È noto che nella determinazione del contenuto di uno strumento urbanistico generale l’Amministrazione gode di ampi margini di prospettiva politica, dove la motivazione è ricavabile dai criteri tecnico – discrezionali presenti nei documenti, nella piena consapevolezza che le scelte urbanistiche di carattere generale costituiscono apprezzamenti di merito tendenzialmente sottratte al sindacato di legittimità, salvo che siano inficiate da errori di fatto, oppure da gravi o abnormi illogicità, oppure da irragionevolezza o da contraddittorietà[1].
Motivazione nell’ordinanza di demolizione
Di converso, anche in materia di abusi edilizi, deve ritenersi che non sussiste, in capo alla PA, alcuna necessità di motivare in modo particolare un provvedimento con il quale sia stata ordinata la demolizione di un manufatto (l’irrogazione della sanzione ripristinatoria), quando sia trascorso un lungo periodo di tempo tra l’epoca della commissione dell’abuso e la data dell’adozione dell’ingiunzione di demolizione, poiché l’ordinamento tutela l’affidamento solo qualora esso sia incolpevole, mentre la realizzazione ed il consapevole mantenimento in loco di un’opera abusiva, si concretizza in una volontaria attività del privato contra legem[2].
Invero, l’ordine di demolizione è un atto vincolato ancorato esclusivamente alla sussistenza di opere abusive e non richiede una specifica motivazione circa la ricorrenza del concreto interesse pubblico alla rimozione dell’abuso, a nulla rilevando la presenza di un sequestro penale per non dar corso alla demolizione che non esclude ex se di procedere, così come, per contro, non giustifica l’inerzia del privato dettata dal mero rispetto delle esigenze processuali che possono averlo determinato[3].
In sostanza, verificata la sussistenza dei manufatti abusivi, l’Amministrazione ha il dovere di adottarlo, essendo la relativa ponderazione tra l’interesse pubblico e quello privato compiuta a monte dal legislatore[4], con l’avvertenza che l’ordine di demolizione può essere legittimamente ingiunto al proprietario non responsabile dell’abuso e che non abbia la materiale disponibilità del bene, tenuto conto della natura reale del rimedio della rimozione e del fatto che, a tal fine, l’accertamento dell’abuso non richiede alcuna verifica quanto al dolo o alla colpa[5].
La motivazione appare, dunque, affievolita quando trova una propria “ragione” in un atto presupposto (come ad esempio lo strumento urbanistico generale o l’accertato abuso edilizio non sanabile), potendo operare all’interno dei margini precedentemente definiti, sicché, in presenza di una falsa rappresentazione dei titoli (ex comma 13 dell’art. 20 del DPR n. 380/2001), l’Amministrazione non potrà che agire in modo vincolato, dove la motivazione o l’apporto partecipativo del privato risultino del tutto indifferenti[6]: il reato consumato ha un ambito applicativo che si sovrappone interamente alla fattispecie di falso ideologico in certificati commesso da persone esercenti un servizio di pubblica necessità (ex art. 481 cod. pen.) e di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico (ex art. 483 cod. pen.), di cui assorbe il disvalore, e si consuma quando oggetto di asseverazione non siano esclusivamente fatti che cadono sotto la percezione materiale dell’autore della dichiarazione, ma giudizi, imponendo al RUP (il titolare del potere) di dare esecuzione all’eventuale inottemperanza[7].
La violazione di una condotta vincolata
Sotto questo ultimo aspetto, ossia il rilascio di un titolo edilizio formato sulla base di atti falsi (false rappresentazioni dei luoghi o dei presupposti legittimanti dei soggettivi del richiedente che hanno indotto l’Amministrazione in errore) impone all’Ente locale di ricorrere immediatamente ai ripari con un dovere di annullare il titolo (d’ufficio): un potere vincolato, non sanabile, la cui inerzia può essere fonte di responsabilità penale (ex art. 323 cod. pen.) ed erariale, potendo integrare, altresì, una condotta commissiva sorretta da colpa cosciente, quando il RUP illegittimamente non intervenga, consentendo di proseguire una trasformazione del suolo integrante un reato (colposo, per non essersi colpevolmente avveduto), essendosi in tal modo apportato un contributo causale rilevante, cosciente e consapevole, alla realizzazione dell’illecito urbanistico[8].
