministrativi dipendenti dalla regione»[13] presentando, altresì, la disciplina profili attinenti alla materia dell’«ordinamento civile», di competenza esclusiva del legislatore statale[14].
Ed inoltre, i Consorzi di bonifica hanno natura di «enti pubblici economici» e non sono imprenditori agricoli, perseguendo fini economici non solamente agricoli, anche se con attività in parte strumentale all’agricoltura, perseguendo, infatti, prioritariamente finalità di ordine generale, svolgendo un’attività tipicamente economica a carattere privatistico e, quindi, dovendo essere classificati fra gli «Enti pubblici economici»[15].
- Modello organizzativo e separazione dei poteri nei Consorzi di bonifica
In ogni caso, il modello di organizzazione presente nelle Amministrazioni pubbliche viene riprodotto anche nei consorzi di bonifica, stabilendo espressamente che l’attività gestionale è affidata alla dirigenza (ex art. 35 e 36 dello Statuto), riaffermando in modo espresso che la competenza, in termini di esercizio della “funzione pubblica”, segue i principi costituzionali di imparzialità e buon andamento, una separazione declinata dal TUPI e TUEL che incardina all’organo elettivo compiti di indirizzo, programmazione e controllo affidando alla dirigenza compiti di natura gestionale.
Nel regime delineato, in assonanza con quello previsto per gli Enti locali, esiste una netta separazione di ruoli tra organi di governo elettivi e dirigenza, dove ai primi spettano i compiti di indirizzo (la fissazione delle linee generali cui attenersi e degli scopi da perseguire) e alla seconda quelli di gestione.
Ai dirigenti è attribuita tutta la gestione, amministrativa, finanziaria e tecnica, comprensiva dell’adozione di tutti i provvedimenti, anche discrezionali, incluse le autorizzazioni, concessioni, atti negoziali (e, quindi, anche i loro simmetrici atti negativi), e sugli stessi dirigenti incombe la diretta ed esclusiva responsabilità della correttezza amministrativa della medesima gestione[16].
- I poteri del Consiglio di amministrazione del Consorzio di bonifica
In tema di nomina dei componenti del Consiglio di amministrazione del Consorzio occorre premettere che l’art. 1, comma 2, lettera l) del d.lgs. n. 39/2013 per «incarichi di amministratore di enti pubblici e di enti privati in controllo pubblico», indica espressamente «gli incarichi di Presidente con deleghe gestionali dirette, amministratore delegato e assimilabili di altro organo di indirizzo delle attività dell’ente, comunque denominato», distinguendo le cariche all’interno degli organi.
Nel caso di specie, siamo in presenza di un organo elettivo (rectius il Consiglio di amministrazione) e della dirigenza, rilevando che il dettato normativo considera la carica con riferimento alle «deleghe gestionali dirette» del Presidente.
Una prima valutazione sarà, pertanto, rivolta al Presidente (o Vice presidente), che per Statuto non può essere il componente nominato dalla Regione (che già esclude l’applicazione del regime del d.lgs. n. 33/2013).
Una seconda valutazione sarà quella di individuare se al componente di nomina regionale (che non può ricoprire la carica di Presidente o Vicepresidente) sia possibile conferire o attribuire «deleghe gestionali dirette», ovvero se il Consiglio di amministrazione sia titolare di tali deleghe gestionali[17].
La lettura coordinata delle norme statutarie, degli artt. 10, 11, 29, 35 e 36, esclude che il Consiglio di amministrazione possa avere compiti di natura gestionale diretta, essendo questi assorbiti in toto dal direttore e dalla dirigenza, e in ogni caso (in via del tutto residuale) dal Presidente.
Si deduce, quindi, che la carica di “componente di organo di indirizzo” negli enti di diritto privato in controllo pubblico coincide con la carica di Presidente con deleghe gestionali dirette, amministratore delegato e assimilabili, rilevando, peraltro, che è possibile che, nell’ambito del Consiglio di amministrazione (non presente nella fattispecie), siano delegate funzioni gestionali e non meramente esecutive anche ad altri componenti ai quali deve essere estesa – in tali casi – la qualifica di “componente di organo di indirizzo”, dovendo, in questo caso, estendere l’applicabilità del d.lgs. n. 39/13 anche ad altri soggetti in posizione assimilabile a quella del Presidente con deleghe gestionali dirette e a quella dell’amministratore delegato[18].