Al lume di ciò che interessa, il Responsabile qualora non provveda all’annullamento doveroso, una volta acclarato il falso, commette una violazione dei propri doveri di servizio, contravvenendo al disposto dell’art. 27 del DPR n. 380/2001[9], procurando al privato cittadino (colui che ha acquisito un titolo edilizio sulla base di una dichiarazione mendace) un ingiusto vantaggio patrimoniale, omettendo la doverosa ordinanza di demolizione dei manufatti abusivi, aggravata qualora proceda ad una sanatoria quando non consentita dalla normativa.
Una volta accertata la condotta penalmente rilevante (sentenza passata in giudicato), si apre la via erariale del danno all’immagine che condanna il dipendente infedele[10] al risarcimento del danno: quella perdita di credibilità pubblica (clamor fori) posta nell’organizzazione della PA, un’aspettativa di legalità nello svolgimento dei propri compiti istituzionali, violata dall’apparire governata in violazione dei principi di imparzialità e trasparenza dell’azione amministrativa, ex art. 97 Cost., incidendo la «fiducia della generalità dei cittadini nella corretta gestione del proprio territorio e nell’eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alle leggi che disciplinano la materia “nevralgica” dell’edificabilità del territorio»[11].
Politica delle scelte
Se dunque le scelte di politica urbanistica operate dagli Amministratori locali non necessitano di specifica ed articolata motivazione, essendo sufficiente che dallo strumento pianificatorio emergano i criteri generali ai quali esso si ispira e gli obiettivi che lo stesso intende realizzare, appare evidente che “legiferare” su questa materia espone la politica in ambiti dove gli interessi secondari possono essere prevalenti: «il governo del territorio rappresenta da sempre, e viene percepito dai cittadini, come un’area ad elevato rischio di corruzione, per le forti pressioni di interessi particolaristici, che possono condizionare o addirittura precludere il perseguimento degli interessi generali»[12].
Il riflesso di una molteplicità di interessi, privati che si intersecano con quelli pubblici, occupa aspetti non solo locali ma estesi a livello regionale o nazionale, atteso che la materia della “pianificazione territoriale” costituisce uno strumento normativo capace di intervenire radicalmente sulle scelte di sviluppo urbano (si pensi all’ideologia green o agli effetti dei condoni): una forte “leva” dal centro alla periferia sulle Autonomie, sin dalla prima legge statale n. 1150/1942 organica della materia[13]: «pianificare gli usi del territorio significa in concreto deciderne le traiettorie di sviluppo per un orizzonte temporale non breve. Uno sforzo di per sé notevole, che se da un lato non assicura sempre ritorni positivi da un punto di vista socio-economico (potendo risolversi in un ingabbiamento delle dinamiche naturali dei processi reali)»[14], garantisce ai patroni del vapore effetti sul “mercato edilizio” (edificabilità dei suoli baciati dal potere decisorio discrezionale dell’esercizio dello ius aedificandi) e su quello ben più importante (e primario) del “consenso” elettorale (fonte inesauribile di mala gestio).
Diritto di accesso del confinante
Pare giusto rammentare che il confinante di un intervento edilizio, anche in presenza di una convenzione urbanistica, ha diritto di visionare e estrarre copia degli atti, potendo anche presentare memorie che l’Amministrazione ha l’obbligo di valutare.
Il requisito della vicinitas attribuisce di per sé un interesse diretto, concreto e attuale a conoscere gli atti e i documenti del procedimento abilitativo delle attività edilizie del confinante, al fine di verificare la legittimità del titolo e la conformità delle opere al medesimo.
Il confinante gode di una posizione qualificata e differenziata e non meramente emulativa o preordinata ad un controllo generalizzato dell’azione amministrativa, che legittima, ai sensi dell’art. 22, della legge n. 241 del 1990, il diritto di accesso alla documentazione amministrativa[15]: il vicino ha un interesse legittimo a tutelare le proprie situazioni giuridiche ed economiche, pur se potenziali, dai rischi derivanti dalle nuove opere realizzate dal confinante o anche alla semplice volontà di far rispettare le leggi e i piani urbanistici, compreso il contenuto delle convenzioni urbanistiche[16].