- La mancanza di deleghe ai componenti del Consiglio di amministrazione (soluzione del caso)
L’assenza di deleghe gestionali dirette o operative non rinvenibili dalla disciplina statutaria in capo al componente del Consiglio di amministrazione, di nomina regionale, non integra, pertanto, la fattispecie di cui all’art. 1, comma 2, lett. l) del D.lgs. n. 39/2013, ovvero la presenza di «deleghe gestionali dirette» (e di riflesso, le ipotesi puntuali dell’art. 7 e 11, sono le previsioni della lettera d) e c)), neppure vi può essere un’assimilazione alla figura di «amministratore delegato», rilevando il dato principale che è quello di associare all’organo di indirizzo un potere attivo, capace di impegnare l’Amministrazione verso l’esterno, affidato a coloro che sono titolari della rappresentanza legale[19].
Diversamente, non sarebbe giustificabile l’inciso sulle figure di «presidente con deleghe gestionali dirette» o di «amministratore delegato e assimilabili» ove sia escluso l’esercizio collettivo del citato potere[20].
La mancanza di un esercizio del potere gestionale, anche pro quota, a ciascun componente dell’organo poiché affidato solo al Presidente (o al direttore) esclude la presenza di una delega gestionale diretta ai singoli componenti, risultando dirimente l’analisi concreta sui poteri del Presidente: un accertamento reale sulla natura gestionale alla luce del modello strutturale e funzionale adottato dall’Ente costituisce il suo ubi consistam logico e fattuale.
In questo senso, l’applicazione del principio relativo al potere gestionale si rinviene dalla stessa lettera della legge che riconosce rilevanza all’incarico di Presidente del C.d.a. “con” deleghe gestionali dirette, escludendo una partecipazione dei componenti privi di deleghe, oppure, quando tali poteri sia conferiti direttamente all’intero organo[21].
In effetti, tali sintomatologie che non depongono per una chiara distinzione di ruoli, dovendo verificare le linee di confine – tra un potere di delega uninominale o collegiale – ma che in parte confermano le argomentazioni, vengono evidenziate al punto 15. «Adottare un criterio coerente per la definizione di “amministratore” negli enti pubblici (economici e non) e negli enti di diritto privato in controllo pubblico» dell’Atto di segnalazione ANAC n. 4 del 10 giugno 2015[22], ove si rileva che «il criterio attuale risulta da una norma monca e del tutto incomprensibile (la definizione di cui all’art. 1, comma 2, lettera l))».
L’ANAC, propone di togliere ogni distinzione delle cariche negli organi di governo, ai fini dell’inconferibilità (evitando un’attività interpretativa che può giungere a soluzioni contradditorie): «non solo Presidente e amministratore delegato, ma anche componenti degli organi collegiali (consigli di amministrazioni o equivalenti, comunque denominati)… Una tale soluzione consente di disciplinare in modo più coerente gli incarichi di componente degli organi collegiali di governo di enti pubblici e privati, e di eliminare, per la figura del Presidente, il riferimento alle deleghe gestionali dirette, fonte fin qui di equivoci e di interpretazioni contrastanti».
Le considerazioni che precedono portano ad affermare che la nomina a consigliere di un Consiglio di amministrazione senza attribuzione di alcuna delega – per distinto ma convergente ordine di ragioni – non rientra tra le nomine inerenti incarichi rilevanti, ai sensi dell’art. 1, comma 2, lett. l), d.lgs. n. 39 del 2013, intendendosi per tali, per espressa previsione della norma, solo quegli «incarichi di amministratore di enti pubblici e di enti privati in controllo pubblico» muniti di «deleghe gestionali dirette», di conseguenza, a nulla rileva il fatto che la stessa avvenga a mezzo di una delega individuale o collettiva[23] e non ricorrendo nella specie i presupposti di cui all’art. 16, commi 1 e 2 del d.lgs. n. 39/2013, ai fini di un’eventuale iniziativa sanzionatoria[24].
[1] Vedi, SIROTTI GAUDENZI, Brevi note sulla sanzione dell’interdizione al conferimento di incarichi per il periodo di tre mesi ai sensi dell’art. 18 del d.lgs. n. 39/2013, diritto.it, 3 settembre 2020, ove si analizza un recente quadro giurisprudenziale, annotando che «l’art. 18 del d.lgs. n. 39/2013, nel prevedere la responsabilità dei componenti degli organi che abbiano conferito incarichi dichiarati nulli, esprima principi che dovrebbero essere riferiti non alle singole persone fisiche che rappresentano l’ente, ma – direttamente – all’ente», rilevando – sul punto – che le «Linee Guida ANAC del 3 agosto 2016 («Linee guida in materia di accertamento delle inconferibilità e delle incompatibilità degli incarichi amministrativi da parte del Responsabile della prevenzione della corruzione») vanno nella direzione di confermare che la sanzione dovrebbe essere comminata nei confronti di persone fisiche, tenuto conto che la misura prevista dal d.lgs. n. 39/2013 è «una sanzione personale di tipo interdittivo, fissa e non graduabile, che non può essere irrogata a prescindere da una indagine sull’elemento psicologico di chi deve subirla»».
[2] Cfr. Cons. Stato, sez. V, 27 marzo 2020, n. 2149.
[3] Cfr. ANAC, Delibera n. 233 del 4 marzo 2020, relativa «all’accertamento di una situazione di inconferibilità di cui all’art. 4 del d.lgs. n. 39/2013, con riferimento all’incarico di Presidente dell’AdSP».
[4] Cons. Stato, sez. V, 28 settembre 2016, n. 4009.
[5] Corte dei Conti, Sezione centrale del controllo di legittimità su atti del Governo e delle Amministrazioni dello Stato, Deliberazione n. 4/2017.
[6] Cons. Stato, sez. V, 10 dicembre 2012, n. 6277.
[7] Cons. Stato, sez. V, 17 luglio 2020, n. 4597.
[8] L’elencazione dei compiti, delle attribuzioni e delle funzioni della dirigenza pubblica, di cui agli artt. 16 e 17 del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, non ha carattere tassativo rilevando che le eventuali attribuzioni si estendono su ogni profilo gestionale, anche qualora non definito dalla norma, Cass. civ., sez. lavoro, 19 giugno 2014, n. 13953.
[9] Corte Cost., 3 maggio 2013, n. 81, la Corte con riferimento alla dirigenza amministrativa ha affermato più volte che una «netta e chiara separazione tra attività di indirizzo politico-amministrativo e funzioni gestorie» (sentenza n. 161 del 2008) costituisce una condizione «necessaria per garantire il rispetto dei principi di buon andamento e di imparzialità dell’azione amministrativa» (sentenza n. 304 del 2010; idem, sentenze n. 390 del 2008, n. 104 e n. 103 del 2007). Al principio di imparzialità sancito dall’art. 97 Cost. si accompagna, come “naturale corollario”, la separazione «tra politica e amministrazione, tra l’azione del “governo” – che, nelle democrazie parlamentari, è normalmente legata agli interessi di una parte politica, espressione delle forze di maggioranza – e l’azione dell’“amministrazione” – che, nell’attuazione dell’indirizzo politico della maggioranza, è vincolata invece ad agire senza distinzione di parti politiche, al fine del perseguimento delle finalità pubbliche obbiettivate dall’ordinamento» (sentenza n. 453 del 1990).
[10] T.A.R. Lazio, Roma, sez. I, 13 settembre 2018, n. 9328.
[11] Cass. civ., sez. I, 11 aprile 2016, n. 7076.
[12] Corte Cost., sentenza n. 346 del 1994.
[13] Corte Cost., sentenza n. 326 del 1998.
[14] Corte Cost., 19 ottobre 2018, n. 188.
[15] Cass. civ., sez. unite, ordinanza 20 gennaio 2017, n. 1548.
[16] Cons. Stato, sez. V, 20 febbraio 2014, n. 830.
[17] Deve ritenersi ricompresa nella definizione di deleghe gestionali dirette anche la rappresentanza in giudizio dell’ente, ANAC, orientamento n. 128 del 22 dicembre 2014.
[18] ANAC, Delibera n. 613 del 31 maggio 2016, Delibera concernente «la sussistenza di una presunta situazione di inconferibilità, ai sensi del decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39, in ordine alla nomina… quale presidente del Parco nazionale … Fascicolo n. 1913/2016».