Di contro, in sede di rilascio dei titoli edilizi il RUP non è tenuto a dirimere controversie tra privati in ordine alla sussistenza di diritti dominicali, dovendo limitarsi, sulla base di documentazione idonea, a verificare la titolarità in capo all’istante di situazioni giuridiche idonee ad attribuirgli la facultas aedificandi[17]; tuttavia, è anche vero che il cit. Responsabile ha il dovere di valutare gli elementi istruttori di natura documentale, che siano stati acquisiti, anche in base all’intervento di terzi, nel procedimento finalizzato al rilascio del permesso di costruire non potendo (in ogni caso) mai tradursi in una funzione arbitrale o paragiurisdizionale, nel senso di assumere, pur se ai soli fini del procedimento di emanazione del titolo abilitativo, la valenza di una decisione sulla titolarità o meno del diritto o delle qualità vantate, nel caso di contestazione da parte di terzi intervenuti nel procedimento[18].
La convenzione urbanistica
Fatte queste osservazioni, in linea generale, per esprimere la concentrazione di una serie di interessi, questo non esime l’Amministrazione dal seguire – in ogni caso – l’interesse generale che a volte può coincidere (e coincide) con quello privato, dove lo strumento consensuale dell’accordo (nel suo modello ricompreso nell’art. 11 della legge n. 241/1990, un accordo sostitutivo di provvedimento, a cui si applicano anche i principi civilistici in materia di obbligazioni) bilancia lo sviluppo territoriale con la pianificazione generale, assumendo le parti (Amministrazione e privato) reciproci obblighi e concessioni, legittimando la trasformazione urbana in un arco temporale definito, coincidente con durata del piano (lo strumento urbanistico convenzionato)[19].
Va aggiunto, per completezza espositiva, che anche i privati cittadini possono sostituirsi all’Amministrazione inadempiente, qualora quest’ultima non provveda ad esigere le dovute prestazioni inserite nella convenzione urbanistica: l’eventuale ricorso al Giudice Amministrativo[20], nella loro qualità di cittadini e di elettori, avviene come sostituti processuali del Comune di appartenenza, ai sensi dell’art. 9 del d.lgs. n. 267/2000 (TUEL).
L’approdo porta a ritenere che la funzione della convenzione urbanistica non è di integrare la disciplina urbanistica, di per sé completa, ma di definire nel dettaglio gli impegni delle parti, e principalmente dei privati, in vista del conseguimento dell’equilibrio nello scambio di utilità: essa, pertanto, è autonoma e distinta dal Piano di lottizzazione cui accede, in quanto rappresenta solo una delle eventuali attività che possono concretizzarsi dopo l’approvazione di quest’ultimo[21].
Convenzione urbanistica scaduta
La sez. I del TAR Marche, con la sentenza 21 settembre 2023, n. 568, interviene nel confermare il potere di pianificazione in capo alla PA (e non al promotore lottizzante), ben potendo dichiarare un nuovo assetto urbano a fronte dell’inerzia del privato nel non adempiere agli obblighi previsti nella convenzione nel termine di durata dello strumento urbanistico.
Il privato ricorrente motivava la violazione, da parte del Comune, dei principi generali in materia di pianificazione urbanistica e relative varianti, non potendo (secondo le prospettazioni formulate) con il PRG incidere l’aspettativa/affidamento, dato che l’area di interesse (in precedenza zona di espansione destinata – con la variante impugnata – a verde pubblico) era compresa in una convenzione di lottizzazione dagli stessi sottoscritta (subentrati agli originari), con conseguente obbligo di motivazione sul cambio di destinazione, rilevando, altresì, la violazione delle NTA approvate che non tenevano in considerazione le osservazioni del privato, con ricadute di natura economica sui beni di proprietà (veniva richiesto il risarcimento del danno causato dalla perdita della capacità edificatoria del lotto).
In effetti, dalle premesse di inquadramento (sopra descritte), il Collegio giudicante non può che allinearsi al dato giuridico che postula la non necessaria particolare motivazione del mutamento di previsione urbanistica: «per costante giurisprudenza, le convenzioni di lottizzazione, in quanto assimilabili ai piani particolareggiati, sono assoggettate al termine massimo decennale di efficacia stabilito dall’art. 16, l. n. 1150/1942», scaduto il quale l’Amministrazione locale ritrova il proprio potere.
In termini diversi, la pianificazione prevista per la durata del piano consente, una volta venuto meno il termine finale per intervenire, secondo lo strumento urbanistico poi convenzionato, riacquista la PA il potere – dovere di dare un nuovo assetto urbanistico alle porzioni del comparto non realizzate.
Il ragionamento semplice, quanto logico, si incentra sul fatto che se un privato, proprietario di aree da urbanizzare/trasformare non da esecuzione all’intervento concessionato (previsto nella convenzione urbanistica) l’Amministrazione, a fronte di questa inerzia (disinteresse), nel suo inesauribile potere di pianificazione lo esercita, esprimendo (imprimendo) una diversa destinazione ritenuta più adeguata rispetto al contesto territoriale (del consumo del suolo: da edificabile a verde).
In modo similare, il RUP è legittimato, in presenza di un verbale di sopralluogo nel quale sono puntualmente descritte nella loro consistenza le opere abusive, a dichiarare la decadenza di un permesso di costruire, quando l’intestatario del titolo edilizio non dia inizio dei lavori entro il termine di un anno dal rilascio, nonostante la formale comunicazione di avvio dei medesimi (aspetto questo che potrebbe incidere sotto diversi profili, sicuramente quello dell’art. 1, comma 2 bis della legge n. 241/1990, «I rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione sono improntati ai princìpi della collaborazione e della buona fede»)[22].
Nell’esercizio di questo potere pubblico il Comune (il Consiglio comunale) non è vincolato alle previsioni rimaste inattuate della convenzione urbanistica scaduta: l’obbligo motivazionale (come noto) nell’esercizio del potere pianificatorio assume i connotati usuali connessi al tipo di strumento utilizzato.
Si giunge a confermare, nella solarità di un orientamento consolidato, che nel caso di strumento urbanistico generale, la motivazione è – di regola – quella che si ricava dai criteri generali tecnico – discrezionali, che hanno ispirato il nuovo assetto dato al territorio comunale, non potendo il GA sindacare le scelte, ampiamente discrezionali, attuate in sede pianificatoria, dovendo limitarsi a scrutinare (annullare) solo quelle ipotesi di palese travisamento del dato fattuale, ovvero, di manifesta irragionevolezza[23].
Il Tribunale, aggiunge, nella sua vividezza (si potrebbe dire banalità, in claris non fit interpretatio) che non operano le disposizioni di PRG relative al rispetto dei piani di lottizzazione approvati, quando questi risultano scaduti (specie se da tempo).
(pubblicato, lexambiente.it, 13 ottobre 2023)
[1] Cons. giust. amm. Sicilia, sez. giur., 17 gennaio 2020, n. 27.
[2] TAR Lombardia, Milano, sez. II, 20 febbraio 2023, n. 436.
[3] TAR Campania, Napoli, sez. VI, 14 settembre 2023, n. 5085, ove viene chiarito che chi acquista, a qualsiasi titolo, un immobile su cui insistono opere abusive lo acquista nella obiettiva situazione di precarietà in cui si trova e con i connessi oneri (ad esempio: demolizione e/o riduzione in pristino) dai quali è (o può essere) gravato a cagione ed in ragione del suo stato (di bene costruito illecitamente), non sanabile né dal tempo né dalla buona fede, sicché anche sull’acquirente ricadono i connessi oneri dai quali l’immobile è gravato.
[4] Cons. Stato, Ad. Plen., 17 ottobre 2017, n. 9.
[5] TAR Sicilia, Catania, sez. I, 27 settembre 2023, n. 2807.
[6] Non è necessario l’invio della comunicazione di avvio del procedimento, non essendovi spazio per momenti partecipativi del destinatario dell’atto e non essendo richiesta una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né, ancora, alcuna motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione, non potendo neppure ammettersi l’esistenza di un affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può giammai legittimare, Cons. Stato, sez. VII, 29 marzo 2023, n.3279.
[7] Cass. Pen, sez. III, 1° aprile 2020, n. 10917.
[8] Cass. Pen., sez. III, 28 agosto 2023, n. 35848.