[19] L’incarico di Presidente è sussumibile nella definizione di «incarichi di amministratore di enti pubblici e di enti privati in controllo pubblico», di cui all’ art. 1, comma 2, lett. l), del d.lgs. n. 39/2013 allorquando lo stesso sia dotato di deleghe gestionali dirette, ipotesi riversabile se lo Statuto attribuisce al Consiglio di amministrazione poteri gestori, ANAC, Delibera n. 106 del 29 gennaio 2020 «relativa all’accertamento di una situazione di inconferibilità dell’incarico di Presidente del CdA della Fondazione omissis ad un soggetto che alla data della nomina ricopriva la carica di Sindaco del Comune di omissis». Di converso, se lo statuto non preveda espressamente il conferimento di deleghe gestionali in capo al Presidente, laddove al Consiglio di amministrazione siano conferiti poteri gestori, anche il primo, per il solo fatto di essere membro di tale consesso, risulta parimenti investito di tali poteri, sentenza del Cons. Stato, sezione V, 9 aprile 2019, n. 2325. Idem, Delibera numero 651 del 17 luglio 2019 «relativa alla richiesta di parere in ordine al conferimento all’ex Sindaco del comune di omissis dell’incarico di Presidente della società omissis S.p.A.».
[20] Cfr. ANAC, Orientamento n. 23 del 23 settembre 2015, «Parole chiave: Anticorruzione – art. 7, comma 2, lett. c), del d.lgs. 39/2013 – componente del consiglio di amministrazione e Presidente di un consorzio industriale costituito ai sensi dell’art. 31 del d.lgs. 267/2000 – delega di funzioni gestionali – componenti della giunta o del consiglio della provincia, del comune o della forma associativa tra comuni – inconferibilità – sussistenza»; il parere conferma che i consorzi industriali costituiti, ai sensi dell’art. 31 del d.lgs. 267/2000, sono riconducibili nella nozione di ente pubblico di cui all’art. 1, comma 2, lett. b) del d.lgs. 39/2013, e ai sensi dell’art. 7, comma 2, lett. c), dello stesso decreto legislativo, è inconferibile ai componenti della giunta o del consiglio della provincia, del comune o della forma associativa tra comuni, l’incarico di componente del consiglio di amministrazione o di Presidente del consorzio, nel caso in cui a tali soggetti siano attribuiti poteri gestionali diretti, di converso l’incarico è conferibile in assenza di poteri di amministrazione attiva.
[21] Cons. Stato, sez. V, 28 febbraio 2020, n. 1452.
[22] Cfr. ANAC, Atto di segnalazione n. 4, del 10 giugno 2015, Segnalazione al Governo e al Parlamento, ai sensi dell’art. 6, comma 7, letto f), del d.lgs. 12 aprile 2006 n. 163, «Proposte di modifica, correzione e integrazione della normativa vigente in materia di inconferibilità e incompatibilità degli incarichi amministrativi». Vedi, anche, ANAC, Atto di segnalazione n. 1 del 18 gennaio 2017, Ulteriori proposte di modifica del d.lgs. 8 aprile 2013, n. 39 «Disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico, a norma dell’art. 1 commi 49 e 50, della legge 6 novembre 2012, n. 190», dove si osservava che «per escludere definitivamente un’eventuale violazione della disciplina delle inconferibilità/incompatibilità, occorrerebbe, comunque, che gli enti soggetti a controllo pubblico assicurino – attraverso una chiara disposizione statutaria opponibile a terzi – che in seguito alla nomina non possano essere esercitati da parte del presidente poteri gestori».
[23] T.A.R. Lazio, Roma, sez. I, 25 ottobre 2019, n. 12315.
[24] Cons. Stato, sez. V, 23 agosto 2018, n. 5031. L’art. 16, comma 1 del d.lgs. 39/2013 individua nell’ANAC l’Autorità competente a vigilare «sul rispetto, da parte delle amministrazioni pubbliche, degli enti pubblici e degli enti di diritto privato in controllo pubblico, delle disposizioni di cui al presente decreto, anche con l’esercizio di poteri ispettivi e di accertamento di singole fattispecie di conferimento degli incarichi»; tale potere non ha natura meramente ricognitiva ma carattere costitutivo-provvedimentale: si sostanzia in un provvedimento di accertamento costitutivo di effetti giuridici e come tale impugnabile davanti al giudice amministrativo, potere in cui è compreso il potere di dichiarare la eventuale nullità dell’incarico, Cons. Stato, sez. V, 11 gennaio 2018, n. 126 (la sentenza ha riconosciuto la legittimità della delibera dell’ANAC n. 141/2015 per essere la decisione ivi contenuta esercizio di un potere di accertamento dell’Autorità).