[9] In materia di vigilanza urbanistico-edilizia l’art. 27, comma 2, del DPR n. 380 del 2001 riconosce all’Amministrazione comunale un generale potere di vigilanza e controllo su tutta l’attività urbanistica ed edilizia, imponendo l’adozione di provvedimenti di demolizione in presenza di opere realizzate in zone vincolate in assenza dei relativi titoli abilitativi, al fine di ripristinare la legalità violata dall’intervento edilizio non autorizzato, TAR Campania, Napoli, sez. III, 3 luglio 2023, n. 3961.
[10] Vedi, LUCCA, L’infedeltà del pubblico dipendente: una perdita di valore pubblico e un danno erariale, LexItalia.it, 27 settembre 2023, sulla violazione del c.d. minimo etico.
[11] Corte conti, sez. giur. Campania, 13 settembre 2023, n. 522.
[12] ANAC, Piano Nazionale Anticorruzione 2016, delibera n. 831 del 3 agosto 2016, pag. 65.
[13] Nel sistema delle fonti pluralistico che governa l’attuale ordinamento, con specifico riguardo al rapporto sussistente fra la funzione di pianificazione urbanistica ed edilizia, di cui è titolare il Comune, e le norme regionali, è improprio assumere a parametro di riscontro il principio di gerarchia, e ciò in quanto la risoluzione degli ipotetici contrasti fra le diverse fonti normative riposa in apicibus sul principio di competenza – costituente il portato giuridico del principio di sussidiarietà verticale sancito nell’art. 118 Cost., Cons. Stato, sez. II, 20 ottobre 2020, n. 6330.
[14] PORTALURI, Contro il prossimalismo nel governo del territorio, giustizia-amministrativa.it, 2021.
[15] Cfr. TAR Sicilia, Palermo, sez. I, 20 aprile 2023, n. 1309.
[16] TAR Campania, Napoli, sez. II, 27 settembre 2023, n. 5224.
[17] TAR Campania, Napoli, sez. II, 22 settembre 2023, n. 1582.
[18] Cons. Stato, sez. IV, 14 settembre 2023, n. 8330, idem TAR Sicilia, Catania, sez. II, 28 agosto 2023, n. 2754.
[19] TAR Sicilia, Catania, sez. I, 12 aprile 2023, n. 1029, dove si statuisce che le lottizzazioni convenzionate non possono avere l’efficacia di condizionare a tempo indeterminato la pianificazione urbanistica futura; quindi, va individuato un termine di durata massima della convenzione di lottizzazione pari a 10 anni, mutuando il termine di cui all’art 16, della legge urbanistica concernente i piani particolareggiati. Donde, per cui, in caso di parziale attuazione del piano di lottizzazione (fattispecie non espressamente disciplinata dall’art. 28, legge n. 1150 del 1942) deve trovare attuazione per analogia il richiamato art. 17, con la conseguenza che per la parte in cui il piano di lottizzazione non è stato attuato, lo stesso decade alla scadenza del termine.
[20] Le controversie vanno ricondotte alla giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo, giusta la previsione dell’art. 133, comma 1, lettera a), n. 2), c.p.a. nel quale è confluito il comma 5, dell’art. 11, legge n. 241 del 1990, contestualmente abrogato ad opera dell’art. 4, comma 1, punto 14, dell’allegato 4 al d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104. Essa si estende anche ai patti, comunque formalizzati, apparentemente di natura esclusivamente privatistica, siglati per dare esecuzione ad obblighi assunti nell’ambito di una convenzione urbanistica, stante che la norma fa riferimento non solo alle controversie in materia di formazione e conclusione degli accordi sostitutivi o integrativi di provvedimento, ma anche a quelle riferibili alla loro esecuzione.
[21] Cons. Stato, sez. II, 28 ottobre 2021, n. 7237.
[22] TAR Veneto, sez. II, ordinanza 23 settembre 2023, n. 465.
[23] TAR Lombardia, Brescia, sez. I, 29 aprile 2020, n. 306, viene precisato che l’obbligazione indennitaria, ovvero, risarcitoria potrà, se del caso, sorgere solo allorquando il nocumento al patrimonio si concretizzerà (aspetto tutto da dimostrare sia nell’an che nel quantum), osservando, nel caso di specie, che la relativa domanda non può trovare accoglimento non potendo il Giudice ristorare un danno che ancora non c’è e non è detto che mai si verificherà.